“Adesso mi hai stufato”, le dice
l’uomo con voce decisa sollevandosi dalla posizione che aveva assunto per
effettuare quel difficile rinquarto al biliardo. Di fatto la sua palla ha
assunto troppo effetto, va a colpire di lato ed il suo tiro risulta sbagliato
anche se non disastroso.
La ragazza inizia a piangere, ma con
dignità, a piccoli singhiozzi, ed esce dalla porta a vetri andando a sedersi ad
un tavolo tondo del caffè, nell’altro ambiente del locale. L’uomo non la guarda
neanche, e mentre cerca di capire cosa c’era di sbagliato nel suo tiro, dice ad
alta voce, ma come tra sé: “Ho detto un sacco di volte che non deve venire qui
a scocciarmi”.
Gli altri tre giocatori e le altre
quattro o cinque persone presenti non dicono niente, anche se gettano tra loro
delle occhiate più che esaurienti sui loro pensieri, mentre, come se niente
fosse successo, la partita prosegue regolare.
La ragazza rimane di là, con le
spalle alla sala da biliardo, si fa servire un cappuccino e intanto,
distrattamente, sfoglia un giornale. La porta a vetri è piena di impronte di
mani, e qualcuno intorno al biliardo si è acceso la sua sigaretta, lasciando
che il fumo grigio e svogliato si alzi da dentro a quelle luci basse e vada a
perdersi su in alto, dentro le ventole di un aspiratore che produce nell’aria
pesa un ronzio leggero.
L’uomo studia meglio i tiri
successivi e va a segno con diversi punti. Una leggera smorfia si disegna sul
suo viso, il suo gioco sembra disteso e fluido, i birilli e il pallino cedono
sotto ai tiri calibrati, e infine vince, come già era successo nelle due
partite precedenti. Intasca i soldi che aveva pattuito, ripone la sua stecca,
saluta tutti con appena due parole ed esce dalla porta a vetri.
Gli altri lo osservano mentre si
allontana, quando passa accanto alla ragazza: le fa una carezza dolcissima sul
viso, le sorride quanto basta, e infine l’abbraccia mentre escono insieme dal
caffè.
Bruno Magnolfi
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