mercoledì 30 luglio 2025

Farli contenti.


            Sono sicuro che il dottore avrà preparato già le domande da porre, ben scritte in fila sul suo taccuino e tutte molto comprensibili, ed al fianco di quella colonna di quesiti il suo desiderio sarà certamente quello di inserire rapidamente tutte le risposte che si aspetta dalle mie parole. Naturalmente azionerà anche il proprio fedele registratore appena sarò entrato e mi sarò seduto nel suo ambulatorio al primo piano della clinica psichiatrica, dove mi reco ad ogni visita di controllo, ma io oggi sono ben fermo nel non rispondere niente, o almeno nulla che non sia strettamente essenziale. Non perché non mi vada di parlare con lui, quanto perché quei quesiti che pone di solito sono sempre parecchio fastidiosi, e vanno a curiosare spesso nei miei ricordi d’infanzia, e poi sfiorano il rapporto che avevo con la mamma, e se per caso in questo periodo io stia cercando di individuare una persona con cui stabilire una relazione simile a quella che avevo con lei, o che magari mi possa ricordare i sentimenti che provavo quando lei era in vita, e tante altre cose del genere, che oramai conosco già perfettamente. Se il dottore se ne stesse in silenzio e non mi chiedesse nulla, forse inizierei di mia personale iniziativa a confidargli come trascorro le mie giornate, a che cosa penso, quali sono le persone che frequento o con cui vorrei stare di più, ed altre cose del genere; ma l’interrogatorio mi resta qualcosa di insopportabile, e mi pare anche curioso che una persona intelligente e studiosa della materia come lui non se ne sia resa conto già da parecchio tempo.

            Mia sorella e suo marito come sempre mi aspettano fuori, nella sala d’attesa, ci vuole quasi tre quarti d’ora di macchina per arrivare fino qui, e durante il viaggio, mentre io sto seduto sul dietro della vettura, parlano tra loro di mille cose che non dovrebbero interessarmi quasi per niente, e che in effetti generalmente non tento neanche di ascoltare, anche se adesso hanno appena finito di dire qualcosa su quel ragazzo senegalese, come dicono loro, argomento che ha attirato subito la mia attenzione. Poi, quando hanno visto che mi ero spostato in avanti per comprendere meglio le loro parole, hanno subito cambiato l’argomento. Anche loro mi fanno innervosire talvolta, con quei piccoli segreti che pare si ostinino ad avere sempre, quell’abbassare il tono della voce per non farmi comprendere le parole che si scambiano, e poi quello sbuffare di Carlo che sembra ogni volta debba affrontare chissà che cosa mentre semplicemente guida la sua macchina e mi accompagna fino a questa clinica. Probabilmente è per far pesare a mia sorella una volta di più il fatto che lui si sta prendendo il carico, anche in questo caso, delle tante incombenze familiari, faccende che molto probabilmente sarebbe pronto a mettere da parte, disinteressandosene del tutto, se non fosse che in fondo tiene alla propria famiglia e non desidera scatenare troppe discussioni.

            Mia sorella cerca di tenerlo buono: annuisce, dice le cose che lui desidera sentirsi dire, e poi probabilmente gli ripete più di una volta che le dispiace dover approfittare di lui e della sua macchina, ma non ci sarebbe un altro modo comodo per raggiungere l’ospedale, e che in fondo è una piccola cosa quella che gli si chiede di fare ogni tanto. Lui non la guarda, però sbuffa: a me piacerebbe che il dottore mettesse anche Carlo qualche volta davanti alla sua scrivania, ed iniziasse a fargli tutte quelle domande che invece pone a me, perché sono sicuro ne uscirebbe un quadro non chiarissimo della sua persona, ed anche lui proverebbe un forte disagio, molto più forte di quanto possa immaginare. Mia sorella invece è brava: sopporta tutto quanto e cerca sempre di appianare le cose che appaiono più spigolose, e cerca di non lamentarsi in nessun caso, anche se certe volte si vede che mostra i propri limiti. Il dottore mi saluta con serietà e cortesia, mi dice di mettermi seduto, apre la cartella intestata a mio nome ed il suo taccuino, e poi riguarda tutti gli appunti che ha messo insieme probabilmente fin dalla prima volta che mi ha visto, raffrontando anche le date di ogni visita.

            Tra una domanda e l’altra, in una pausa in cui il dottore scorre qualche dato oppure prende degli appunti, gli dico che sto impartendo delle lezioni ad un migrante che comprende poco l’italiano, e lui sembra interessato, gli piace questa attività che sto affrontando, e quindi lascia che gli spieghi nei dettagli come riesco a portare avanti questo insegnamento. Gli dico che sto parlando anche molto di più in queto periodo, e che ho smesso quasi del tutto di urlare quando le cose non mi tornano. <<Mi sto comportando nel modo più normale possibile>>, dico in fretta al medico, <<ma i miei compaesani proseguono lo stesso a dire che sono mezzo matto, che quel dico e quel che faccio è sempre un po’ sconclusionato, e che in me non si trova mai un minimo di logica. Però a me interessa poco quel che dicono, e difatti certe volte faccio il matto, ma soltanto per farli più contenti>>.

 

            Bruno Magnolfi  

lunedì 28 luglio 2025

Quanto accaduto.


            <<Caro Niocke>>, recita il foglietto attaccato sopra la serranda dell’officina. <<Oggi non riuscirò a venire a lavorare. Purtroppo, ieri sera, dopo che sei andato via tu, sistemando le macchine all’interno subito prima di chiudere, sono scivolato con un piede su una piccola chiazza d’olio, ed ho dovuto farmi aiutare da un conoscente per lasciare l’officina ed andarmene a casa. Ma nella serata poi la caviglia mi si è gonfiata a dismisura, e così io e mia moglie siamo stati costretti a chiamare un’autoambulanza che mi ha portato in ospedale, ed adesso sono ancora qui perché sembra si sia rotto non so quale osso del piede e pare proprio mi debbono operare per rimetterlo a posto. Tu non preoccuparti, spiega pure ai clienti che giungono lì che cosa è successo, e se non sono dei piccoli lavoretti da eseguire sulle loro macchine, dì loro tranquillamente che purtroppo, per almeno una ventina di giorni, non siamo in grado di affrontare le cose. Le chiavi delle serrande te le avevo date già da parecchio tempo, perciò usale per aprire e chiudere il nostro luogo di lavoro. Fai attenzione a coloro che ti chiedono qualcosa, magari approfittando del fatto che tu non conosci bene la lingua e non sai del tutto le riparazioni che si possono fare. Non parlare di soldi con nessuno, ma le macchine che sono già pronte consegnale pure, magari segnandoti la marca e il numero di targa, e per riscuotere poi ci penserò io quando ritorno. Sopra al bancone delle chiavi inglesi è segnato il mio numero di cellulare; perciò, quando puoi, chiamami pure dal telefono dell’ufficietto interno, quando e se ti trovi in difficoltà con qualcosa o con qualcuno. E non preoccuparti di nulla: andrà tutto bene>>.

