"Vorrei mangiare un piatto di
pasta al pomodoro", fa lui timidamente alla ragazza indaffaratissima che
serve i tanti clienti della tavola calda alla buona che resta vicino alla
stazione ferroviaria. "Va bene", fa lei senza guardarlo, "tra un
attimo si libera un posto accanto a Billi", indicando con il mento, in
considerazione del fatto che ha le mani occupate, un tizio stralunato che sta inforchettando
qualcosa tenendo lo sguardo fisso dentro al proprio piatto. Lui con pazienza si
mette in un angolo all’entrata, e restando così poco in mostra la ragazza
probabilmente si dimentica subito della sua presenza, tanto che ad un certo
punto fa sedere altre persone a dei tavoli che si sono ulteriormente liberati,
e lui allora scivola fuori dal locale cercando di non farsi vedere, per non
metterla a disagio per quella lunga attesa senza scopo. Poi attraversa tutta la
piazza di fronte e arriva fino al solito chiosco di pizza a taglio frequentato
generalmente dai ragazzi, dove addenta una focaccia ripiena restando in piedi
davanti ad un bancone lungo la parete. Potrebbe permettersi una vera cena in un
bel ristorante con i quattrini che si ritrova nelle tasche, ma per lui adesso mostrarsi
è esattamente come condannarsi.
Ha trovato un portafoglio bello
gonfio in terra appena qualche ora prima, accanto a due tizi che stavano
discutendo dandogli le spalle, e lui non visto ha tirato fuori i tanti soldi
che ci ha trovato dentro, e poi ha rimesso tutto come stava, infilandosi in
tasca solo quel denaro. Non è un furto, ha subito pensato per giustificare il
gesto: probabilmente il portafoglio non era neppure di quei due. Però adesso
non si sente a posto con la propria coscienza, anche se oramai non può più
restituire niente. Forse qualcuno potrebbe avere dei sospetti su di lui, quei
due potrebbero averlo intravisto per un attimo alle loro spalle; potrebbero
cercarlo, magari proprio attorno al posto dove si è indebitamente appropriato
dei loro quattrini. Potrebbero essere dei soldi segnati quelli che lui ha
preso, ha pensato persino poco dopo, e così li ha infilati in una tasca interna
del tutto invisibile, disposto a non spenderne niente almeno per un paio di
settimane.
Ma anche così non si sente a posto,
e nonostante viva di espedienti, sa perfettamente che quei soldi non sono
proprio i suoi, e che in un modo o nell’altro deve trovare la maniera per
scaricare la propria coscienza, e ritrovare quella tranquillità che da questo
pomeriggio non ha più. Gira a caso con una birra in mano per un po’, quindi
getta la bottiglia vuota in un cestino e lascia sprofondare le sue mani nelle
tasche, con in mente soltanto la pensione da disgraziati dove la notte generalmente
va a dormire, e dove deve rientrare entro l’orario in cui chiudono l’ingresso.
Poi, seguendo un istinto, torna alla tavola calda dove era entrato prima, e
dalla vetrina vede ancora la ragazza che serviva ai tavoli. Dentro non c’è più
nessuno adesso, lei probabilmente ha finito il suo turno, difatti dopo un
attimo la vede mentre indossa un giaccone, va verso la porta ed esce sulla
strada, proprio davanti ai suoi piedi.
“Ciao”, le fa lui timidamente;
“scusa se sono andato via poco fa, ma forse stasera c’era troppa confusione nel
locale”. Lei lo guarda sorridendo, non si ricorda proprio di lui, però le viene
a mente che c’era stato qualcuno che le aveva chiesto di mangiare, così gli
dice soltanto: “dispiace a me, forse era soltanto il momento peggiore di tutta
la serata”. “Posso accompagnarti”, le fa lui. “Va bene”, dice lei dopo un attimo;
“la mia casa comunque è qui vicino”. “Ho trovato dei soldi”, le fa subito lui,
“ma non posso tenerli, e non so neppure cosa farne”. “D’accordo”, dice lei,
“puoi pure darli a me; ed io ti terrò ogni sera un posto libero ad un tavolo
nella mia tavola calda, per tutto il periodo che serve, magari fino a quando
non finiscono”.
Bruno Magnolfi
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