giovedì 28 maggio 2009

Un nome nel vento.



            Sopra la costa rocciosa il vento si era quasi calmato, ma le onde gigantesche giù in basso continuavano imperterrite ad infrangersi sulla scogliera provocando un rumore di fondo continuo e fortissimo. Lei era uscita sulla veranda per andarsi ad appoggiare ad una delle colonne di legno, con lo sguardo rivolto sul mare. Spingendo lontano il suo sguardo, oltre l’umidità che appannava la vista, riusciva a seguire il profilo della costa Britannica di là dalla Manica, e così la immaginò silenziosa, immersa in un mare più calmo. Lui la chiamò da dentro la casa, e quel nome rimbalzato sui muri e nel vento, andò ad incrinare ogni altro pensiero; poi, non ricevendo alcuna risposta, si affacciò sulla porta della veranda, e vedendola lì, coi capelli leggermente mossi dal debole vento di mare, disse soltanto: “Certe volte la tua solitudine è più forte di qualsiasi bisogno io senta di tenerti vicina…”. Così, con queste parole, aperta la porta con la chiave più adatta, lei lasciò che lui le abbracciasse  le spalle, continuando a guardare sul mare, verso qualche punto infinito smarrito lungo la linea piatta e grigiastra dell’orizzonte di fronte, solo dicendo, ma come a se stessa: “Non dovresti permettere che la mia solitudine si frapponga tra noi. Il mio è solo un vezzo, un modo di fare qualsiasi, tramite il quale per qualche breve momento mi sento appagata, ma poi ci sei tu, ed io sono felice quando tu con sapienza assecondi i miei stati…”. Lui rimase in silenzio, conscio che non l’avrebbe mai avuta tutta per sé, ma questo era il prezzo che gli pareva giusto pagare.

            Bruno Magnolfi


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