Lara era
piccola di statura, ma dietro al bancone del bar che aveva rilevato da due anni
in società con tre suoi colleghi, a preparare i caffè ci sapeva proprio fare,
era la migliore di tutti: sapeva essere svelta, simpatica, brava, aveva sempre
un sorriso per ogni cliente, tanto che nel suo lavoro era giudicata quasi un
gigante. Aveva aperto il locale alle sei, come ogni mattina, era entrata con il
pasticcere che le portava le sfoglie e i cornetti, e mentre ancora non c’era
nessuno e lei sistemava le cose, era arrivata la telefonata di Marco, il suo
collega di turno, per avvisarla che aveva un problema quel giorno, e si
scusava, ma non avrebbe potuto raggiungerla se non verso l’ora di pranzo. La
mattinata da soli per chiunque lavorava in quel bar era un’impresa notevole.
Certe giornate erano stati anche in tre dietro al bancone, e nessuno di loro
nelle ore di punta era mai riuscito a fermarsi. Ma non c’era niente a cui
appellarsi, era così, il ballo stava per iniziare, inutile pensarci, c’era solo
da muoversi e far tutto velocemente e con professionalità. Alle sette il caffè
era già pieno, e il movimento di persone era tale che Lara si sentiva un
automa, fuori dal corpo, come se un’altra persona fatta di gesti istintivi e di
reazioni veloci, seguendo le richieste o quei minimi accenni dei clienti di
fronte, lavorasse per lei. Caffè e cappuccini, le tazzine nel lavastoviglie, le
brioches da servire, i soldi da mettere in cassa e i resti da fare, pareva
quasi una gara alla rincorsa del tempo. I minuti passavano in una bolgia
continua e estenuante, Lara si sentiva osservata da tutti, qualcuno aveva
provato a inalberare qualche protesta per l’attesa o per qualche altra
sciocchezza, ma lei era rimasta imperterrita, semplicemente in silenzio, gli
occhi sul proprio lavoro, le mani che si muovevano in fretta su tutti gli
oggetti che le ballavano attorno. A metà della mattina era iniziato lentamente
il diradarsi della ressa delle prime tre ore, e passate le undici la macchina
del caffè parve cominciare a riprendersi dal comprimere vapore e sfornare
liquido caldo, restando un po’ più tranquilla. In compenso a quell’ora
arrivavano altri clienti per gli aperitivi, anche se davanti a quei vermouth,
ai prosecchi, ai bicchieri di bianco, tutti sembravano più rilassati e
tranquilli. Intorno alle dodici, per una qualche magia, all’improvviso nel
locale non c’era nessuno; Lara tirava il respiro, bevve un bicchiere d’acqua
gassata mentre pensava che appena fossero arrivati gli altri del turno lei se
ne sarebbe andata subito a casa, a riprendersi da quella prova estenuante.
Guardava fuori dalla vetrina l’ordinario transitare di auto e pedoni, senza
alcun interesse, quasi senza vedere, e così non si accorse di quel ragazzone
con gli occhiali da sole e quel grande strano cappello calcato sopra la testa.
Era entrato, aveva chiuso dietro di sé, non aveva detto niente, era solo venuto
in avanti, verso di lei, poi era passato dietro al bancone. Si era accostato
velocemente di un passo e con un taglierino sguainato, con i modi di fare
estremamente decisi di chi sa perfettamente cosa sta perpetrando, aveva fatto
un piccolo taglio, un graffio leggero, su uno degli avambracci nudi di Lara.
“Metti tutti i soldi dentro a un sacchetto”, le aveva detto con tono basso ma
fermo, come fosse in un film, e lei, paralizzata dalla sorpresa e dalla paura,
tanto da non riuscire neppure a tremare, aveva fatto in un lampo quello che le
era stato richiesto, come compiendo uno di quei tanti gesti che richiedeva il
suo bar. Quello era subito uscito, e appena un attimo dopo era arrivato il
collega di Lara. Lei si era come accasciata sopra al bancone, all’improvviso
piangendo di quell’accumulo di tensione provata, poi, dopo qualche minuto,
aveva cercato di spiegare cosa le era accaduto. Le forze di polizia la
trattennero fino a metà pomeriggio, nello sforzo di aiutare la sua necessità di
giustizia, cercando di farsi raccontare nei minimi dettagli tutto quello che
era successo, ma fu solo quando Lara rimase da sola, ormai quasi a casa, che si
sentì più piccola ancora di quanto fosse mai stata. E all’improvviso, la sua
impotenza, totale.
Bruno Magnolfi
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