Si
era stancato andandosene in giro così, senza meta. Perciò era entrato dentro a
un caffè e si era seduto. Si era fatto servire qualcosa dal cameriere, poi
aveva cercato dentro alle tasche della sua giacca un taccuino che portava
spesso con sé. A stampatello aveva scritto la data, e subito sotto:
“passeggiata; osservazioni; pensieri al passato”. Erano anni che prendeva degli
appunti del genere, una specie di indice o di sommario delle giornate
trascorse. Non che gli servisse a qualcosa, ma era un’abitudine dalla quale non
riusciva a staccarsi. Poi la sua attenzione fu catturata da altro. Davanti a
sé, fuori dai vetri del bar, c’era un uomo, un signore, che semplicemente,
approfittando della bella giornata di sole, leggeva il giornale appoggiato a un
lampione. Non c’era niente di strano, eppure qualcosa di quella espressione
dell’uomo concentrato nella lettura del suo quotidiano, gli faceva ricordare un
attore, non uno molto noto, ma un attore di quelli che fanno spettacoli nei
teatri di quartiere, e ogni tanto lo ritrovi in qualche parte minore nei teatri
più grandi. Non ricordava adesso quali commedie, però era quasi certo di averlo
veduto più di una volta sul palcoscenico. Pagò il suo caffè ed uscì andando
come a inciampare, mimando estrema disattenzione, proprio sul giornale che
l’uomo reggeva con le due mani. “Mi scusi tanto; sono stato sbadato, e in più
le pietre di questo marciapiede sono leggermente sconnesse. Spero di non averle
disturbato più di questo la sua tranquilla lettura”. L’uomo non rispose, si
limitò a bofonchiare qualcosa ripiegando il giornale in modo un po’ goffo,
probabilmente per ridurlo al formato da tasca e così andarsene da qualche altra
parte. Indossava una giacca aperta e un po’ logora, ma non impresentabile, e
all’altezza della cintura dei suoi pantaloni si notava qualche chilo di troppo.
I suoi capelli erano bianchi sopra le tempie, e tirati all’indietro, e la sua
faccia, pur burbera, appariva carnosa e simpatica. “Aspetti”, gli disse, prima
che l’uomo abbandonasse definitivamente il lampione. “Se posso offrirle un
caffè, qui, dentro al bar, mi sentirei meglio, come alleggerito per il disturbo
che sono riuscito a crearle…”. “Non importa”, disse l’uomo, che probabilmente
non si aspettava una cosa del genere; “non si danni, me ne stavo andando
comunque”. “Insisto”, disse l’altro, “ci vorrà solo un momento; e staremo
meglio ambedue…”. “D’accordo”, disse l’uomo, “la seguo”. Così entrarono per
andarsi ad appoggiare al bancone e farsi servire un caffè e un’aranciata. “L’ho
riconosciuto”, gli disse una volta serviti, “lei è un attore, non neghi. Mi ha
sempre affascinato chi fa il suo mestiere, non per la fama più o meno grande di
cui riesce a godere, ma per la capacità di vivere storie non proprie, di
immedesimarsi nella vita degli altri, di pensare e sentire cose diverse da
quelle in cui ognuno di noi siamo portati a rinchiuderci”. “Non creda”, disse
l’altro con un’espressione che assecondava volentieri quell’argomento, “quella
capacità che a lei sembra una dote, in realtà dopo un po’ diventa mestiere,
consuetudine, ordinarietà. Non si fa alcuno sforzo, si impara il copione, si
studia ogni scena e poi si fa come farebbe chiunque. Vede, lei, quando va a
vedere una scena e si trova a piangere o a ridere a seconda che il personaggio
sia triste piuttosto che comico, compie lo stesso percorso, e si trova a
piangere o a ridere immedesimandosi in quel personaggio. Mi creda, tutta la
scienza è nel testo; se è buono quello, il resto viene da sé”. “Lei fa il
modesto”, gli rispose mentre ambedue già stavano uscendo. “Sa quanta gente
vorrebbe avere la sua consuetudine, come dice lei, anche solo per recitare
qualche commedia da dilettante dentro al teatrino dell’oratorio”. “Si, forse è
vero”, disse l’attore, probabilmente anche per chiudere quei discorsi che
indubbiamente non lo interessavano affatto. Così non trovarono meglio che
stringersi la mano e salutarsi così, davanti al caffè. Rimasto da solo, lui si
appoggiò per un attimo allo stesso lampione dove l’attore aveva letto il
giornale, godendosi il sole. Poi, preso di nuovo il suo taccuino di tasca,
aggiunse soltanto: “immedesimato in attore”.
Bruno
Magnolfi