giovedì 17 febbraio 2011

Poco più di niente.


           
            Non ha nessuna importanza, in fondo, questa senso di incompletezza, di smarrimento, questo sentire di non essere utile a nessuno, pensava Fabio mentre girava a vuoto lungo le strade del suo quartiere. Era uscito di casa solo per prendere aria, per perdersi in mezzo alle tante persone che c’erano in giro solitamente a quell’ora, vagare tra i negozi già illuminati, osservare il traffico caotico della serata, ma l’angoscia sottile che provava all’inizio non si era attenuata, e la sua solitudine gli pareva sempre più una vera condanna. Devo smetterla di pensare in modo così negativo, pensava, in fondo ci vuole ben poco ad uscire da un momento difficile, è questione di volontà, solo di questo. Poi si era fermato davanti ad un negozio, attratto da qualcosa che non sapeva neppure lui cosa fosse, ed era rimasto lì a guardare gli oggetti esposti per qualche minuto.
            Un uomo gli si era accostato, aveva osservato a sua volta la vetrina di quel negozio, poi, senza neppure voltarsi verso Fabio, quasi come conoscesse i suoi affanni, con voce pacata aveva detto: certe volte diventa difficile persino pensare a se stessi. Non c’è niente, mi dico, oltre questa percezione amara delle cose; niente che possa davvero cambiarci. Forse ci vuole soltanto coraggio, e imboccare una strada diversa quando riusciamo a scorgerne una. Poi si volse verso di lui, lo guardò soltanto per un attimo, senza alcuna espressione, e infine riprese a camminare lungo la strada, come se non ci fosse da aggiungere altro. Intorno la gente proseguiva con i medesimi comportamenti di sempre, e le auto ogni tanto suonavano il clacson per schivare i passanti che attraversavano la strada.
            Dopo un attimo di smarrimento, Fabio si mosse, cercò di raggiungerlo, ma si rese subito conto che era come sparito in mezzo alla calca. Adesso non era neppure tanto sicuro di ricordarsi la faccia dell’uomo, forse ordinaria, senz’altro inespressiva, una faccia qualsiasi: probabilmente neppure se lo avesse incontrato di nuovo avrebbe saputo riconoscerlo, così rimase ancora per un attimo fermo a pensare, mentre la gente sul marciapiede continuava a passargli vicino, poi proseguì lentamente con la sua camminata. Che cosa significava, pensava Fabio ripensando a quelle parole, avere coraggio? Coraggio per cosa, per avere dei comportamenti diversi da ciò che dettava la sua indole? O affrontare ogni piccola difficoltà con determinazione, come niente avesse importanza se non quello che ci si era prefissati di fare? No, non era da lui un comportamento del genere, coraggio era soltanto una bella parola, dietro non c’era quasi niente, pensava.
            Poi prese per una strada secondaria, proseguì a passeggiare ancora mezz’ora con la testa sempre più vuota, infine salì sopra un autobus che lo riportava verso il piccolo appartamento dove abitava. Quando scese dal mezzo pubblico ritrovandosi lungo la via principale del suo quartiere, sentì dentro di sé il piccolo morso di angoscia che spesso provava, così si fermò per accendersi una sigaretta, anche se aveva quasi perso quel vizio. Pensò di nuovo al coraggio, quella parola magica che pareva l’unica chiave per aprire le porte serrate, e gli venne da ridere: prese una boccata di fumo, si avvicinò al portone di ingresso del palazzo dove abitava e lanciò un grido con quanto fiato aveva nella gola. Qualcuno si affacciò alla finestra, lo osservarono in diversi nella poca luce di quei lampioni, e lui seppe di star bene, che forse ci voleva ben poco, meno di quanto pensasse, per riuscire a superare le sue piccole perplessità.

            Bruno Magnolfi    
             

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