            A fine mattinata poi giunge una chiamata dalla moglie di Aldo: <<Scusi signor Niocke>>, dice la donna, <<hanno portato adesso in sala operatoria mio marito, e lui voleva farle sapere che non potrà tornare in officina per almeno un paio di settimane, e comunque, anche tornando in quel periodo, non sarà operativo per ancora più tempo, visto che dovrà portare un gesso su tutta la gamba per almeno un mese. Però, già da domani, potrà aiutarlo per via telefonica se ci fossero dei problemi, e comunque mi ha detto di riferirle che si fida molto di lei e che gli dispiace di quanto sta avvenendo, e la ringrazia della sua disponibilità>>. Niocke annuisce, dice che va bene, che farà del suo meglio, poi riaggancia la cornetta. Sono già arrivati due clienti stamani con le loro macchine da riguardare, e lui ha detto loro quello che era successo, spiegando immediatamente che non poteva aiutarli in questo momento. Ambedue si sono dimostrati seccati di questo contrattempo, anche perché non c’è nel paese un’altra officina del genere, e alla fine però se ne sono andati. Lui ha proseguito a lavorare sui motori che aveva smontato nei giorni precedenti, però adesso si sente tormentato che ad un certo punto rimanga senza poter fare più niente. Forse nel centro abitato si è già sparsa la notizia che lui è rimasto da solo in quell’officina, ed adesso è preoccupato anche del fatto che qualcuno possa approfittarsi della sua situazione. Nel pomeriggio alcuni ragazzi sono passati davanti alle serrande per vedere magari se lui stesse lavorando o meno, ma nessuno di loro gli ha detto qualche cosa.

            Nella giornata successiva invece, è arrivato un uomo a piedi per dirgli in modo aggressivo che probabilmente era stato lui a far cadere Aldo Ferretti, e che il suo piano era sicuramente quello di rubargli tutti i soldi che c’erano nell’officina e magari escogitare un piano per raggirare i clienti. Niocke non ha risposto nulla naturalmente, però ha iniziato ad avere paura, soprattutto del fatto che la voce di una cosa del genere sembra prendere campo facilmente nel paese, fino a metterlo così in condizioni di chiudere l’officina e di andarsene. Perciò ha telefonato ad Aldo, ed anche se lui non ha risposto, dopo un certo tempo però lo ha richiamato. <<Mi immaginavo accadesse qualcosa del genere>>, gli ha detto. <<Non preoccuparti, da domani farò venire da te un mio parente che ha del tempo libero, ed anche se non capisce niente di motori, però può aiutarti nei confronti di qualche persona che cerca al contrario di metterti a disagio>>. Niocke ha riattaccato con una maggiore tranquillità a quel punto, ma quasi all’ora della chiusura, dopo aver eseguito due cambi d’olio ad altrettanti clienti, ed aver lubrificato smontandoli i cuscinetti a sfere di un vecchio furgoncino, si è trovato di fronte due persone che non conosceva, le quali usando poche parole gli hanno intimato di chiudere l’officina, spiegando che non era un luogo dove poteva rimanere, e mentre lui stava voltato per sistemare le proprie cose, hanno tirato fuori una spranga e lo hanno colpito diverse volte, lasciandolo a terra. Poi lui si è rialzato, un po’ dolorante, quando ormai i due erano già spariti, e così ha telefonato subito ad Aldo, e gli ha spiegato tutto quello che era accaduto.

 

            Bruno Magnolfi

sabato 26 luglio 2025

Così e nient'altro.


            Antonio si sente orgoglioso di quanto sta facendo. In fondo il suo senso di solidarietà verso chi è più svantaggiato è sempre stato il primo dei propri pensieri, ed adesso è anche convinto che ogni rimedio a questo problema passi da quell’importante svincolo dato dai contenuti di quei libri che per loro natura sono a disposizione di tutti. La lettura delle storie che si trovano racchiuse tra quelle innumerevoli pagine di carta, secondo lui, può essere quanto di più fondamentale per scoprire quanta realtà possa esistere senza che ci si debba muovere neppure da casa o addirittura dalla propria sedia. Sono le biblioteche difatti il fulcro di ogni innalzamento della cultura popolare, e solo da lì può transitare il miglioramento dei livelli di percezione generalizzata del potere sulla gente, anche di una piccola borgata di provincia. Lui è abituato ad andare in biblioteca, prendere in prestito dei libri e poi leggerli con calma nella sua stanzetta. Ma adesso che può spiegare a qualcuno cosa ci sta sotto a quei caratteri di stampa, che cosa significano quelle lettere messe tutte in fila, quelle parole organizzate in frasi, in periodi, in paragrafi, comprende perfettamente la propria fortuna, e si sente felice di poter trasmettere a qualcuno tutto questo. Non tanto per l’atto in sé, quanto perché è consapevole di come sia quella la strada per comprendere le cose del mondo, tanto che la lettura e la scrittura sono a parer suo il vero fondamento della vita sociale.

            Dopo aver assimilato i primi rudimenti, Niocke, una volta tesserato presso la biblioteca del paese, si è fatto consegnare dall’impiegata il suo primo libro in prestito scritto interamente in italiano, proprio per fare esercizio di lettura, ed ha infilato il piccolo volume dentro al suo zaino con grande soddisfazione, come avesse iniziato con questo gesto un vero percorso di miglioramento della propria condizione esistenziale. Lo ha iniziato a sfogliare già mentre stava sulla corriera che lo riportava al centro immigrazione, ed ha cominciato sicuramente a comprendere molte delle parole scritte sulla carta, esclusa però qualcuna decisamente più difficile. Tra non molto immagina che potrà anche iniziare a scrivere i propri pensieri, o almeno a mettere giù qualche semplice appunto, qualche parola semplice, e tutto ciò secondo lui è un altro dei passaggi importanti tramite cui sentirsi una persona completa, pur in un paese per lui straniero. Ancora spera di incontrare quella ragazza che gli è apparsa come una visione nella biblioteca, per poterle dire che sta iniziando persino a leggere i libri nella sua lingua, e che sta iniziando poco per volta ad essere un vero europeo, quasi un italiano, e che le differenze tra le diverse culture quindi si stanno assottigliando, e tra non molto loro due potranno anche scambiarsi delle opinioni con una certa normalità.

