Angelica da
sola camminava lungo la strada rischiarata dai lampioni installati sul
marciapiede. Pareva non ci fosse nessuno in giro a quell’ora, forse il freddo
pungente di quella serata aveva richiamato tutti dentro alle case o nei caffè.
Due fidanzati, più indietro, si erano baciati, mentre passava, poi ridendo
erano entrati dentro a un portone. L’uomo all’angolo l’aveva osservata, aveva
detto qualcosa con voce appena percettibile, senza cambiare espressione, e lei
aveva sorriso, senza guardarlo. Infine, poco più avanti, c’era il locale dove
Angelica era diretta, con tanto di insegna intermittente e luci gialle fuori
dai vetri della porta d’ingresso, insieme alla scia di un interno di voci e di
musica che si riversava fin sulla strada. Un posto senza pretese, poco più di
una birreria, ma lei ci cantava là dentro, in genere due volte la settimana,
accompagnata da un chitarrista, direttamente in mezzo alle sedie e tra i
tavoli, come si faceva una volta. Le canzoni erano sue, le componeva al
mattino, nella sua stanza, e forse erano un po’ malinconiche, quasi tristi, ed
era difficile ottenere il silenzio e cantarne di fila più di due o tre. Ogni
sera trovava qualcuno con apprezzamenti sfacciati, che diceva che lei era
bravissima e li faceva sognare, ma Angelica era pratica, sapeva che gli
argomenti di quelle canzoni non l’avrebbero mai portata fuori da lì, per quanto
quelle cinquanta persone che aspettavano ogni volta la sua esibizione
rimanessero sempre contente. Ci metteva l’anima dentro a quei testi, solo lei
riusciva a interpretarli nella maniera migliore, o almeno di questo era
convinta, era questione di sentire le parole dentro di sé, forse di
sensibilità. Chi veniva spesso dentro al locale le canzoni più orecchiabili le
aveva imparate, ma nessuno si era mai permesso di cantarle con lei: la sua voce
era unica, e sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, di leggermente diverso,
che metteva in risalto ora una parola, ora una frase. Ma in quella sera più
fredda di altre, qualcuno, senza sillabare alcunché, ad un tratto aveva
iniziato a giocare con un controcanto leggero sotto ad una delle sue canzoni
migliori, intonando perfettamente la musica con un risultato notevole. Era
partito un applauso spontaneo ma subito trattenuto, ed il ragazzo si era
sentito costretto ad alzarsi dal tavolo e avvicinarsi. Angelica lo aveva
guardato solo un momento, e avevano terminato quella canzone cantandola insieme
in quella maniera, poi, alla fine, tutto quel pubblico era parso in delirio.
Allora avevano fatto un’interruzione, e lui si era presentato e scusato per
essersi permesso di darle una mano in quel modo con quella canzone. Era un
cantante anche lui, di un gruppo rock abbastanza famoso, disse che gli sarebbe
piaciuto collaborare con lei, con Angelica, le sue canzoni le trovava
straordinarie, magari, se lei era d’accordo, avrebbero potuto cantare assieme
un paio dei suoi pezzi al prossimo concerto della sua band, la settimana
seguente, e lei gli sorrise, come sempre faceva quando non sapeva che dire. Poi
si sedettero e brindarono a quella serata, e Angelica quasi si commosse: le
pareva impossibile che qualcuno l’avesse notata, che avesse ascoltato davvero i
suoi testi; forse era già quello il miracolo vero, quello più grande, che in
una serata qualsiasi, solo più fredda di altre, era riuscito a scaldare anche
le cose di sempre.
Bruno Magnolfi
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