mercoledì 10 giugno 2009


            Il letto per una lunga malattia di un bambino in certi casi può trasformarsi in un elemento sensibile ai dettagli più piccoli della realtà. Per mesi una febbre bassa e persistente mi aveva tenuto sotto alle coperte, spossato e preda di una emicrania oscillante. La mia dieta consisteva di cibi sconditi, in bianco, senza sapori, uno schifo, buoni solo al sostentamento e a nient’altro. Provavo pena per la mia mamma che mi accudiva ogni giorno conservando lei stessa un’espressione di pena, e avrei fatto qualsiasi pazzia, anche guarire, pur di vederla sorridere, cancellandole quell’espressione di sofferenza stampata sul viso. Da solo, con il mio mal di testa perenne, restavo nelle lenzuola anche quando il sole era caldo ed immobile sopra le tende della finestra. Restavo lì a rigirarmi nei pensieri e nella mia solitudine, per pomeriggi completi, buoni solo a percorrere sentieri inventati e pensare a tutto quello che la mia fantasia poteva dettarmi. I rumori, fuori, lungo la strada o nelle case vicine, apparivano da lì confusi e ovattati, come tanti piccoli rebus pronti per essere carpiti, risolti, interpretati. Era bello lasciarsi cullare da quei rumori sottili, un martello dentro a una casa, un cane in un giardino, una risata sguaiata chissà dove, e poi, la motocicletta del babbo. Il caleidoscopio del mondo passava accanto al mio letto, specialmente durante le giornate di vento, quando fruscii e scricchiolii davano un senso proprio di vivo e presente alle cose, rassicurandomi per ore e per giorni che tutto scorresse fuori da lì, e quel tempo apparentemente inutile e perso si dimostrasse capace e fecondo di idee e di progetti.

            Bruno Magnolfi


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