Sul
mare, in quella giornata di sole, tutto appariva più bello, anche i pensieri
tristi, anche gli elementi spiacevoli degli ultimi tempi. Le avevano fatto una
bella festa i colleghi per il suo ultimo giorno di lavoro all’ufficio postale, ormai
quasi un anno fa, e spesso le tornava a mente, ma ritrovarsi in pensione con
tutto quel tempo libero da riempire in qualche modo per lei era stato più
difficile di quel che aveva previsto. Si era seduta su di una barca capovolta
ad osservare l’orizzonte fermo, ad ascoltare quel ritmo sonnacchioso delle
piccole onde di risacca, e i suoi pensieri fluivano via leggeri, come sempre.
In fondo vivere da sola aveva i suoi
vantaggi, pensava. Passeggiare, riflettere, tutte cose attorno alle quali
sviluppava spesso le sue giornate, attività che ormai conosceva anche troppo
bene. Se n’era andata anche Ernesta, la sua amica di sempre. Suo marito era
rientrato in casa e l’aveva trovata così, seduta sulla sua poltrona dove le
piaceva leggere il giornale, con ancora il sorriso sulle labbra, aveva detto. Ma
a quello non doveva pensarci, altrimenti le veniva la malinconia.
Il mare era
bellissimo in primavera a quell’ora del mattino, quando la sabbia umida
dell’arenile pareva lisciata dalla notte, e l’acqua trasparente un elemento
quasi immobile, rimasto così da sempre. Lei camminava ed osservava. Abitava da
sola, non aveva mai avuto un marito; e adesso quella solitudine era prepotente,
le dettava tempi e modi, la faceva sentire trascinata via dalle giornate, senza
che potesse farci niente. Certe volte aveva trovato qualche oggetto
interessante sopra al bagnasciuga, piccole cose arrivate lì chissà da dove, portate
dal vento e dalle correnti: sugheri sagomati usciti dalle reti dei pescatori,
statuette di legno intagliato sciupate dall’acqua e dal sale, bottiglie di
vetro vuote, senza alcun messaggio. Le piaceva trovare quegli oggetti, era come
immaginare la presenza di qualcosa di vivo, un piccolo contatto con qualcuno
che aveva adoperato quelle cose, e poi le aveva perse, come spesso succede
nella vita.
Si sentiva
importante quando lavorava all’ufficio postale, tutti la conoscevano e la
salutavano, e poi c’erano quegli anziani silenziosi in fila a ritirare la
pensione: non avrebbe immaginato che tutto finiva un giorno, stupidamente, con
la festa dei suoi colleghi. C’era una scatola insieme ad un ciuffo d’alghe, lì
sulla riva, una piccola scatola di legno forse per tenerci le matite, come si
usava tanto tempo fa. Pareva un quadro surrealista, una natura morta fatta di
conchiglie, sassolini colorati, fili d’alga e quel bordo bianco di spuma di mare
che arrivava a tratti, lì vicino. Era bella quella scatola, ma adesso le
dispiaceva sciupare quel quadro ben composto, quell’immagine così ben fatta.
Pareva come la sua vita, dove ogni elemento era scorso via bene, nella maniera
giusta, se non ci fosse stata quella maledetta solitudine di adesso.
Infine prese
la scatola: era bella, di legno scuro, l’aprì. Non c’era niente dentro, solo un
po’ d’acqua e dei granelli di sabbia, ma sotto al coperchio c’era scritto un
nome, il suo. Certe volte la vita fa dei giri strani, pensò. Certe volte va a
rinchiudersi in luoghi scuri, da dove sembra impossibile possa ancora avere un
senso, però bisogna aprirli quei contenitori, scoprire ciò che è rimasto dentro
nell’attesa. Con la mano tolse la sabbia appiccicata sopra al legno e mise via
la scatola dentro la sua borsa. Guardò il mare e pensò che ormai lo conosceva
bene, lo aveva osservato a lungo persino troppe volte. Doveva fare altre cose,
forse dipingere, forse aiutare gli altri, trovare un senso a quel vuoto che adesso
la martellava prepotentemente; questo le indicava la realtà, questo le dicevano
gli oggetti attorno a sé: l’attesa era finita, ora stava a lei reagire.
Bruno
Magnolfi