sabato 6 giugno 2009

L'attore.



            Si era stancato andandosene in giro così, senza meta. Perciò era entrato dentro a un caffè e si era seduto. Si era fatto servire qualcosa dal cameriere, poi aveva cercato dentro alle tasche della sua giacca un taccuino che portava spesso con sé. A stampatello aveva scritto la data, e subito sotto: “passeggiata; osservazioni; pensieri al passato”. Erano anni che prendeva degli appunti del genere, una specie di indice o di sommario delle giornate trascorse. Non che gli servisse a qualcosa, ma era un’abitudine dalla quale non riusciva a staccarsi. Poi la sua attenzione fu catturata da altro. Davanti a sé, fuori dai vetri del bar, c’era un uomo, un signore, che semplicemente, approfittando della bella giornata di sole, leggeva il giornale appoggiato a un lampione. Non c’era niente di strano, eppure qualcosa di quella espressione dell’uomo concentrato nella lettura del suo quotidiano, gli faceva ricordare un attore, non uno molto noto, ma un attore di quelli che fanno spettacoli nei teatri di quartiere, e ogni tanto lo ritrovi in qualche parte minore nei teatri più grandi. Non ricordava adesso quali commedie, però era quasi certo di averlo veduto più di una volta sul palcoscenico. Pagò il suo caffè ed uscì andando come a inciampare, mimando estrema disattenzione, proprio sul giornale che l’uomo reggeva con le due mani. “Mi scusi tanto; sono stato sbadato, e in più le pietre di questo marciapiede sono leggermente sconnesse. Spero di non averle disturbato più di questo la sua tranquilla lettura”. L’uomo non rispose, si limitò a bofonchiare qualcosa ripiegando il giornale in modo un po’ goffo, probabilmente per ridurlo al formato da tasca e così andarsene da qualche altra parte. Indossava una giacca aperta e un po’ logora, ma non impresentabile, e all’altezza della cintura dei suoi pantaloni si notava qualche chilo di troppo. I suoi capelli erano bianchi sopra le tempie, e tirati all’indietro, e la sua faccia, pur burbera, appariva carnosa e simpatica. “Aspetti”, gli disse, prima che l’uomo abbandonasse definitivamente il lampione. “Se posso offrirle un caffè, qui, dentro al bar, mi sentirei meglio, come alleggerito per il disturbo che sono riuscito a crearle…”. “Non importa”, disse l’uomo, che probabilmente non si aspettava una cosa del genere; “non si danni, me ne stavo andando comunque”. “Insisto”, disse l’altro, “ci vorrà solo un momento; e staremo meglio ambedue…”. “D’accordo”, disse l’uomo, “la seguo”. Così entrarono per andarsi ad appoggiare al bancone e farsi servire un caffè e un’aranciata. “L’ho riconosciuto”, gli disse una volta serviti, “lei è un attore, non neghi. Mi ha sempre affascinato chi fa il suo mestiere, non per la fama più o meno grande di cui riesce a godere, ma per la capacità di vivere storie non proprie, di immedesimarsi nella vita degli altri, di pensare e sentire cose diverse da quelle in cui ognuno di noi siamo portati a rinchiuderci”. “Non creda”, disse l’altro con un’espressione che assecondava volentieri quell’argomento, “quella capacità che a lei sembra una dote, in realtà dopo un po’ diventa mestiere, consuetudine, ordinarietà. Non si fa alcuno sforzo, si impara il copione, si studia ogni scena e poi si fa come farebbe chiunque. Vede, lei, quando va a vedere una scena e si trova a piangere o a ridere a seconda che il personaggio sia triste piuttosto che comico, compie lo stesso percorso, e si trova a piangere o a ridere immedesimandosi in quel personaggio. Mi creda, tutta la scienza è nel testo; se è buono quello, il resto viene da sé”. “Lei fa il modesto”, gli rispose mentre ambedue già stavano uscendo. “Sa quanta gente vorrebbe avere la sua consuetudine, come dice lei, anche solo per recitare qualche commedia da dilettante dentro al teatrino dell’oratorio”. “Si, forse è vero”, disse l’attore, probabilmente anche per chiudere quei discorsi che indubbiamente non lo interessavano affatto. Così non trovarono meglio che stringersi la mano e salutarsi così, davanti al caffè. Rimasto da solo, lui si appoggiò per un attimo allo stesso lampione dove l’attore aveva letto il giornale, godendosi il sole. Poi, preso di nuovo il suo taccuino di tasca, aggiunse soltanto: “immedesimato in attore”.


            Bruno Magnolfi

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