Stasera
sono solo. Sergio mi ha fatto presente con uno dei suoi soliti foglietti
appoggiati sopra al piano della cucina, che oggi non rientrerà a casa, forse per
qualcuno dei suoi piuttosto frequenti motivi di lavoro, immagino io. Mi
dispiace un po’, ad essere sincero; in questo momento scambiare con lui qualche
spiritosaggine, qualche opinione, un parere anche generico sulla giornata
trascorsa, magari mentre prepariamo in accordo qualcosa per la nostra cena, ed
infine, una volta seduti, tirando tardi al tavolino davanti a due dita di vino insieme
ad ulteriori immancabili chiacchiere, mi avrebbe fatto piacere. Ma forse non ha
neppure troppa importanza, rifletto, o almeno mi sembra, e d’altra parte non è
la prima volta che Sergio lascia l’appartamento tutto per me, e in certi casi
anche per diverse giornate di seguito, considerato che a me in fondo non sono
mai interessati i suoi affari. Ma adesso, se proprio ci penso un po’ meglio, il
fatto che stamattina non sia riuscito neppure a passare per un attimo
dall’ufficio protocollo dove lavora Monica, anche soltanto per vederla un momento,
e poi ritrovarmi adesso da solo a trascorrere questa serata così vuota di tutto,
mi procura una certa malinconia, tanto da farmi decidere, ad un certo punto, di
fare un giro in città con la mia utilitaria, e per pura combinazione passare
proprio dalla strada dove abita lei. Non sono mai stato a casa sua, la sua
riservatezza difatti sembra quasi proverbiale, e neppure si è mai fatta
accompagnare da me fino lì, però io so perfettamente dov’è la sua casa, ho annotato
l’indirizzo riportato sulla sua scheda personale in bella vista insieme a quella
di tutti gli altri impiegati; perciò, posso fingere di capitare per caso da
quelle parti, e magari parcheggiare la mia macchina e quindi soffermarmi, con
le mani dentro alle tasche, davanti a quel suo portone. In fondo, mi basterebbe
soltanto leggere il nome sul campanello condominiale, per sentirmi già rassicurato
e andarmene via più tranquillo.
Subito
rifletto però che se scoperto da Monica a curiosare là attorno, pur
giustificandomi nel caso con qualche motivazione credibile, potrei comunque fare
la figura del ficcanaso, di colui che cerca di intromettersi nella vita degli
altri in modo non troppo legittimo, e in un attimo la nostra conoscenza basata proprio
sul rispetto reciproco, potrebbe addirittura vacillare e prendere addirittura
una brutta piega. Anche soltanto essere colto ad osservare le finestre
illuminate della facciata di casa sua, potrebbe in un attimo compromettere
tutto, e dare un’immagine di me differente da quella che invece sto cercando di
mostrare con tutto me stesso. La mia curiosità è forte, questo è chiaro, ma
devo resistere. Più che altro vorrei sapere che cosa pensa Monica di me dietro
alle lenti dei suoi occhiali, almeno nei momenti in cui si trova da sola; e poi
come trascorre le sue serate, come riesce a riempire i suoi momenti di
solitudine, mostrandosi sempre capace di non cercarmi, se non lo faccio io per
primo, e se proprio lo desidera, di non farsi neppure vedere da me. In certi
momenti mi pare di conoscere tutto di Monica, di comprenderla appieno anche se
non parla mai troppo di sé, ma in seguito, se ci penso più attentamente,
riconosco che si comporta in modo piuttosto sfuggente, quasi avesse qualcosa da
nascondere a tutti, e quindi anche a me.
Ci
sono i suoi genitori, dove dice di recarsi spesso per fargli compagnia, ma lei
è una persona di trentadue anni, come recita la sua scheda, non è possibile che
le sue giornate siano destinate soltanto al lavoro e a compiere delle visite ai
propri genitori. Perciò inizio ad avvertire un tarlo dentro di me, un dubbio
insistente che non mi lascia tranquillo. Alla fine, esco da casa. La mia auto va
in moto fedelmente come sempre, e la direzione che prende immediatamente sembra
quasi predefinita. Non ci vuole poi molto, e dopo appena un quarto d’ora sono
già lì, fermo al semaforo davanti a quella strada dove sta la sua abitazione.
Improvvisamente provo però un moto di vergogna, e poi rifletto che le sue
finestre potrebbero aprirsi sul retro del caseggiato, e poi non so neppure a
quale piano lei abiti in questo condominio piuttosto articolato. Mi fermo, il
numero civico è proprio quello che adesso ho di fronte, mi basta scendere un
momento dalla mia macchina e vedere se appare il suo nome su una delle
targhette a fianco dei campanelli. Tutto come pensavo, e a giudicare dalla
posizione della targhetta d’ottone Monica Moroni dovrebbe abitare ad un terzo
piano. Mi allontano, attraverso la strada, osservo le finestre che riesco a
sbirciare, ma non noto nessuno. Mi sembra di irrompere dentro ai segreti di chi
cerca invece una propria riservatezza, ma non riesco a fare a meno di scrutare
a lungo ciò che forse potrei anche soltanto immaginare. Poi qualcuno manovra la
tenda: è lei, ne sono quasi sicuro, ed un tuffo al cuore mi prende. Potrei
suonarle, scusarmi, dirle che non riuscivo più a stare un attimo senza vederla,
che sono innamorato di lei, che ormai non riesco a pensare ad altro che a lei. Poi,
la luce nella stanza si spegne. Tutto passato, rifletto, adesso non ha più
importanza.
Bruno
Magnolfi
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