Erano stati scelti in due, tra tutti
gli operai della fabbrica, per andare ad insegnare il funzionamento del nuovo
macchinario, che loro utilizzavano già da più di un anno, nell’altro
stabilimento della società. Ci sarebbe voluto un mese, o al massimo due, aveva
detto il capo del personale; sarebbero stati spesati di tutto, era un incarico
di fiducia, non potevano assolutamente rifiutarsi. Così Enzo, accompagnato
dalla moglie e dal figlio di otto anni, si era ritrovato con in mano la valigia
alla stazione ferroviaria, quella domenica pomeriggio, assieme al suo collega
più giovane, anche lui pronto per affrontare quelle cinque ore di viaggio prima
di arrivare in quella piccola cittadina sperduta.
Sua moglie non aveva mostrato dispiacere per quel piccolo
sacrificio, anzi lo aveva incoraggiato, quell’incarico significava che lui era
tenuto in gran conto nel suo lavoro, “addestrare altri operai vuol dire che tu
sei un esempio per tutti”, aveva detto, “e quel tempo, vedrai, passerà più in
fretta di quello che ora pensi”. E invece quei giorni si erano subito
dimostrati lunghissimi, e ritrovarsi la sera da solo in quella stanzetta della
pensione, per Enzo era di una tristezza senza pari.
Le prime due sere scese a cena nella
trattoria assieme al suo collega, ma non gli piaceva quella compagnia, così con
una scusa cambiò orario, in modo da starsene per conto proprio. Tornarono a
casa il sabato pomeriggio, come previsto, ma l’intervallo passò in un attimo, e
ripartire il giorno seguente ad Enzo parve una tortura. Ma in treno gli era
venuta un’idea, e alla seconda settimana di lavoro in trasferta cercò di
realizzarla. Acquistò un blocco di fogli da disegno, delle matite, dei lapis e
del carboncino, e con quegli strumenti cercò di dare un’alternativa alle sue
serate, piuttosto che starsene al bar della pensione a chiacchierare con il suo
collega o a sonnecchiare davanti ad un televisore.
Nella sua camera c’era una scrivania,
e lì da solo poteva disegnare tutto quello che voleva. Ma una volta che
iniziava un soggetto, ecco che in breve perdeva l’entusiasmo per completarlo, e
così cambiava foglio e ricominciava. Le settimane di trasferta si susseguivano
per i due colleghi, tanto da aver smesso di contarle, ma arrivati ormai al
terzo mese il capo del personale disse finalmente che quella sarebbe stata
l’ultima settimana per l’addestramento degli operai. Enzo era contento di
tornare alle proprie abitudini, anche se vedeva che mentre il suo collega si
era fatto degli amici, e al bar e in trattoria tutti lo chiamavano e si
scambiavano gli scherzi, lui era rimasto sempre solo, e non era neppure
riuscito a terminare uno di quei suoi disegni.
Così arrivò il sabato anche di quella
settimana, ma al suo collega che aveva già preparato la valigia, Enzo disse che
aveva da terminare delle cose e sarebbe rimasto ancora un giorno. L’altro
partì, e lui si mise in camera davanti al suo blocco da disegno, riprese
l’abbozzo che gli era piaciuto di più e iniziò a lavorarci. Non scese neanche a
cena per paura di non riuscire a terminare, ma quando infine vide il disegno
completato fu contento: scese giù con il suo foglio, strinse la mano per
salutare tutti quelli del bar e della trattoria, e regalò a loro quel suo
disegno. Il proprietario più di ogni altro lo ringraziò, garantendogli che lo
avrebbe appeso al muro della trattoria dentro a una bella cornice. Poi Enzo
mise le sue cose dentro la valigia e se ne andò, riuscendo a prendere un treno
della notte, e quando fu davanti al finestrino a guardare la campagna buia che
correva, sorrise tra sé a quel periodo della sua vita, sicuro di aver fatto
qualcosa di cui adesso era contento.
Bruno Magnolfi
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