“Tutto
bene”, dice lei affacciandosi leggermente alla finestra del suo appartamento al
terzo piano, rispondendo ad una sua vicina di casa che l’ha salutata mentre stava
sistemando dei panni ad asciugare sulla terrazza a fianco. L’altra però non replica
niente, come se non ci fosse proprio null’altro di cui parlare. La sensazione
di sospensione del tempo adesso è quasi palpabile, ed abitare da soli rende
tutto ancora più pesante, riflette lei. “Ho voglia di andarmene”, aggiunge poi
a voce più alta, come si fosse dimenticata dell’elemento più importante, mentre
l’altra prosegue, assumendo adesso un debole sorriso sulla faccia nella luce
forte del sole, a sistemare tutte le proprie cose. Una fotografia, pensa lei
senza più muoversi da dove si trova; un’istantanea che ferma in un attimo le
nostre più semplici abitudini, rendendole indelebili, incancellabili, quasi eterne.
Ha ragione, la mia vicina, pensa ancora: a cosa serve parlare, spiegarsi le
cose che comunque sanno tutti, e ripetersi vicendevolmente le medesime ribadite
sensazioni. Dobbiamo chiudere con quello che è stato fino ad oggi, e mettersi
tutti a ripensare le proprie percezioni in maniera differente.
Poi
rientra in casa, si guarda attorno, cerca di decidere qualcosa di cui occuparsi,
almeno per il momento, senza però trovare cosa. Allora torna ad affacciarsi
alla finestra, in fondo è la cosa più vitale che può fare in un pomeriggio come
questo. La sua vicina adesso ha terminato di stendere la biancheria, e si è fermata
a guardare qualcosa giù lungo la strada. Anche lei adesso guarda sotto al loro
condominio, anche se non c’è proprio niente da vedere, o almeno niente di
particolare che possa essere differente da qualsiasi altro momento della
giornata. Però osservando meglio si nota che c’è un giornale abbandonato sopra
ad una panchina vicino a un alberello, forse messo lì apposta per qualcuno che
abbia voglia di sfogliarlo. Di fronte poi, un segnale stradale è un po’ piegato
rispetto a come dovrebbe stare normalmente, e la serranda di un negozio invece
di essere chiusa lascia uno spiraglio quasi sufficiente a farci passare una
persona che si abbassi per entrare.
Tante
sciocchezze normalmente di poca importanza, pensa lei; ma che adesso forse vanno
riconsiderate meglio ed anche con più attenzione. Perché se è vero che dobbiamo
osservare in altro modo ciò che ci circonda per tenere conto di particolari che
fino a ieri passavano per ignorati, è anche vero che dobbiamo imparare ad
essere più attenti, maggiormente accorti, più precisi. La vicina di casa
rientra, ha terminato con i suoi panni ed anche di guardare i particolari della
strada, e lei però attende ancora un attimo, come dovesse accadere proprio adesso
qualcosa di particolarmente interessante. Una nuvola velata oscura leggermente
il sole, una folata di vento debole smuove appena le foglie delle piantine sul
suo davanzale, e lei adesso si sente viva, pronta per qualsiasi novità, semmai
si dovesse presentare. La sua vicina torna sopra la terrazza, la chiama, dice
che le ha lasciato qualcosa sul pianerottolo davanti al suo portone.
Lei
la ringrazia, anche se non comprende che cosa possa essere, e risponde che va
subito a vedere, qualsiasi cosa sia; poi rientra in casa, accosta i vetri della
finestra ed infine compie il tragitto del breve corridoio del suo appartamento,
ed apre il portoncino. Niente di speciale, c’è soltanto una fetta di una torta
incartata dentro un fagottino, un piccolo regalo come a volte ci si scambia tra
persone che si conoscono da parecchio tempo. Però è anche un segnale
importante, secondo lei, tanto che torna subito alla sua finestra per
ringraziare, per mostrare quanto sia stato gradito quel piccolo regalo, anche
se la sua vicina adesso non si vede, non sta più sulla terrazza. Allora prende
una piantina delle due che tiene sopra al suo davanzale, ne spolvera le foglie
con i polpastrelli delle dita, e poi va a metterla a sua volta sul pianerottolo
davanti al portone dell’altra donna. Forse è questo che ci vuole, pensa adesso:
sentirsi simili, quasi identici, accomunati in una stessa solitudine.
Bruno
Magnolfi
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