Il ragazzo sta crescendo, non ci
sono dubbi. Lo guardo certe volte, senza che lui neanche si accorga di me, e
vedo spesso nei suoi gesti e nei suoi atteggiamenti quella persona che senza
dubbio mi piacerebbe essere stata esattamente alla sua età. Non è questa
ragazza pur carina e sicuramente molto intelligente che viene certe volte a
cercarlo in quei pochi minuti durante l’intervallo tra una lezione e l’altra,
l’inizio della differenza ben calcata tra quello che era prima e ciò che invece
è adesso. È lui stesso che in quest’ultimo periodo sta tirando fuori qualcosa
che neppure sembrava minimamente ci potesse essere stato, e del quale non si
immagina neppure adesso il motivo per cui lo avesse tenuto così celato, ma che
invece con ogni probabilità già cercava, e chissà da quando, semplicemente di
lasciarsi in serbo proprio per questo suo attuale e irripetibile momento
magico. Già, perché di questo si tratta. Non so se gli altri intorno a lui se
ne siano ancora accorti, sono quasi sicuro di no, ma Francesco sta rispetto a
tutti loro un metro più in avanti, e può permettersi spesso di rimanersene in
silenzio senza neanche guardarli, ed in certe occasioni fingere pure di
ignorare proprio tutti, anche se quando poi dice qualcosa, cioè quando prende
la parola per spiegarci semplicemente la sua idea, le sue frasi riescono
immediatamente a evidenziare tutta la differenza che assolutamente ci sta
dentro.
Nell’ultimo tema che ho dato da fare
a tutta la classe intera, lui ha scelto subito di scrivere qualcosa sulla
diversità, un argomento probabilmente che gli rimane congeniale sia per la
sensibilità che lui stesso manifesta, che per l’attenzione che ha sempre
mostrato rispetto a chi normalmente gli si muove attorno. Ha toccato dei punti
delicati sul suo foglio, dei passaggi che mostravano un pensare oltre molte
consuetudini, qualcosa che ha immediatamente fatto del suo tema un compito che
sarebbe stato probabilmente da leggere con voce alta a tutto il resto della
classe, magari nel silenzio generale, se solo io fossi stato maggiormente
coraggioso, invece di essere un insegnante come tanti, forse un pavido, un
qualsiasi lavoratore dell’intelletto, pronto come tutti a livellare verso la
norma ogni manifestazione fuori dai canoni, uniformando ogni possibile audacia
ad ogni qualsiasi manifestazione, praticando tutto il mio mestiere come fosse
composto di ordinari impegni di lavoro, e dovessi proprio per questo cercare in
tutti i modi come minimo di sminuire l’importanza di quelle sue strane maniere
di disporsi. Comunque è forse anche soltanto per la sua integrità che cerco in
fondo di fare tutto questo; per l’incapacità che avverto nell’aria che lo
circonda di allacciare delle relazioni importanti con i suoi compagni, che probabilmente
lo sentirebbero, se solo lo trattassi in altro modo, ancora più distante da
loro, forse proprio differente, privo di quelle ridicole capacità essenziali
che tutti credono di avere.
Di nascosto torno comunque ad
osservarlo, e vedo distintamente dentro di lui una certa sofferenza, come
un’incomprensione che a sua volta Francesco rimanda agli altri dopo averne
ricevuto forte esempio da loro, come per una specie di dialogo tra sordi, quasi
per una sfida che lo relega a quel solitario e taciturno che rimane sempre e
comunque, nonostante la sua maturazione in corso e nonostante i suoi tenui messaggi
di tolleranza e di apertura verso tutti. Credo di comprenderlo, almeno in
parte, ma non mi sento assolutamente in grado di aiutarlo, tanto più che non
saprei proprio come fare per non sciuparne la indubbia carica emotiva e
l’entusiasmo sicuro che a volte lascia intravedere nella convinzione delle
proprie capacità che forse non emergono, ma che sicuramente lui trattiene con
gran sforzo dentro di sé, con ogni probabilità usando un freno oramai ben
congegnato, che forse riesce almeno a metterlo al riparo da altri sempre
possibili ed odiosi inconvenienti.
Bruno Magnolfi
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