            Antonio non comprende fino in fondo quale sia lo stato d’animo di Niocke, gli pare comunque che il suo modo di guardare tutte le cose sia così particolare da renderlo certe volte distante, anche se riconosce in lui una notevole voglia di imparare, di assorbire i modi di fare della gente che ha continuamente intorno, di cambiare in fretta, il prima possibile, anche le proprie caratteristiche, fino a mostrarsi a tutti come un semplice ragazzo come sono gli altri. Poi si ritrovano di nuovo durante un tardo pomeriggio presso la biblioteca cittadina, e Niocke dice subito: <<Credo di essere riuscito a scrivere qualche parola di senso compiuto, senza copiarla; vorrei farti controllare queste piccole cose, e magari correggere insieme gli errori, in modo da comprendere bene dove faccio degli sbagli>>. Così i due entrano in quel paio di piccoli locali quasi interamente adibiti a scaffali per i libri, e davanti ad uno dei tavoli c’è lei, di nuovo, con la sua amica, mentre sta studiando esattamente come la volta scorsa. Sottovoce Niocke dice ad Antonio: <<Vorrei scrivere qualcosa per quella ragazza, ma i miei pensieri non riescono ad andare a braccetto con le frasi, e d’altra parte non posso farmi aiutare da te per una cosa come questa>>. Poi si siedono, e Sara mostra subito un’invitante piccolo sorriso, anche se guarda verso Niocke appena per un attimo veloce. Lui si sistema in modo da poterla osservare ogni volta che gira il suo sguardo da quella parte, ma alla fine non si decide a fare niente, se non restare fermo, colpito da quella ragazza dall’espressione dolce.

            Infine, con molta riflessione, riesce a scrivere con semplicità sopra un foglietto: “SEI BELLISSIMA”, quindi si alza dalla sedia con estrema calma, si avvicina al tavolo di Sara e deposita davanti a lei quel foglio con la grafia stentata, lasciandole lì anche un piccolo sorriso. Poi trascorre il tempo, Niocke si impegna nel seguire la lezione che gli impartisce Antonio, e quasi non pensa più a quella ragazza che ha sentito ridere insieme alla sua amica. È soltanto quando loro due si alzano per andarsene, che lui va verso di loro, e sulla porta della biblioteca dice semplicemente a Sara: <<Mi chiamo Niocke; mi piacerebbe qualche volta camminare per strada insieme a te>>. Lei sorride, non dice niente, ma si vede che si sente lusingata. Poi se ne va, anche se infine si volta, torna indietro di due passi e poi dice soltanto: <<Mi chiamo Sara>>, e poi nient’altro.

 

            Bruno Magnolfi  

mercoledì 23 luglio 2025

Vero combattente.


            I ragazzi scherzano, ridono, sembrano sempre privi di qualsiasi preoccupazione. La domenica mattina svolgono un’ora di allenamento sul campetto di calcio del paese, e diventano seri solamente quando il disponibile istruttore di calcio impartisce loro degli ordini piuttosto precisi. Qualcuno sbuffa, altri al momento non dicono niente, ma quando si ritrovano tutti assieme negli spogliatoi decisamente spartani dicono spesso e senza mezzi termini che il loro allenatore in certi casi è un cretino, e che non comprende mai le possibilità vere che con naturalezza può esprimere ciascun giocatore. Marco è tra quelli che non produce facilmente dei giudizi così taglienti, ma in genere si reputa però un capopopolo, uno che ha una sensibilità sufficiente per comprendere appieno i desideri e i malumori dei suoi compagni, e di interpretare di conseguenza tutte le loro pene, persino esprimendosi con una semplice frase, oppure con una sola parola messa lì nel momento più adatto. Lui non giudica l’allenatore, però a volte annuisce quando la loro figura di riferimento viene criticata da qualcuno. Adesso poi c’è anche Niocke in mezzo a loro. Lui non dice mai niente, meno che mai si permette di fare apprezzamenti su qualcuno. Però Marco d’improvviso, mentre sono tutti seduti sulle panche a cambiarsi le magliette, gli chiede che cosa ne pensi del loro istruttore, cercando magari di metterlo a disagio o di farlo scoprire con qualche affermazione strampalata, da utilizzare in seguito e addirittura ritorcergli contro. Niocke prende tempo, riflette, intorno intanto si forma all’improvviso un deciso silenzio, e lui guarda a terra, come a cercare delle risorse, poi solleva gli occhi su Marco: <<È un brav’uomo, secondo me>>, dice infine con convinzione. Nessuno trova niente da ridire, lo spostamento dell’accento sulle qualità umane forse non era neppure previsto, e probabilmente non era neanche l’oggetto vero della domanda, ma il risultato lo ottiene.  

            Tutti adesso parlano d’altro, è come se quel primo argomento fosse ormai stato archiviato, e qualcuno inizia a riflettere intensamente su sé stesso, magari immaginando o sperando che il giudizio di Niocke per ognuno dei ragazzi che giocano al calcio in quel campetto sia forse univocamente benevolo, ma alla fine nessuno di loro dirà mai che è interessato a qualcosa del genere. Niocke non ha mai dato giudizi, neppure quando qualcuno, appena era arrivato con gli altri migranti, lo ha preso a male parole oppure lo ha offeso. Non è che sia uno abituato solamente a subire, è soltanto che non fa parte del suo carattere cercare i difetti negli altri, tantomeno in quelle persone che normalmente gli stanno più attorno. Crede profondamente nell’armonia delle cose, ed ogni suo pensiero è sempre rivolto verso la pacatezza, la calma, l’equilibrio. Qualcuno dei ragazzi del calcio ha iniziato a comprendere questa sua indole, ma il fatto che lui non si arrabbi mai, neppure per un brutto fallo subito da un prepotente, lo mostra come un individuo diverso da tutti, talmente differente da risultare persino fastidioso. Ma in mezzo alla calma che si stabilisce nello spogliatoio, qualche attimo prima di andare via, Niocke riprende ancora la parola, per dire soltanto: <<Ringrazio tutti voi, comunque, perché mi state accogliendo in una maniera come non avrei mai immaginato>>. E poi basta.

