“Certo, ci si può anche convincere
poco per volta che sia meglio così”, fa lei mentre spazza con attenzione il
pavimento del suo piccolo laboratorio di ceramica, chiuso oramai da diverse
settimane. Esattamente sopra quel fondo, che funziona naturalmente anche come
negozio, c’è il suo appartamento, quattro stanzette al piano superiore, a cui
si accede da una buffa scala interna a chiocciola, dove lei abita oramai da
parecchi anni con la figlia adesso quasi maggiorenne, a seguito della
separazione da suo marito avvenuta tanto tempo prima. La ragazza, seduta
accanto alla parete su di uno sgabello di legno, cerca di seguire i
ragionamenti di sua madre, anche se spesso le appaiono un po’ strani,
inconcludenti, come se la donna cercasse sempre la maniera più surreale di
riflettere le cose. La minuta esposizione del vasellame finito e decorato, e
anche di tutti gli altri prodotti, costituita da molti pezzi sistemati sopra
alcuni scaffali aperti in legno scuro accanto alla vetrina, praticamente è
pronta per riaprire agli acquirenti, appena questo sarà possibile, ma il fermo
dell’attività fino adesso ha portato tra loro due soltanto malcontento e
ristrettezze.
“In fondo non fa male ogni tanto
fermarsi per ripensare tutte le proprie cose, cercando magari dentro di noi una
nuova spinta per andare avanti”, dice ancora mentre sua figlia sorride, forse
per alleggerire quegli argomenti che non vorrebbe mai affrontare. A volte ha
anche provato ad aiutarla in quella sua attività, ma non si ritiene del tutto capace,
troppo imprecisa, disattenta ai dettagli e anche alle forme. L’unica cosa a cui
le piace star dietro è l’essicazione e la cottura in forno delle argille
preparate da sua madre, cosa che viene fatta normalmente soltanto una volta
alla settimana, a negozio chiuso; e poi certe volte stare dietro la cassa al
pomeriggio, dopo la scuola, quando giunge qualche compratore. Le piace anche a
lei, come a sua madre, disporre con calma tutte le cose del negozio, ma non le
piace per niente pensare troppo al loro futuro. “Dobbiamo fotografare di nuovo
alcuni pezzi di tutta la collezione”, fa la donna quasi per cambiare argomento;
“e riguardare meglio anche le proposte della nostra pagina elettronica”.
"Va bene", fa lei già con la testa da altre
parti, mentre si ferma un attimo ad osservare un piccolo disegno decorativo su
un pezzo di carta caduto sbadatamente a terra in quel momento. Si tratta di una
specie di fiore stilizzato, un modello probabilmente da riportare sopra la
ceramica. "Lascia stare", fa sua madre che l'ha vista raccoglierlo.
"È molto bello", fa la ragazza osservandolo a lungo e studiandone i
contorni. Sua madre allora appoggia quanto aveva in mano fino adesso e si
avvicina a sua figlia. "Lo so", le fa; "non l'ho mai usato fino
ad oggi, ma potrebbe anche essere un portafortuna, un simbolo di rinascita di
tutta la nostra attività, così i prossimi oggetti potremo decidere di decorarli
proprio con delle variazioni sui contorni di questo fiorellino".
"Certo", fa sua figlia, "mi pare proprio il momento più adeguato
per avere un pizzico di buona sorte, magari prima di dover chiedere di nuovo
dei soldi in prestito a papà".
Perciò si mettono ambedue sul tavolo da lavoro per
estrapolare la massima esemplificazione di quel disegno, ritracciandone a
matita e con calma i petali ed il breve gambo, tanto che in breve riescono ad
essere piuttosto compiaciute di quanto realizzato. "Ecco", fa la
ragazza; "un fregio semplice, completo, e soprattutto sempre
riconoscibile, quasi un nuovo marchio di fabbrica". Sua madre sorride,
gira l'abbozzo di carta tra le sue mani più di una volta, e poi le fa:
"allora mettiamoci subito all’opera, che tra poco dobbiamo essere pronte
per riaprire". "D'accordo", fa lei, "in fondo, adesso che
ci penso, mi sembra quasi doveroso ripartire proprio con un fiore".
Bruno Magnolfi
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