sabato 1 febbraio 2025

Proprio stupenda.


Sono fermo presso la mia scrivania di lavoro, seduto come sempre sopra la poltroncina rivestita di stoffa rossa e le rotelle girevoli alla base, con gli avambracci distesi sul piano chiaro e semilucido ingombro ai lati da cartelle, fogli e documenti quasi tutti spillati tra di loro, e nella mia immobilità osservo lo schermo luminoso del terminale di fronte a me, senza avere particolari reazioni. Mi sento spossato, senza entusiasmi, incastrato tra alcuni pensieri che non mi portano più oramai da alcuna parte, ed è come se quasi non riuscissi a vedere niente, e le cose da fare di fronte a me e la mia stessa occupazione di impiegato amministrativo del Comune non mi fornisse più alcuno stimolo. Lascio trascorrere i minuti cercando di resistere alla voglia di prendere la cornetta del telefono e di chiamarla, ora, semplicemente, in questo stesso momento, oppure alzarmi dal mio posto di lavoro e scendere rapidamente la scalinata di questo vecchio palazzo fino a giungere davanti alla sua scrivania, e poi osservarla per un lungo momento, paralizzarmi quasi di fronte a lei, e infine chiedere a Monica se per lei sia ancora possibile conservare a lungo questa specie di indifferenza verso di me. Ma non devo farlo, devo rispettare i suoi tempi, attendere che tutto riprenda un comportamento più abituale, senza alcuno strappo, privo perciò di richieste e di nodi da sciogliere.

Mi alzo lentamente, cerco di scrollarmi di dosso la sensazione che tutto stia come sbriciolandosi senza che io possa fare niente, poi vado al bagno, mi sciacquo la faccia, lavo le mie mani, infine mi osservo un momento nello specchio. Sembra una tortura dover attendere che qualcosa accada; pare che io debba perdere per forza quell’entusiasmo che mi ha provocato rapidamente quel frequentarla per questo poco tempo che abbiamo avuto a nostra disposizione. Vorrei trovarmela di fronte soltanto per chiederle che cosa sia che riesce a trattenerla dal farsi ancora viva, dal darmi un segno, dal mostrare la volontà di vedermi nuovamente, di stare ancora con me, di darmi un nuovo appuntamento; non so spiegarmi questo suo lasciare che i giorni lenti e cadenzati e le ore che li costituiscono aprano un varco così amaro e insopportabile nei miei desideri; ma devo resistere, mi ripeto mentre guardo la mia faccia quasi stralunata. Devo essere indifferente a queste lunghe pause, e tanto più sarà dura la mia attesa, tanto più sarà dolce la sua voce al telefono quando alla fine chiamerà. Non devo dare importanza a questo comportamento che lei riesce a tenere: sicuramente le torna naturale, senz’altro non sta minimamente pensando di sottopormi a una tortura; è il suo modo di fare, la sua maniera di tenere sempre con tutti una certa distanza, forse per prudenza, per timidezza, o magari soltanto per evitare gesti affrettati, che in fondo non servono mai a niente.

Mi convinco, torno nel mio ufficio, i colleghi mi gettano un’occhiata senza dirmi niente, ed io riprendo in mano le scartoffie, ripercorro mentalmente quanto stavo facendo fino a poco fa, poi scorro rapidamente le cose che ho lasciato a mezzo, e poco per volta ricomincio a svolgere con calma il mio lavoro, applicandomi a quelle documentazioni, pur con uno sforzo, ma ritrovando tutto ciò a cui poco prima stavo dando un compimento. Non devi pensare a lei, sembra ci sia scritto da qualche parte su qualcuna di queste carte che tengo adesso davanti agli occhi; non devi farti distrarre ancora da qualche riflessione senza senso, che non porta mai assolutamente da nessuna parte. Non è cambiato niente da quando ho preso a frequentare Monica; sono lo stesso, sono la medesima persona, e ciò che sto portando avanti è solo il mio lavoro, a cui devo applicarmi con tutto me stesso durante questo orario, senza mettere altre cose di mezzo. Mi calmo, riprendo pienamente il controllo di tutto quanto, Monica è distante, non è al piano sottostante di questo stesso edificio. Poi suona il telefono interno sopra la mia scrivania. È lei, mi parla come se fosse la cosa più normale di questo mondo, chiede di vedermi, sempre se mi va, magari di passare da lei dopo il lavoro, a casa sua, anche se riconosce che sono diversi giorni che non ci sentiamo, e forse dobbiamo parlare un poco di noi due.

 Rispondo che va bene, che va benissimo, che anche io avevo in mente la stessa idea precisa, ma poi mi freno, ricordo in un lampo che avevo deciso di fare maggiormente il riservato, di farmi desiderare, di essere meno disponibile con lei, ma ormai è fatta, non posso certo rimangiare le mie stesse parole, perciò dico soltanto: <<Ci vediamo a casa tua nel tardo pomeriggio, come sempre>>. Penso che probabilmente passerò un momento dal fiorista lungo la strada, le prenderò un mazzolino, qualcosa di simpatico e di colorato, e forse anche una bottiglia di vino buono, tanto per festeggiare una serata forse come tutte, ma che per me improvvisamente sembra stupenda.

 

Bruno Magnolfi  

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