            A Marco piacciono subito quelle parole coraggiose, e forse anche ad altri, nonostante nessuno di loro mostri di dare un qualche peso a delle affermazioni del genere; poi tutti si alzano dalle panche, ricominciano a scherzare come sempre, ed alla fine si salutano, andandosene via a gruppetti di due o di tre. Niocke se ne va via da solo, come sempre, nessuno per adesso sembra sia interessato a dargli una qualsiasi possibilità di amicizia. A lui questo non interessa troppo al momento; sa benissimo che per contare nel futuro su di un appoggio sincero da parte di qualcuno di quei ragazzi che giocano al calcio con lui, sarà lunga la strada da seguire, e forse non sarà neppure priva di ostacoli. Il punto, in sostanza, che lui peraltro comprende benissimo, è che anche per coloro che lo conoscono di più tra tutti quei paesani, la strada per accettarlo veramente è lunga e difficile, e che per uno come lui non esiste altra possibilità che quella di accogliere tutto ciò che ne può derivare.  

            Il suo fisico è magro, talvolta non sente neppure il bisogno di mangiare a sufficienza: non è questo il suo vero problema, perché la sua necessità più forte è soltanto quella di trovare una ragione reale per affrontare ogni sacrificio che la realtà gli richiede; perché in fondo sa benissimo che è soltanto quella prospettiva, che peraltro ancora non ha messo a fuoco, la sola che può dargli l’impulso che serve per essere di fronte a tutti un vero combattente.

 

            Bruno Magnolfi

domenica 20 luglio 2025

Esperienze di vita.


            Alcune volte mi arrabbio quando non sembrano proprio riuscirmi certe operazioni che ho progettato nella mia testa; oppure nei momenti in cui tutto mi sembra che vada storto, e non trovo in nessun modo la maniera di far cambiare direzione a tutte le cose che ho di fronte. Poi arrivano davanti a me certi clienti che sono dei veri pignoli, ed hanno sempre da ridire persino se trovano una semplice mezza ditata di unto sulla carrozzeria della loro auto, come se fosse preziosa, e anche quelli che non vengono mai a riprendersi la macchina e a pagare la riparazione quando dovrebbero, e magari i loro macinini sono proprio di ingombro, visto che ogni sera devo metterli tutti all’interno della mia officina, dove non c’è mai troppo posto, considerato che non piace a nessuno che io lasci le auto all’esterno sulla strada, specialmente quelle mezze smontate per qualche manutenzione. Poi mi vengono di fronte a loro comodo con l’espressione più innocente che sia possibile, ed è lì che mi monta il nervoso, quando cercano subito di accampare delle giustificazioni che a me neanche interessano, ed io allora me ne sto fermo e in silenzio, senza guardarli, perché penso sia meglio così anche per loro, visto che poi sposto lo sguardo su Niocke, il mio aiutante, che sta con me e vede esattamente le stesse cose che vedo io, ma lui a differenza di tutti non se la prende mai di nulla, come se niente quasi lo riguardasse, ed allora penso ancora che devo contentarmi anch’io di quello che ho, e anche di quello che riesco a fare, e devo finirla una buona volta di lamentarmi e di sbuffare, perché ci sono persone che stanno molto peggio di me, e non dicono mai un bel niente, ed io alla mia bella età devo imparare a non prendermela, in nessun caso.

            Poi dico a Niocke: <<Adesso vai, il tuo orario per oggi è terminato, non devi restare qua per fare ancora chissà cosa>>, ed allora lui mi dà retta, si prepara, fa una doccia, si lava a lungo le mani, si toglie la tuta, si veste in maniera più ordinaria, ed io lo guardo e in qualche maniera sento di invidiarlo. <<Hai tutta la vita davanti a te>>, vorrei dirgli, <<anche se tutto per te è iniziato così in salita, col piede sbagliato, e poi senza colpe ti ritrovi a percorrere una strada che forse non hai neppure scelto da te fino alla fine>>. Niocke non dice niente, svolge le sue operazioni in silenzio, però ha capito che io gli voglio bene, ed anche se sono scorbutico sto sempre dalla sua parte, e che se una volta o l’altra avrà bisogno di una mano non sarò certo io quello pronto a tirarmi indietro. Quando va via mi fa un semplice cenno con la sua mano nera, ed io lo accompagno con lo sguardo, non dico niente, ma vorrei piangere per lui, per un mondo così sbagliato da sacrificare un tale bravo ragazzo pieno di buona volontà e di rispetto. Poi stringo qualche bullone, metto via le chiavi inglesi, riordino le tante cose sparse e gli utensili usati durante tutta la giornata. Bisognerebbe dare anche una spazzata al pavimento, ma non ho più voglia di fare niente adesso: lo dirò a Niocke domattina, di dare una pulita in giro, per far vedere ai clienti che noi ci teniamo al nostro luogo di lavoro.

            Quindi non mi resta che sistemare tutte le macchine dentro l’officina, senza neanche avviare il motore, semplicemente spingendole a mano una per volta, piazzandole una a ridosso dell’altra, proprio per creare un mosaico di carrozzerie quasi senza soluzione di continuità, fino a quando non riesco a chiudere a chiave le due serrande, e a dire basta, per oggi ho finito con il mio lavoro. Mentre torno a casa qualcuno per strada mi saluta, io faccio un piccolo cenno e tiro diritto. In molti dicono che sono uno scorbutico, ma io non credo sia del tutto così: ritengo non soltanto inutili certi orpelli che vedo in giro nei comportamenti tra le persone, ma addirittura dannosi; credo che tutte le cose vadano prese nella loro stretta essenzialità, senza cercare di renderle migliori o peggiori per un proprio tornaconto o per mostrare quanto si è capaci di apprezzare un elemento oppure l’altro. Sono sicuro che Niocke non avrà la vita facile mandando avanti le sue cose. Fino adesso i miei compaesani lo hanno quasi ignorato, immaginando che se ne sarebbe andato presto da qui, sparito chissà dove, di sua spontanea volontà. Ma lui è un osso duro e non molla facilmente: svolge il suo lavoro, dà confidenza a chi gli parla, e gli altri li lascia perdere, abbassa lo sguardo e prosegue con le sue cose, come se non esistessero. Prima o dopo darà fastidio anche questo suo comportamento, specialmente quando qualcuno inizierà a rendersi conto che si sta integrando, che con il tempo lui sta cambiando, che non è del tutto diverso anche da coloro che lo guardano ancora come un animale strano, e che forse dentro di sé trattiene un’esperienza di vita che nessuno di noi ha mai avuto, e che probabilmente soltanto parlando potrebbe insegnarci molte cose, proprio quelle che forse non sapremo mai.

 

            Brino Magnolfi

giovedì 17 luglio 2025

Senso del futuro.


