mercoledì 20 gennaio 2010

Senza pretese.



            Angelica da sola camminava lungo la strada rischiarata dai lampioni installati sul marciapiede. Pareva non ci fosse nessuno in giro a quell’ora, forse il freddo pungente di quella serata aveva richiamato tutti dentro alle case o nei caffè. Due fidanzati, più indietro, si erano baciati, mentre passava, poi ridendo erano entrati dentro a un portone. L’uomo all’angolo l’aveva osservata, aveva detto qualcosa con voce appena percettibile, senza cambiare espressione, e lei aveva sorriso, senza guardarlo. Infine, poco più avanti, c’era il locale dove Angelica era diretta, con tanto di insegna intermittente e luci gialle fuori dai vetri della porta d’ingresso, insieme alla scia di un interno di voci e di musica che si riversava fin sulla strada. Un posto senza pretese, poco più di una birreria, ma lei ci cantava là dentro, in genere due volte la settimana, accompagnata da un chitarrista, direttamente in mezzo alle sedie e tra i tavoli, come si faceva una volta. Le canzoni erano sue, le componeva al mattino, nella sua stanza, e forse erano un po’ malinconiche, quasi tristi, ed era difficile ottenere il silenzio e cantarne di fila più di due o tre. Ogni sera trovava qualcuno con apprezzamenti sfacciati, che diceva che lei era bravissima e li faceva sognare, ma Angelica era pratica, sapeva che gli argomenti di quelle canzoni non l’avrebbero mai portata fuori da lì, per quanto quelle cinquanta persone che aspettavano ogni volta la sua esibizione rimanessero sempre contente. Ci metteva l’anima dentro a quei testi, solo lei riusciva a interpretarli nella maniera migliore, o almeno di questo era convinta, era questione di sentire le parole dentro di sé, forse di sensibilità. Chi veniva spesso dentro al locale le canzoni più orecchiabili le aveva imparate, ma nessuno si era mai permesso di cantarle con lei: la sua voce era unica, e sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, di leggermente diverso, che metteva in risalto ora una parola, ora una frase. Ma in quella sera più fredda di altre, qualcuno, senza sillabare alcunché, ad un tratto aveva iniziato a giocare con un controcanto leggero sotto ad una delle sue canzoni migliori, intonando perfettamente la musica con un risultato notevole. Era partito un applauso spontaneo ma subito trattenuto, ed il ragazzo si era sentito costretto ad alzarsi dal tavolo e avvicinarsi. Angelica lo aveva guardato solo un momento, e avevano terminato quella canzone cantandola insieme in quella maniera, poi, alla fine, tutto quel pubblico era parso in delirio. Allora avevano fatto un’interruzione, e lui si era presentato e scusato per essersi permesso di darle una mano in quel modo con quella canzone. Era un cantante anche lui, di un gruppo rock abbastanza famoso, disse che gli sarebbe piaciuto collaborare con lei, con Angelica, le sue canzoni le trovava straordinarie, magari, se lei era d’accordo, avrebbero potuto cantare assieme un paio dei suoi pezzi al prossimo concerto della sua band, la settimana seguente, e lei gli sorrise, come sempre faceva quando non sapeva che dire. Poi si sedettero e brindarono a quella serata, e Angelica quasi si commosse: le pareva impossibile che qualcuno l’avesse notata, che avesse ascoltato davvero i suoi testi; forse era già quello il miracolo vero, quello più grande, che in una serata qualsiasi, solo più fredda di altre, era riuscito a scaldare anche le cose di sempre.


Bruno Magnolfi

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