Non me ne frega poi molto dei
comportamenti sul piano interpersonale, diciamolo chiaro; a me in azienda basta
che i conti tornino e che a nessuno venga in mente di approfittarsi delle
situazioni che qua dentro certe volte sembrano quasi scorrere esattamente ognuna
sotto al proprio naso. Il funzionario del piano di sopra mi chiama di rado nel
suo ufficio, e normalmente mi chiede in quei casi come vadano le cose e se ci
siano dei problemi tra questi corridoi, anche se in genere lo fa quasi di
sfuggita, senza approfondire mai troppo gli argomenti; salvo le poche volte in
cui riesce invece ad avere chissà come delle informazioni riservate su qualche
movimento poco chiaro, ed allora mi guarda fisso, pesa ogni parola delle
risposte o dei tentativi di spiegazione che riesco a fornirgli, e forse aspetta
come un mastino che il sottoscritto nella tensione del momento possa finire addirittura
per contraddirmi. Fino ad oggi diciamo sono sempre stato capace di uscirne
piuttosto bene dai suoi interrogatori, o almeno tutte le seccature che ci sono
state hanno sempre avuto una risoluzione buona o convincente, però ognuna di
quelle volte ho provato dei veri e propri brividi davanti a quel suo sguardo quasi
implacabile.
Perciò, se non ci fosse per me
l’obbligo tra i miei compiti diretti come capufficio di rispondere quasi di
tutto ciò che viene eseguito dal personale del mio piano, non starei a
preoccuparmi neanche troppo dei discorsi che circolano su qualcuno dei miei
impiegati, anche se per esempio sembra proprio che purtroppo sia il Torrini che
il Renai in modo ciclico riescano a darmi invariabilmente qualche piccolo mal
di testa, tanto che ho pensato di far avere prima o dopo un rapporto completo
su di loro sia al mio diretto funzionario che al nostro capo del personale, e
richiedere più o meno espressamente di spostare almeno uno dei due lavoratori verso
qualche altra mansione, magari più semplice e anche meno remunerativa, oppure
ad un piano inferiore, dove non ci siano troppe possibilità di provocare dei
danni all’azienda e alla compagnia. Dal punto di vista squisitamente occupazionale
del Torrini non ho avuto quasi mai niente di cui lagnarmi, salvo il fatto che lui
appare spesso come un tipo astuto, pieno di sotterfugi, un furbo insomma, laddove
del Renai invece non ho certo una grande opinione, confermata peraltro dai suoi
risultati mediocri in tutti questi anni di lavoro da quando sta con noi.
Nei momenti in cui gli spiego
qualcosa, una nuova procedura di inserimento dei dati per il centro di
elaborazione ad esempio, è sempre un po’ pigro ed anche riottoso
nell’apprendere le novità, come se non comprendesse affatto l’importanza della
precisione e del giusto comportamento nei confronti delle posizioni dei nostri
assicurati; sembra quasi a tratti che il suo lavoro non gli piaccia, non lo
interessi, non intenda migliorarlo, e che cerchi sempre la maniera per tagliare
corto sulla propria attività e sui propri compiti. Ho fatto capire più volte al
Renai che in questa maniera non si può certo andare molto lontano, e lui mi ha
sempre guardato con l’espressione di chi non ha alcuna paura delle mie larvate minacce,
e che la sua personalità non potrà mai abbassarsi così tanto da accettare i
consigli o i suggerimenti che possono arrivare talvolta anche da un semplice
capufficio come me. Comunque, se ci fosse un nuovo richiamo anche generico da
parte del nostro funzionario, o anche meglio dal direttore generale, qualcosa
magari che riguardi la gestione dei clienti da parte di qualcuno di questi miei
impiegati, allora mi vedrei proprio costretto a tirare fuori tutte le mie
carte, indipendentemente da ciò che potrebbe in seguito accadere; ed in quel
caso credo proprio che mi sentirei senz’altro più che tranquillo della mia
decisione di additare chi non reputo all’altezza o che non riesce a stare al
proprio posto, decisione che in quel caso ognuno sopra di me comprenderebbe
come presa indubbiamente dopo un lungo e attento esame.
Bruno Magnolfi
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