            Alcuni, tra tutti i ragazzi di questo centro abitato, compresi naturalmente coloro che giocano nella squadra locale di calcio, ultimamente hanno iniziato a dire che si dovrebbe dare una bella lezione “a quello là”, e fargli vedere una buona volta quando sia il caso o meno di stare ognuno al suo posto, piuttosto che uscirsene fuori “a fare il fenomeno”. Anche Marco ha sentito in giro queste storie, ma non ha commentato, forse soltanto perché non vuole essere parte del gruppo tra i più incattiviti. Mettersi direttamente a contrastare quella nuova presenza in squadra, peraltro piuttosto apprezzata dal loro allenatore, consisterebbe di fatto come giungere subito a creare uno scontro verso suo padre, che già viene criticato da alcuni paesani per la sua carica di Sindaco, a causa della politica che porta avanti, secondo loro un po' troppo liberale, e questo lui non lo vuole, o almeno non per queste motivazioni. Però è del tutto convinto che anche solo restare a guardare senza prendere una posizione precisa non faccia certo parte dei suoi modi e del suo carattere, perciò, dentro di sé, si sente combattuto, anche se evita oramai di parlare di questo argomento addirittura con gli amici più intimi. Qualcuno ha persino notato che quel migrante si fa dare delle lezioni da Toni Boi nella loro biblioteca cittadina, ed anche questo a molti non è certo piaciuto, come se un po’ troppo velocemente quel ragazzo di colore si stesse approfittando di tutte le possibilità che offre il loro centro abitato. 

            Qualche ragazza poi, sulla corriera del mattino, quando i pochi studenti liceali si spostano nella città più vicina per andarsene a scuola e a studiare, ha fatto ad alta voce degli apprezzamenti su quella persona, nominandolo addirittura col proprio nome, e questo è sembrato, a qualcuno tra i maschi attenti e gelosi, del tutto inaccettabile. Marco ha deciso perciò di parlarne direttamente con suo padre, o almeno fargli presente anche soltanto con una semplice battuta la situazione come si va presentando, e quella sera stessa, durante la cena di famiglia, se ne è uscito con queste parole: <<Sembra che alcuni stiano preparando una bella lezione per il tuo immigrato>>, proseguendo a guardare il proprio piatto e muovendo soltanto le mani per stringere la forchetta e il coltello. Sua madre ha subito emesso un’esclamazione di sorpresa, come per rigettare indietro quelle brutte intenzioni, e il Sindaco comunque ha preso del tempo, come per riflettere bene su questa notizia. Infine, conservando un tono piuttosto basso della propria voce, ha detto soltanto: <<Se qualcuno fa qualcosa del genere si metterà immediatamente nei guai>>.  Poi, a tavola, si è parlato d’altro, ma una volta terminata la cena, il Rimonti è andato da suo figlio, nella sua stanza, e restando in piedi sulla soglia gli ha chiesto se sapesse qualcosa di maggiormente preciso; il ragazzo ha negato, ha detto che ne aveva semplicemente sentito parlare, ed alla fine suo padre gli ha detto soltanto: <<Se sai qualcosa di più, dimmelo subito, appena ne verrai a conoscenza>>, dando alle proprie parole un timbro piuttosto risoluto, di chi è  attento alle voci, e sa adeguatamente valutare l’importanza dei fatti.

            Intanto, Niocke prosegue come sempre a lavorare nell’officina di Aldo Ferretti, ma qualche volta un gruppetto di ragazzi piuttosto sfaccendati, a dire la verità senza mostrare alcuna brutta intenzione, ha preso a passare da lì davanti, e ad osservarlo tra le macchine ferme, come a sincerarsi della presenza di quel migrante africano nella vita sociale ed economica del loro paese, e qualcuno della comitiva si è lasciato andare a qualche sonora risata, come per lanciare nell’aria un vago senso di irrisione e di sfida. Anche Sara, assieme all’immancabile amica Laura, si è ritrovata con curiosità a passare davanti a quell’officina, e Nockie naturalmente era lì, come sempre dentro la sua tuta da lavoro, con le mani in mezzo a qualche ingranaggio, impossibilitato a tradire anche una minima emozione alla sua vista. Lui sa però che tornerà in biblioteca insieme ad Antonio, prossimamente, e la sua speranza è tutta concentrata sulla possibilità che per quel giorno ci possa essere anche quella ragazza in quei locali, in modo da avere la possibilità di rivolgersi a lei almeno con un fugace sorriso.

Niocke non vuol credere che qualcuno ce l'abbia davvero con lui; anzi, sa benissimo che in molti fino adesso si sono mostrati disponibili a dargli una mano, e in fondo lui si sta trovando benissimo in questo paese, tanto da iniziare ad affezionarsi almeno a coloro che vede più spesso durante la sua giornata. Non sarà facile avvicinare quella ragazza carina però, questo lo capisce benissimo: difficilmente, se solo facesse amicizia con lei, in quel piccolo centro abitato qualcuno avrebbe da esserne davvero contento. Anzi, Niocke è più che sicuro che in quel caso semplicemente uscirebbe fuori qualche agitato a dirgli di smetterla, di lasciare perdere una cosa del genere, perché per uno come lui non ci potrà mai essere un futuro in questo senso.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 16 luglio 2025

Argomenti non attinenti.


            Durante tutta la giornata ci sono delle ore in cui all’interno del mio locale generalmente non si fa vedere nessuno, o comunque è difficile che qualcuno entri. Sono i momenti morti, quelli in cui controllo i conti, preparo gli ordini, o lascio volentieri a mia moglie il compito di darmi il cambio dietro al bancone. Noi abitiamo l’appartamentino sopra l’osteria, e praticamente oramai non facciamo alcuna differenza tra la vita privata e il nostro lavoro. Serviamo soprattutto dei quarti di vino ai pensionati che trascorrono il pomeriggio sui tavoli a giocare alle carte, ma riempiamo con gli affettati anche qualche panino, e poi c’è sempre qualcuno che si ferma volentieri a parlare con me del più e del meno, magari mentre lavo i bicchieri e li ripongo sugli scaffali. Anche mio figlio ogni tanto viene giù a dare una mano durante le serate, ma io preferirei che non aspirasse a fare il lavoro dei suoi genitori quando sarà più grande. Lui intanto studia, frequenta al mattino un istituto tecnico nella cittadina vicina, ed ogni giorno prende la corriera insieme a diversi altri ragazzi del paese con gli zaini pieni di libri. Naturalmente è difficile che non veniamo messi al corrente di ciò che succede o che si mormora nel nostro paese. Così la novità di questo ragazzo senegalese giunto fin qui a lavorare nell’officina di Aldo, pare continui a tenere banco tra i nostri compaesani.

