Il letto per una lunga malattia di un bambino in certi
casi può trasformarsi in un elemento sensibile ai dettagli più piccoli della
realtà. Per mesi una febbre bassa e persistente mi aveva tenuto sotto alle
coperte, spossato e preda di una emicrania oscillante. La mia dieta consisteva
di cibi sconditi, in bianco, senza sapori, uno schifo, buoni solo al
sostentamento e a nient’altro. Provavo pena per la mia mamma che mi accudiva
ogni giorno conservando lei stessa un’espressione di pena, e avrei fatto
qualsiasi pazzia, anche guarire, pur di vederla sorridere, cancellandole
quell’espressione di sofferenza stampata sul viso. Da solo, con il mio mal di
testa perenne, restavo nelle lenzuola anche quando il sole era caldo ed
immobile sopra le tende della finestra. Restavo lì a rigirarmi nei pensieri e
nella mia solitudine, per pomeriggi completi, buoni solo a percorrere sentieri
inventati e pensare a tutto quello che la mia fantasia poteva dettarmi. I
rumori, fuori, lungo la strada o nelle case vicine, apparivano da lì confusi e
ovattati, come tanti piccoli rebus pronti per essere carpiti, risolti,
interpretati. Era bello lasciarsi cullare da quei rumori sottili, un martello
dentro a una casa, un cane in un giardino, una risata sguaiata chissà dove, e
poi, la motocicletta del babbo. Il caleidoscopio del mondo passava accanto al
mio letto, specialmente durante le giornate di vento, quando fruscii e
scricchiolii davano un senso proprio di vivo e presente alle cose, rassicurandomi
per ore e per giorni che tutto scorresse fuori da lì, e quel tempo
apparentemente inutile e perso si dimostrasse capace e fecondo di idee e di
progetti.
Bruno Magnolfi
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