Non
c’è niente nella mia testa, niente di tutto ciò che in tante occasioni avrei
voluto manifestare, quando magari serviva prendere qualche buona decisione, per
esempio, ed io invece sono rimasto lì, a guardarmi attorno e a starmene in
silenzio. Qualcuno forse mi ha posto una domanda, ma io non ho risposto, mi
sono limitato ad osservare il mio interlocutore, ho assunto un’espressione
ambigua, come a mostrare quanto sciocco immaginassi quel comportamento: non ci
sarebbe stato alcun bisogno di interrogarsi, sembrava pensassi dentro di me,
chiedere qualcosa con insistenza, proprio come al contrario dei miei principi
stava accadendo, curiosare continuamente l’uno nei confronti dell’altro,
all’interno di un’esistenza apparentemente pacificata, e invece dovevo
sopportare qualcuno che insisteva con un comportamento così competitivo, quasi
un emblema di tempi tristi e di brutti periodi ormai trascorsi.
Mi
osservo attorno, prendo aria, inizio a parlare di qualcosa di cui sono sicuro
nessuno avrà qualche commento da contrapporre, e vado avanti sviscerando
sicurezza e modi rilassati. Non c’è niente dentro la mia testa, alcun pensiero,
soltanto queste immagini che hanno la leggerezza impalpabile delle cose che non
ci appartengono, delle quali non abbiamo mai sentito neppure la necessità, che
non ci hanno neppure mai sollevato una benché minima curiosità.
Ma
certo, rifletto, che bisogno c’è di tutta questa continua ricerca, questa
perenne analisi dentro noi stessi: possiamo rilassarci, i gesti sono privi di
qualsiasi significato, le parole sono soltanto delle scatole vuote, le
espressioni, figuriamoci, semplici maniere per dare un po’ di lustro ai nostri
giorni. A cosa serve riflettere, pensare, cercare dentro noi stessi qualcosa
che riesca a spingerci soltanto un po’ più in là, verso significati che ci
riempiano soltanto di importanza, di certezze, di vita che sappiamo essere
soltanto un surrogato di ciò che vorremmo veramente.
Così
me ne vado in giro senza l’ombra di un pensiero, tengo ben in alto il mio
sguardo, quasi con un piglio di superbia: concedo semplici saluti a chi mi
incontra, chi non potrebbe mai sospettare quanto io ormai sia oltre, oltre
questi modi consueti, oltre questa maniera semplice di condurre avanti le cose,
oltre la normalità di tutti gli altri. Qualcuno mi guarda, a me non interessa:
pensino assolutamente ciò che vogliono coloro che mi osservano, i tempi sono
questi, prima che riescano a capire cosa passa veramente nei miei occhi tutto
sarà già tramontato, ed io avrò continuato per tutto questo tempo a fingere
qualcosa, senza che nessuno sia mai riuscito ad accorgersi di niente.
Infine
rientro: sono contento di me stesso, essere riuscito ancora ad indossare la
maschera della persona retta, rispettabile, che contempla tutto quanto con
sguardo il più possibile obiettivo, è sempre qualcosa che riesce a riempirmi
l’anima di un grande orgoglio; posso proseguire così fin quanto voglio, ne sono
certo, nessuno saprà mai niente di me, tutti gli sforzi di chiunque saranno
sempre un niente nei confronti dell’energia che è riuscita a spingere tutti
questi miei comportamenti. Sono soddisfatto, e questo è quanto conta.
Bruno
Magnolfi
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