Ci sono delle sere in cui l’aria si
mostra pesante. Anna ha preparato la cena, Corrado le ha dato una mano per
apparecchiare la tavola, Francesco se ne sta lì in un angolo, il suo compito in
genere è quello di affettare del pane e mettere sulla tovaglia le bottiglie
d’acqua e del vino, attività cui in perfetto silenzio ha già adempiuto. Non ci
sono molte cose da dire, la radio a basso volume riempie come può quel senso di
vuoto che aleggia. Stamani ho incontrato l’amministratore di condominio, dice
poi Anna come tra sé. Corrado la guarda, si porta un pezzetto di pane alla
bocca, poi dopo un attimo dice soltanto: immagino stia studiando come farci
spendere altri soldi. No, fa lei, mi ha detto solo che qualcuno dei nostri
vicini sta pensando di far tinteggiare la facciata di questo palazzo. Allora
non è preoccupante, fa lui; prima di mettere tutti d’accordo ci vorranno come
minimo altri dieci anni.
Poi si siedono, Anna serve nei
piatti, Francesco dice basta appena vede che la porzione a suo parere è già più
che sufficiente. Mangia qualcosa in più, dice sua mamma senza convinzione; lo
vedi come sei magro. Lui si schernisce, Corrado lo guarda un momento, ma non
aggiunge nient’altro. Oggi ho litigato di nuovo con Torrini, dice tanto per
parlare di qualcosa. Sosteneva che il capo avesse detto una cosa che io ero
sicuro non avesse mai neppure pensato.
Così siamo andati fino al suo ufficio, e lui ha detto a Torrini che
probabilmente aveva proprio capito male, e che non c’era altro da aggiungere,
anche se gli faceva piacere naturalmente sentirsi così lusingato, e quindi alla
fine pur sbagliando lui è riuscito a fare una bella figura.
Non preoccuparti, dice Anna: il tuo
capoufficio sa quanto vali; non saranno certo sufficienti delle sciocchezze del
genere per metterti in una cattiva luce. Forse, fa lui, però dover passare ogni
giorno tra quei corridoi stando attento continuamente a ciò che viene detto, o
anche meglio, a quello che spesso viene
semplicemente accennato, tenendo sempre le antenne bene in funzione, è del
tutto snervante. Certo, fa lei, lo capisco; ma in fondo è il tuo lavoro, e tu
non devi far altro che vedere il lato positivo delle cose, senza continuare a
creare presupposti per delle scaramucce insignificanti con i tuoi colleghi. Va
bene, fa lui, tanto con te non riesco mai ad ottenere una qualsiasi
gratificazione.
Il figlio lì ascolta con interesse,
mentre con la forchetta smuove lentamente i pezzi di cibo dentro al suo piatto,
senza decidersi mai a mangiarli davvero. Il suo sguardo accarezza le
espressioni che immagina, elabora in figurazioni mentali quasi complete i
personaggi che entrano ed escono in quelle piccole storie. Non parteggia mai
per nessuno in quelle che reputa ostilità di poco conto, ma immagina con grande
chiarezza i pensieri che ognuno di loro riesce ad avere mentre stanno esternando
con forza i propri convincimenti. Questa sembra a lui la forza maggiore:
immettere dentro uno dei suoi tanti disegni che sta mentalmente elaborando, pur
privo di orpelli e contorni, tutti quei
significati che una semplice espressione riesce a sottendere. È ancora un
ragazzo, certamente ne è consapevole, ma il punto di vista che adopera è già
quello di un disegnatore con esperienza, uno che non ha certo paura di scavare,
persino dentro se stesso.
Bruno Magnolfi
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