Sto ben nascosto dentro alla mia tana, e sono sicuro che
a nessuno verrebbe mai in mente di arrivare a cercarmi proprio fino qui. Là
fuori forse sta accadendo chissà cosa, ma a me non interessa proprio niente dei
problemi generali che dannano la gente: io mi rannicchio in questo buco ed esco
soltanto quando servono qualcosa da mangiare, una volta o due al giorno, nella nostra
sala comune. Dietro al muro e a questo paravento ben sistemato, quando i soliti curiosi transitano dal corridoio, non possono
vedere dove sto, neanche se qualcuno di loro si
affaccia al mio bugigattolo, e magari cerca di scansare con le mani quegli
oggetti che ho messo a protezione di questa mia preziosa intimità. E’ buio
dentro, non c’è nessuna lampadina da accendere. Comunque mi piace quando da qui
sento le voci degli infermieri e degli inservienti che si incrociano dentro le
sale di questo edificio odioso, tanto nessuno può sospettare del mio nascondiglio,
visto che io mi faccio trovare sempre dove vogliono loro nelle ore pattuite
durante la giornata. Poi torno a rifugiarmi subito nel mio luogo segreto, ed a
nessuno passa per la mente di essere più scaltro di quanto sono io.
E’ un sottoscala oscuro e umido, lo ammetto, non è
proprio un gran bel posto, ma è qui dove avevano
piazzato una porticina piccola che neanche si può chiudere del tutto, un varco
minuto che lascia entrare soltanto una persona, qualcuno che abbia proprio
voglia di abbassarsi, ed anche se forse non serve a
niente questo mio rifugio, per me è comunque
il luogo più sicuro tra tutti quelli che ho trovato da quando sono qui. Mi ci
sono sistemato poco per volta, con una vecchia sedia ed anche due sgabelli rotti,
sui quali appoggio generalmente tutte le mie cose, specialmente il soldatino di legno verniciato
che sta con me da tempo immemorabile. Lui adesso appare un po’ scrostato e
consumato dal tempo, come è quasi naturale che sia, ma per me è rimasto sempre il solito, il mio portafortuna
che non mi abbandona mai, e che spesso mi avverte quando c’è qualcosa che non
va. Io sto nel buio della mia tana, e lui ecco che inizia a muoversi. “Che cosa
c’è”, gli fo, tanto per sentire quali siano le sue ragioni. E lui mi parla di
cose che in parte non comprendo, anche se alla fine si spiega in modo
estremamente chiaro quando devo preoccuparmi di qualcosa.
Se devo dire proprio la verità, è lui che mi ha indicato
la prima volta questo nostro nascondiglio segreto, in questo meraviglioso sottoscala.
“Devi infilarti in quel buco”, mi ha detto con le sue maniere dirette, un
giorno che non sapevo proprio dove andare; ed io evidentemente gli ho obbedito subito, perché di lui mi fido, so per certo
che non mi tirerebbe mai una fregatura. In questi giorni sento gli
inservienti che parlano spesso di contagi, ed è per questo forse che si tengono
alla larga da tutti gli ospiti di questa struttura dove mi hanno messo. Sono al
sicuro, dico al mio amico soldatino, e lui sorride, sa che prenderà in ogni
caso le mie difese, ed io so che su di lui posso contare, che mi difenderà
comunque vadano le cose.
Poi arriva un infermiere, uno di quelli che si occupa
generalmente dei casi gravi, e mi spiega subito che la mia cuccia va benissimo,
e poi che devo stare là dentro il più possibile per non mescolarmi mai con gli
altri. Lo guardo, ma non gli rispondo niente, continuo a mangiare in un angolo della
sala refezione per conto mio, e poi appena ho finito mi alzo e vado a chiedere
cosa ne pensi il mio prezioso amico in armi. “Ha ragione”, dice anche lui; “devi
stare qui, fermo, senza cercare mai nessuno”, mi fa. Così io mi metto seduto
sulla seggiola, tengo in mano il soldatino e lo guardo prima di rimetterlo in
piedi accanto a me. Sono fortunato, penso: tutti hanno da affrontare un sacco
di problemi, e si preoccupano continuamente di ogni cosa. Non io però, che sto
sempre tranquillo al mio posto insieme al mio soldato, e non mi muovo, non mi
faccio neanche vedere, perché ho soltanto da guadagnarci a comportarmi in
questo modo.
Bruno
Magnolfi
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