venerdì 9 febbraio 2018

Giro di giostra.




Non saprei davvero spiegare quale sia il motivo. E’ probabile che le cose possano riuscire soltanto in questa maniera, forse non c'è neanche da chiederselo. Sono piccole storie quasi sempre incompiute quelle che girano attorno, ecco quanto si delinea poco per volta. Scampoli di giornate che non trovano mai un vero epilogo. Ci sono persone magari che si pongono degli obiettivi, mettono a punto i progetti, ed in seguito fanno di tutto per riuscire a raggiungerli, anche accorgendosi in corso d’opera che i loro proponimenti erano profondamente sbagliati, o che loro stessi non nutrono più grande interesse per quei risultati, proprio mentre stanno giungendo alle conclusioni ampiamente previste. Sono decisi, convinti, e non hanno quasi mai veri dubbi. Qui al contrario tutto quanto è continuamente messo in gran discussione, ogni pensiero appare sempre inappropriato, e l’indeterminatezza è la regola portante.
C’è sempre nell’aria come un attendere il momento opportuno, il giorno migliore, le condizioni adeguate, magari mettendo in unica riga le sensazioni più adatte, i più positivi stati d’animo, un esatto compendio di elementi tutti in fila tra loro, che forse però non avrà mai veramente un suo esito. Si compie un nuovo giro di giostra, si osserva qualcosa, si traggono delle conclusioni che vanno ad aggiungersi a tutte le altre, senza trovare un nesso tra loro, senza un prima né un dopo. Questa sostanzialmente la realtà delle cose.
Vorrei avere ancora tanto tempo per osservare queste persone che mi passano quotidianamente davanti, ridendo talvolta, appoggiandosi al bancone di questo vecchio bar soltanto per il tempo preciso di sorseggiare il caffè, scambiandosi in due o in tre quanti sono, come peraltro appare già ovvio, soltanto qualche parola di fretta, qualche espressione ritagliata da chissà quale contesto, frammenti di frasi che prevedono comunque già un’intesa precisa, un uso consumato dei gesti, e che vanno certo a colmare perfettamente tutti gli spazi rimasti tra le poche sillabe appena pronunciate. Buongiorno, dico a tutti come ho sempre fatto in tutti questi anni, ma forse non riesco più ad inquadrare davvero le maschere di questi clienti, e spesso non so neppure individuare, magari anche per mio disinteresse, i loro veri argomenti che accennano.
Qualcuno è da solo ad entrare nel bar, ed allora cerco di fargli da spalla mentre gli offro tutti i servizi di questa casa, trattandolo con deferenza, con consumato mestiere, ma anche con un filo di complicità. Poi c’è una signora che da qualche tempo passa da qui, sempre di mattina, sempre da sola, mi ha detto di chiamarsi Anna, ma soltanto dopo diverse volte che si faceva vedere. La sua storia non dev’essere semplice, lo vedo da come saluta, come sorride, da come mi chiede il caffè. Qualcosa in lei rimane sempre nell’aria, come sapesse fin dall’inizio che il suo giro di giostra non avrà un compimento, non tornerà al punto che si era immaginata all’inizio. Non le chiedo niente, non posso chiederle niente, ma so che in lei le cose non vanno di certo verso la direzione prescelta, forse non sono mai andate in quel senso, e lei però se ne è accorta soltanto da poco tempo, durante il percorso. Prende il caffè, una sfoglia alla crema, mi guarda appena un momento, come di sfuggita, poi sembra già altrove, alla ricerca di qualcosa che non è lì con Anna, e che forse non sa neppure lei dove poterlo trovare.

Bruno Magnolfi

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