La donna si siede, attende un
momento in silenzio, osserva il velo leggero di polvere sopra il piano del
tavolo, poi si decide a telefonare. “Sono da sola”, dice a qualcuno che le
risponde da una diversa e lontana città. “e forse comunque è anche giusto così;
di fatto non ne soffro, come a tanti succede, ed anzi mi sembra questa per me
una buona occasione per riflettere a fondo sui diversi argomenti delle mie
giornate”. Poi riaggancia, si alza lentamente da dove si trova e va diretta in
cucina, come per occuparsi di qualcosa che purtroppo non sa neppure lei cosa
sia. Ci sono delle verdure già pronte dentro al suo frigo; può usarle come
contorno ad un semplice uovo fritto in un tegamino, ed in questa maniera anche
il problema della sua cena sembra presto risolto. Non c'è niente di cui doversi
preoccupare davvero, visto che ognuno in questo momento può ritirarsi dentro al
suo nido ed affrontare la propria giornata nel chiuso delle mura di casa. Lei è
consapevole del proprio isolamento derivato da questo periodo, come se fosse
qualcosa di cui vergognarsi, anche se in verità è proprio quello che le sembra
di avere continuamente desiderato.
“Ma non è andata sempre così”,
vorrebbe dire ora al telefono. “C’è stato Armando per quasi due anni, anche se
è successo oramai parecchio tempo fa, ed io mi sono sentita in quei momenti una
persona diversa, completa, del tutto una donna. Certo, ho le mie colpe: molte
volte non mi sono tirata fuori da me stessa, lo so; spesso anzi ho cercato
ancora di coltivare la mia individualità, i miei interessi, i miei desideri. Ma
non potevo concedermi tutta, è evidente, dovevo pur lasciare qualcosa per me,
conservare in qualche maniera le mie idee, i miei pensieri, le mie piccole
manie. Forse l’ho spaventato, il mio Armando, ecco; l’ho fatto però quasi
inconsapevolmente, tenendogli testa forse su troppe cose, opponendomi alla sua
personalità qualche volta, giocando quasi sempre con lui a braccio di ferro”.
Probabilmente sono proprio questi gli errori che si continua a pagare per il
resto degli anni, senza renderci conto sul momento che la partita è troppo
importante per farla decidere da una scenata o da qualche parola sfuggita di
bocca. “Adesso lo so, anche se è tardi”.
Poi
stende la tovaglia prendendola dal cassetto sopra al piccolo tavolo di fronte
ai fornelli, piegandola precisamente in due parti, con attenzione, che tanto
non serve utilizzarla completamente sul piano per una sola persona. Sistema i piatti,
le posate, il bicchiere, il tovagliolo, infine apre il gas per accendere il
fuoco. E’ rimasto del pane da ieri, adesso può scaldarlo nel forno, ci vuole una
brocca d’acqua sul tavolo, la boccetta dell’olio, la saliera, poi tutto è
pronto, anche se non le sembra di avere più voglia neppure di mangiare. “Non
sono da sola”, potrebbe dire al telefono; “ci sono i ricordi con me, le
presenze nella mia mente di tutte le persone che ho conosciuto”. Infine torna
nell’altra stanza, vorrebbe adesso qualcosa che attirasse un po’ della sua
attenzione: un compito qualsiasi, un interesse, una voglia, un elemento
qualunque per rompere questa monotonia, questo andamento usuale e un po’
assurdo per tutti, specialmente per lei.
Infine torna in cucina e si siede: è
tutto pronto, ogni cosa al suo posto così come le piace, può cenare con calma,
riflettere ancora su tutto quanto, incontrare di nuovo se vuole i frutti della
sua memoria. Torna ad alzarsi, come in preda ad una specie di improvviso
pensiero profondo, prende il telefono e torna a chiamare la stessa persona di
prima, lontana da lì, però l’unica persona a cui può ancora dire alcune delle
sue cose. “Sono felice”, dice all’apparecchio senza neppure spiegarsi. “Non so
per quale motivo, e forse può apparire anche a te del tutto incomprensibile;
però è così, e tu devi crederlo, devi saperlo, devi fartene una ragione, senza
bisogno di chiedermi ancora il perché, come sia mai possibile nella mia
solitudine. In questo modo; così”.
Bruno Magnolfi
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