lunedì 5 febbraio 2018

Ora di lettere.



Il ragazzo sta crescendo, non ci sono dubbi. Lo guardo certe volte, senza che lui neanche si accorga di me, e vedo spesso nei suoi gesti e nei suoi atteggiamenti quella persona che senza dubbio mi piacerebbe essere stata esattamente alla sua età. Non è questa ragazza pur carina e sicuramente molto intelligente che viene certe volte a cercarlo in quei pochi minuti durante l’intervallo tra una lezione e l’altra, l’inizio della differenza ben calcata tra quello che era prima e ciò che invece è adesso. È lui stesso che in quest’ultimo periodo sta tirando fuori qualcosa che neppure sembrava minimamente ci potesse essere stato, e del quale non si immagina neppure adesso il motivo per cui lo avesse tenuto così celato, ma che invece con ogni probabilità già cercava, e chissà da quando, semplicemente di lasciarsi in serbo proprio per questo suo attuale e irripetibile momento magico. Già, perché di questo si tratta. Non so se gli altri intorno a lui se ne siano ancora accorti, sono quasi sicuro di no, ma Francesco sta rispetto a tutti loro un metro più in avanti, e può permettersi spesso di rimanersene in silenzio senza neanche guardarli, ed in certe occasioni fingere pure di ignorare proprio tutti, anche se quando poi dice qualcosa, cioè quando prende la parola per spiegarci semplicemente la sua idea, le sue frasi riescono immediatamente a evidenziare tutta la differenza che assolutamente ci sta dentro.
Nell’ultimo tema che ho dato da fare a tutta la classe intera, lui ha scelto subito di scrivere qualcosa sulla diversità, un argomento probabilmente che gli rimane congeniale sia per la sensibilità che lui stesso manifesta, che per l’attenzione che ha sempre mostrato rispetto a chi normalmente gli si muove attorno. Ha toccato dei punti delicati sul suo foglio, dei passaggi che mostravano un pensare oltre molte consuetudini, qualcosa che ha immediatamente fatto del suo tema un compito che sarebbe stato probabilmente da leggere con voce alta a tutto il resto della classe, magari nel silenzio generale, se solo io fossi stato maggiormente coraggioso, invece di essere un insegnante come tanti, forse un pavido, un qualsiasi lavoratore dell’intelletto, pronto come tutti a livellare verso la norma ogni manifestazione fuori dai canoni, uniformando ogni possibile audacia ad ogni qualsiasi manifestazione, praticando tutto il mio mestiere come fosse composto di ordinari impegni di lavoro, e dovessi proprio per questo cercare in tutti i modi come minimo di sminuire l’importanza di quelle sue strane maniere di disporsi. Comunque è forse anche soltanto per la sua integrità che cerco in fondo di fare tutto questo; per l’incapacità che avverto nell’aria che lo circonda di allacciare delle relazioni importanti con i suoi compagni, che probabilmente lo sentirebbero, se solo lo trattassi in altro modo, ancora più distante da loro, forse proprio differente, privo di quelle ridicole capacità essenziali che tutti credono di avere.  
Di nascosto torno comunque ad osservarlo, e vedo distintamente dentro di lui una certa sofferenza, come un’incomprensione che a sua volta Francesco rimanda agli altri dopo averne ricevuto forte esempio da loro, come per una specie di dialogo tra sordi, quasi per una sfida che lo relega a quel solitario e taciturno che rimane sempre e comunque, nonostante la sua maturazione in corso e nonostante i suoi tenui messaggi di tolleranza e di apertura verso tutti. Credo di comprenderlo, almeno in parte, ma non mi sento assolutamente in grado di aiutarlo, tanto più che non saprei proprio come fare per non sciuparne la indubbia carica emotiva e l’entusiasmo sicuro che a volte lascia intravedere nella convinzione delle proprie capacità che forse non emergono, ma che sicuramente lui trattiene con gran sforzo dentro di sé, con ogni probabilità usando un freno oramai ben congegnato, che forse riesce almeno a metterlo al riparo da altri sempre possibili ed odiosi inconvenienti.


Bruno Magnolfi 

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