            Per un altro lungo periodo di tempo invece si era parlato in tutte le maniere di quel Toni Boi, cognato di Carlo, rinchiuso per anni in una clinica psichiatrica, perenne depresso e giudicato matto da tutti quanti, fino a quando non è tornato all’improvviso a girare per le strade del borgo, anche se nessuno di noi da quel momento in avanti è mai stato capace di scambiarci una sola parola, visto che stava sempre da solo, silenzioso, per conto suo, semplicemente emettendo ogni tanto degli strani versi con la bocca, ma senza una vera ragione. Però ultimamente anche lui sembra migliorato, almeno a detta di tutti. Ancora non parla, gira per la piazza, lo noto a volte mentre servo qualche cliente dietro al mio bancone, e poi sta lì, ascolta gli altri quando fanno un capannello a parlare di calcio o di politica, ma sembra adesso che segua perfettamente quello che dicono, e in tanti sono convinti che prima o dopo aprirà la bocca e tirerà fuori la propria opinione su tutto quanto. Intanto legge i libri, e quello sono tutti sicuri che lo sa fare bene, visto che frequenta continuamente la biblioteca comunale.

            Ieri poi, a detta di diverse persone, sembra che Barbara, la nostra instancabile bibliotecaria, abbia accolto nei suoi locali Toni Boi insieme proprio a questo ragazzo di colore, e i due si sono messi seduti davanti ad un tavolo, a studiare i rudimenti della nostra lingua. Cioè, Toni faceva l’insegnante, e l’altro ascoltava senza perdere una sola sillaba. Qualcuno è venuto a dirmi che stando così le cose sarebbe bene che se ne stessero per conto loro quei due, visto che non sono molto utili in paese, però sembra che sia stato addirittura il nostro Sindaco Rimonti ad incoraggiare tutta la faccenda. Naturalmente non si parla quasi d’altro nella mia osteria, anche perché il ragazzo senegalese sembra che in officina ci sappia fare, anche se in molti ancora si raccomandano con Aldo di non lasciare a lui i lavori da fare sulla propria macchina. Mio figlio dice che questo migrante sa anche giocare al calcio, e la domenica pare lo abbiano inserito nella squadra locale, dove sembra cavarsela piuttosto bene.

            Si sono aperte discussioni di ogni genere su tutto questo, ed ovviamente c’è chi sta persino dalla parte del senegalese, anche se la maggior parte lo vorrebbe al più presto fuori dai confini del nostro piccolo Comune; in ogni caso la colpa di tutto viene sempre più attribuita al Sindaco, e stando a quello che si dice sembra proprio che per questo motivo non riuscirà ad essere rieletto quando andremo tutti al voto. Il Rimonti, quando passa qua davanti, si limita a sorridere alla gente e a stringere tutte le mani che gli porgono, ma qualcuno sospetta che in qualche maniera abbia il suo tornaconto nell’incoraggiare certe operazioni. Comunque, la cosa che fa più paura è che a seguito di questo ragazzo di colore ne arrivino degli altri, oppure tutta la sua famiglia, e che in capo a poco tempo si perdano le caratteristiche umane del nostro paese, costituite da famiglie residenti in queste case e per queste strade da numerose generazioni. Per mio conto, io mi guardo bene dal prendere posizione su  argomenti di tal genere, e continuo semplicemente a mescere il vino sia a quelli che a quegli altri, e con mia moglie e anche mio figlio mi raccomando quasi ogni giorno di comportarsi assolutamente nella medesima maniera. Ci vuole poco a perdere la clientela, lo so perfettamente, e questo non deve proprio accadere per argomenti che in fondo neppure ci riguardano.

 

            Bruno Magnolfi   

lunedì 14 luglio 2025

Assolutamente piacevole.


            Era la prima volta da tantissimo tempo che Antonio, varcando la soglia di quella piccola biblioteca dove era già entrato in innumerevoli altre occasioni, ma sempre da solo, si sentiva adesso veramente utile a qualcuno. La sensazione di poter insegnare qualcosa, che lui peraltro sapeva esercitare piuttosto bene, e che forse poteva dimostrarsi come un notevole trampolino di lancio per quel ragazzo che si era lasciato facilmente convincere a seguirlo fin lì per cercare di apprendere i rudimenti della lettura della lingua italiana, scopriva ora che per lui era lo scopo principale nella ricerca della socialità che restava da sempre l’ideale a suo parere più alto e importante in termini addirittura assoluti. Barbara, l’impiegata di turno, gli aveva subito sorriso, vedendolo così in compagnia, e poi aveva rapidamente tirato giù dallo scaffale quel libro dedicato all’insegnamento di base della lingua italiana, sentendosi subito parte di quel meccanismo così antico e importante di passaggio e apprendimento della cultura, e confidando nella buona riuscita di quello sforzo in cui il suo concittadino si doveva sentire assolutamente coinvolto. D’altra parte, lei era forse l’unica persona, in tutto il loro piccolo centro abitato di provincia, che aveva sempre visto in Antonio un individuo capace di comprendere davvero quei testi che leggeva quasi con avidità, e quindi un utente assolutamente in grado di capire ed interpretare quei libri che spesso prendeva in prestito. La sua fiducia era forte, il suo appoggio indiscutibile, e la biblioteca, a suo modo di vedere, si faceva in questo modo il miglior luogo depositario di un compito fondamentale per tutta la cittadinanza. Là dentro, oltre i ragazzi scolarizzati che vi entravano per portare avanti qualche ricerca, oppure qualche persona anziana appassionata della lettura di romanzi e di gialli di moda, non si vedeva mai nessun altro, e spesso il ruolo stesso di quei locali destinati all’apprendimento, sembrava addirittura sfuggire agli scopi stessi per cui erano stati messi a disposizione del pubblico.

