Non ha poi molta importanza per
Francesco che i suoi compagni di classe si mettano a fare tanto gli spiritosi,
e che continuino magari a dirsi a voce alta momento dopo momento tutto quello
che passa loro per la testa; al punto che poi ridendo spesso si ritrovano a darsi
dei grandi spintoni proprio durante quei pochi minuti caotici al termine di
tutte le lezioni, quando ogni studente ha solo voglia di uscire dalla scuola e
di sentirsi finalmente libero. In quell’enorme corridoio che porta all’uscita
dall’edificio, quando i ragazzi quasi corrono con i loro zaini già indossati,
anche in quei momenti lui resta normalmente indietro e sulle sue, solo e da una
parte, come fa quasi sempre durante tutta la mattinata scolastica, tanto che
persino se qualcuno gli pone una domanda anche generica ecco che lui la maggior
parte delle volte risponde soltanto a monosillabi, senza incoraggiare mai in
chiunque alcuna conversazione.
Non è che lui si trovi troppo male
con gli altri compagni, anche se gli danno un certo fastidio i tipi troppo
esuberanti, soltanto si sente almeno in parte uno spirito solitario, un semplice
osservatore della realtà ecco, un tipo a cui piacerebbe certe volte poter diventare
addirittura trasparente pur di proseguire a stare con tutti, ma limitandosi a
guardare e a prendere nota dei comportamenti di chi riesce ad osservare. In
classe sua lo sanno, anche gli insegnanti hanno imparato bene a conoscere quel
suo carattere, e generalmente lo lasciano in pace quasi tutti, anche se quando
è l’ora dell’uscita può capitare che lui rimanga indietro a guardare gli altri
andarsene rapidamente. Forse a lui interessa meno quella specie di evasione
quotidiana, oppure non sente di avere come gli altri studenti tutta questa
fretta di tornarsene a casa sua.
Francesco disegna quando è da solo,
e da qualche parte ha avuto modo di leggere come secondo alcuni la forma è
sempre superiore al colore, e che sopra la carta con una semplice matita si può
fermare l’espressione più spontanea, quella che generalmente sta sopra la
maschera. Così lui tratteggia delle facce, quei semplici visi che più spesso si
ritrova attorno, le loro espressioni, i profili di chi conosce maggiormente,
cercando di sviluppare il massimo della rappresentazione con il minimo dei
segni utilizzati. Prende appunti certe volte, pochi rapidi fregi in
chiaroscuro, ma poi sviluppa le sue idee soltanto quando infine è a casa, nel
chiuso della sua cameretta, dove il silenzio e la tranquillità gli permettono
di essere davvero a proprio agio.
Il momento esatto in cui si ferma e
mette via tutti i lavori dentro una grossa scatola tenuta ben nascosta, è
quando sta per rientrare in casa anche suo padre: con sua madre naturalmente è un
po’ diverso, comunque non vorrebbe mai farsi trovare da nessuno dei due mentre
sta lavorando ad un ritratto, perché il suo è come un segreto da tenere celato
dentro di sé, considerando oltretutto che non riuscirebbe mai in nessun caso a tenere
in mano neppure la matita in loro presenza. È un blocco quello che prova, una
sensazione di ostilità profonda che è sicuro verrebbe fuori immediatamente da
parte loro, se solo fosse scoperto a svolgere un’attività di questo genere.
Così sua madre non soltanto non lo disturba mai, ma lo avverte, quando sa che
il suo piccolo segreto sta per essere messo in pericolo da suo padre.
Velocemente Francesco mette via tutto, ed è contento di farlo, di custodire in
questo modo qualcosa che è soltanto suo, che gli appartiene: un osservatorio
privilegiato quasi inespugnabile.
Bruno Magnolfi
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