L’uomo stava
seduto nel buio del cinema in una delle ultime file, da solo, cercando di
svagare la mente con le immagini che scorrevano autonomamente sopra lo schermo.
Prima di entrare aveva comprato una bustina di semi di zucca, si era tolto il
cappello e si era immerso in quel paio d’ore senza pensieri. Invece quel film
noioso pareva andarsene avanti per proprio conto, e tutti i suoi pensieri
rifluivano come sempre dentro la testa. Le sue riflessioni erano legate come al
solito alla sua perenne incapacità di stare con gli altri, di avere dei
rapporti sociali, di avere un amico, di legarsi a una donna: una solitudine
spesso cercata e tante volte subita, un equilibrio assolutamente instabile da
cui era difficile uscire.
Infine si alzò, era inutile rimanere
ancora là dentro, scivolò lentamente fuori dalla fila di sedie e raggiunse una
delle grandi tende purpuree in fondo alla sala. Un leggero rumore attrasse la
sua involontaria attenzione; con la pochissima luce che c’era volse lo sguardo
verso l’angolo da cui arrivava quella specie di singhiozzo, e vide il profilo
di una persona, una donna, appoggiata alla parete di fondo mentre stava
piangendo. Normalmente non si sarebbe mai interessato dei fatti degli altri, ma
per uno strana combinazione di cose gli venne spontaneo di avvicinarsi a quella
persona per non dover alzare la voce, e in sottotono disse soltanto: “Posso
fare qualcosa?”. La donna si volse, e lui intravide il suo viso soltanto un
momento; lei infine rispose: “si, per favore, mi porti via da qua dentro”.
L’uomo le mise delicatamente una mano
sotto ad un braccio, attese che lei con uno dei suoi fazzoletti si asciugasse
le ultime lacrime, infine scostò la tenda pesante, e assieme a lei attraversò
il corridoio e la saletta deserta della biglietteria, raggiungendo l’uscita dal
cinema. “Mi scusi”, disse lei appena furono fuori nell’aria nebbiosa della
serata, “ma a volte ci sono momenti in cui è impossibile resistere a una
delusione profonda”. “Si, credo di capirla”, disse lui. “Non c’è cosa peggiore
che sentirsi improvvisamente da soli, è una sensazione che non ho mai provato,
prima di oggi…”. Lui annuiva, quegli argomenti erano i suoi, addirittura alcune
cose gli parevano persino scontate. “Vede”, disse lei, “il senso di vuoto che
ho provato in quel cinema non mi era mai accaduto, ma è un sentimento
terribile, come essere coscienti di colpo che il mondo ti è ostile, che tutti
hanno altri problemi, che i tuoi malesseri sono solo tuoi, puoi piangerne fino
alla nausea nel buio di un cinema…; per fortuna non è del tutto così, non so
come esserle grata del suo aiuto…”.
Così passeggiarono lungo il viale
parlando ancora di quell’argomento. Infine, raggiunta la fermata dell’autobus
lei disse che tutto adesso era a posto, non aveva più bisogno di niente, le
bastava tornarsene a casa. Arrivò un mezzo pubblico, lei vi salì sopra con un
grande sorriso che era un ringraziamento e un saluto, e l’uomo rimase da solo,
lungo quel marciapiede. Per qualche momento restò ancora lì fermo a guardare le
luci posteriori dell’autobus che si allontanava, si accese con calma una delle
sue sigarette, attese ancora un momento, come a respirare il senso delle cose
che la donna aveva detto. Poi se ne andò, chiuso di nuovo nei suoi pensieri
ordinari, cosciente che solo con uno sforzo di volontà sarebbero cambiate le
cose per lui.
Bruno
Magnolfi
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