            Così, tutto adesso le era parso perfetto, almeno ai suoi occhi, e Niocke ed Antonio, seduti ad uno dei piccoli tavoli tra gli scaffali pieni di libri, si erano subito decisi ad iniziare con la prima lezione, indifferenti del fatto che ad un tavolino poco distante ci fossero due ragazze intente a coprire di appunti i loro quaderni. Parlavano a bassa voce, Antonio seguendo il semplice libro che guidava passo dopo passo l’intendimento della lingua scritta in stampatello minuscolo, e Niocke impegnato nel tentativo della comprensione attenta di tutto ciò che gli veniva spiegato, nonostante la dura giornata di lavoro in officina appena dietro le spalle. L’elemento più sorprendente di tutto era comunque quella intesa che loro due sembravano trasmettere persino alle due ragazze che proseguivano la loro preparazione scolastica, ma senza perdere mai d’occhio quel ragazzo di colore dall’espressione intelligente e dimessa, che pareva non perdere mai neppure una parola di ciò che gli veniva suggerito da Toni Boi per ogni fondamentale passaggio nella comprensione dei caratteri di stampa. Non c’era niente di strano in tutto ciò: Niocke sapeva che nelle città più grandi venivano portati avanti da gruppi di volontari dei corsi strutturati di insegnamento della lingua italiana, però sapeva anche che essendogli toccato in sorte di ritrovarsi in una piccola borgata di provincia, la sua voglia di sapere non poteva essere saziata in altro modo che questo.

            La bibliotecaria Barbara poi aveva portato a loro due anche un vocabolario della lingua italiana, immaginando che potesse tornare utile in ciò che stavano cercando di fare, e Niocke aveva subito ringraziato l’impiegata per la solerzia e l’appoggio. Le due ragazze avevano osservato ogni gesto di ciò che succedeva davanti a loro, incuriosite da quella situazione un po’ strana, e Antonio, pur con i suoi modi particolari, aveva notato che Niocke pareva essere al centro della curiosità di loro in quella biblioteca. Era stato a quel punto che quest’ultimo aveva alzato lo sguardo dai libri e dato un’occhiata poco insistente a quella ragazza che aveva di fronte, apprezzandone subito i lineamenti dolci ed il comportamento composto. Sara, di controparte, seduta al proprio tavolo ed immersa nel leggere ed annotare tutto ciò che le pareva importante ai fini della preparazione di una materia scolastica, aveva pensato addirittura di sorridergli, a un certo punto, anche se poi si era frenata, immaginando che forse la sua espressione non sarebbe stata compresa in modo adeguato.

            Quando infine la sua amica aveva dichiarato che orami era stufa di studiare e che secondo lei era giunta l’ora di andarsene per una buona mezz’ora a spasso lungo la via principale, subito prima di rientrare nelle loro rispettive abitazioni, Sara aveva messo assieme libri e quaderni con una certa riluttanza, dispiaciuta di non essere stata in grado di lanciare a quel ragazzo di fronte neppure un timido segnale di simpatia. Niocke aveva invece seguito ogni suo gesto, e quando le due ragazze erano uscite dalla biblioteca, aveva sentito dentro di sé la voglia di seguirle, di andare da loro, di fare almeno la conoscenza di quella ragazza così simpatica e assolutamente piacevole.

 

            Bruno Magnolfi       

venerdì 11 luglio 2025

Scompiglio e solidarietà


            <<Fa presto un sogno a diventare un incubo. Cadeva una pioggerellina inconsistente, visto peraltro che nessuno in paese sembrava si fosse preoccupato di uscire con l’ombrello. Poi si faceva più fitta e all’improvviso tutti si accorgevano che non c’erano tettoie, gronde, cornicioni che potessero riparare le persone. Coloro che si trovavano per strada di colpo erano soli, ognuno preoccupato del proprio bagnarsi, ed anche se quegli individui vagavano nervosamente alla ricerca di un posto qualsiasi dove proteggere la propria persona dall’acqua insistente e copiosa, di fatto mostravano così tutta la propria fragilità, ed ognuno si trovava solo ed emarginato, incapace di fronteggiare gli eventi sempre più incalzanti>>. Il portiere della squadra, giunto presto sul posto, racconta tutto ciò ad un amico anche lui arrivato con anticipo, mentre se ne stanno seduti su di una panchina in attesa dell’arrivo al campo sportivo degli altri giocatori e del loro allenatore. Marco ancora non c’è, e nemmeno Niocke, che generalmente si fa vedere agli allenamenti sempre un po’ in ritardo, per via della corriera che rispetta degli orari tutti particolari. L’altro guarda il portiere e forse immagina che dietro al racconto che ha appena ascoltato ci sia una personalità in fondo sofferente del ruolo in squadra che si è scelto, sempre da solo, custode unico di un varco verso cui è obbligatorio opporre tutte le proprie forze per riuscire a rendere indiscutibile il suo impegno e certe volte miracoloso ogni proprio intervento. <<Forse sei depresso, almeno in questo periodo>>, gli dice dopo un breve pausa.

            Il portiere abbassa la testa, probabilmente non è d’accordo, ma infine si spiega: <<Credo che stiamo attraversando un momento con tutta la squadra in cui ognuno si vede costretto a stringersi nelle proprie spalle, a ripensare il proprio ruolo, le proprie capacità, il proprio impegno; sicuramente questo porterà alla fine anche ad un certo miglioramento, ma soltanto il tempo sarà capace di mostrare i risultati. Fino adesso avevamo giocato in maniera distesa, tranquilla, senza preoccuparci troppo del gioco e anche dei punteggi, ma ora le cose hanno preso un’altra piega, e non credo che questo sia un fatto negativo, anche se dobbiamo fortificarci ognuno nella propria carica, e soprattutto smetterla di pensare che senza un gioco ben orchestrato dall’affiatamento riusciamo ugualmente ad essere competitivi>>. L’altro annuisce, non aveva mai riflettuto a cose del genere, però non trova niente da ridire sulle conclusioni a cui è giunto il portiere della loro squadra di calcio, ed alla fine sente all’improvviso che da ora in avanti ci sarà la necessità di un maggiore impegno da parte di tutti.

            Poi arriva Marco, sempre con la sua espressione scanzonata e divertita, saluta in fretta gli altri due, quindi si siede accanto, e poi li guarda per un attimo, prima di chiedere: <<Che succede; sembra quasi che qualcuno vi abbia appena offeso>>. I due sorridono, non è facile spiegare le loro riflessioni, specialmente ad uno come Marco sempre un po’ superficiale e facilone nelle proprie cose. Per cui neanche desiderano provarci, limitandosi alla conclusione a cui sono appena giunti: <<In campo dobbiamo essere più squadra>>, dice il portiere senza mezzi termini. <<Mostrare maggiore affiatamento, con più collegamenti tra un giocatore e l’altro, altrimenti proseguiamo a svolgere ognuno di noi la propria partita e basta>>. Arriva l’allenatore, che saluta tutti e apre svelto la porta degli spogliatoi, così i ragazzi vanno dietro a lui per indossare le magliette e i pantaloncini, mentre giungono anche gli altri, compreso Niocke che come sempre se ne rimane anche oggi un po’ in disparte. Marco vorrebbe replicare qualcosa al suo amico portiere, ma non trova le parole da dire e tantomeno gli argomenti che vorrebbe tirare fuori, così resta in silenzio, anche se cerca di pensare alla sua maniera di non essere d’accordo con quel che gli hanno appena riferito.

            <<La colpa è tutta di questo nuovo arrivo>>, dice sottovoce al suo amico portiere. <<Ci ha nesso in una condizione diversa, di cui proprio non sentivamo la necessità>>. L’altro lo guarda, mentre indossa la divisa, e infine dice: <<Questa può essere un’opportunità di crescita per tutti e per tutta la squadra, se ci pensi bene. Dobbiamo smetterla di andare avanti per simpatie, per amicizia o per insofferenza. Il nostro scopo non è questo, dobbiamo amalgamarci di più, e poi cercare di affrontare ogni partita con la squadra avversaria in modo più compatto tra di noi>>. Niocke, intanto, si è già sistemato, ha riposto le sue cose dentro l’armadietto e poi è uscito fuori dagli spogliatoi, forse per andare a parlare con l’allenatore. <<Se ripenso che è stato proprio mio padre ad incoraggiarlo per venire qui, mi viene voglia di arrabbiarmi con lui appena rientro a casa>>, dice Marco tra sé, senza riferirsi a nessuno in particolare, ma adesso con voce più alta. Quindi tutti escono sul campo di calcio, ed iniziano la fase del riscaldamento, correndo in file ordinate lungo il perimetro. Anche Niocke corre, ma avverte sempre di più che c’è qualcosa che non fila bene, e che forse il suo schieramento in campo sta rischiando via via di gettare tra i ragazzi più scompiglio che solidarietà.

 

            Bruno Magnolfi        

giovedì 10 luglio 2025

Modi affascinanti.


            <<Caro Diario, oggi, per la prima volta, mi sono resa conto, senza che l’avessi mai riflettuto in precedenza, che dentro di me vive una ragazza rivoluzionaria. Sarà anche per il fatto che mio padre e mio zio incarnano una visione molto maschile del mondo, e considerando le loro attività (uno, è il commercialista del nostro paese, e l’altro svolge addirittura il ruolo di Sindaco), probabilmente non potrebbe essere altro che così, visto che loro conoscono tutti gli abitanti del luogo, e da tutti sono tenuti in gran conto, ma all’improvviso sento di provare una volontà di riscatto femminile, nonostante abbia solo sedici anni. La mia amica Laura dice che sono fuori di testa, che non sarà mai possibile cambiare lo stato delle cose, e che se credo di poter mettermi contro l’andamento corrente delle cose, sarò destinata ad un futuro composto soltanto da dispiaceri. Io le ho sorriso quando lei ha tirato fuori questo argomento, e le ho fatto subito presente che anche mio cugino Marco (figlio del Sindaco), ha un atteggiamento di indubbia superiorità nei miei confronti, qualcosa che inizialmente pensavo fosse soltanto dovuto al fatto che lui ha un’età, anche se di poco, superiore alla mia, ma che ripensandoci meglio mi ha fatto rendere conto che è soltanto per via del fatto che lui è un maschio, ed io no. Eppoi c’è anche un’altra ragione: è arrivato in paese (credo da poco) un ragazzo di colore a mio parere bellissimo, di cui naturalmente tutti parlano male, tirando fuori i soliti triti argomenti (ruba il lavoro ai ragazzi del posto, spianerà presto la strada ad altri africani, importerà usi e costumi a noi del tutto estranei, ecc.), ed improvvisamente io ho visto in lui semplicemente la persona dei miei sogni. I suoi modi sono gentili, attenti, giudiziosi, ed anche se non gli ho mai parlato, ho notato già diverse cose standogli di fronte ieri pomeriggio ai tavoli della biblioteca pubblica.  

            Niocke, mi hanno detto si chiama; e se soltanto diventassi sua amica, e mi facessi vedere in giro in paese insieme ad un ragazzo del genere, sono sicura che chiunque avrebbe da dire che mi sto mettendo su una strada sbagliata. Per questo mi sento rivoluzionaria, perché non ho alcuna voglia di assoggettarmi ai giudizi della gente di questa borgata, e se sarò capace di incontrarlo di nuovo e magari di parlare con lui, sono sicura che non mi porrò alcun problema nel trattarlo come qualsiasi altro ragazzo. Essendo la mia famiglia molto in vista nel nostro piccolo paese, va da sé che la presenza costante di mio padre e mio zio nei discorsi di tutti (anche riferiti a me, certe volte), alla lunga divenga asfissiante, ed io nel prossimo futuro sento tutta la necessità di affermare una personalità tutta mia. Non che desideri usare un immigrato per tirare fuori ciò che coltivo forse da sempre dentro di me, ma se scoprissi che questo ragazzo è esattamente come me lo sono immaginata, non avrò alcun problema nel mostrarmi in contrasto con l’opinione di tutti. Per questo ho deciso che tornerò presto nella nostra biblioteca, proprio per cercare l’occasione propizia per parlare con Niocke, sempre che lui frequenti ancora quel luogo; per capire quello che pensa, che cosa ha in mente di fare, come si pone nei confronti degli abitanti di questa cittadina tanto provinciale. Ancora non ne ho parlato con la mia amica Laura, e credo che non lo farò, proprio per non sentirmi dire ciò che già immagino.

            Così, uno di questi pomeriggi, tanto identici uno all’altro, andrò in biblioteca, e magari chiederò all’impiegata se sa dirmi in quali giorni Niocke si reca in quelle sale. Ho visto che lui si faceva impartire delle lezioni di scrittura da quel Toni Boi che tutti qui dicono pazzo, ma che sembrava completamente a suo agio nella funzione di insegnante, forse tirando fuori con una persona giunta da poco, delle attitudini che nessuno ha mai riconosciuto in lui. Caro Diario, mi è piaciuto molto questo connubio tra loro due, forse perché del tutto inedito, e cercando di ascoltare quello che loro si dicevano, ho capito rapidamente che il desiderio più forte di Niocke è soltanto quello di imparare a leggere correttamente la lingua italiana, così da poter scorrere e interpretare i testi, e in seguito forse studiare qualcosa di cui è interessato. Mi pare un programma perfetto per uno come lui, e devo proprio dire che se fossi nelle sue condizioni farei esattamente la medesima cosa: trovare qualcuno in grado di traghettare la propria curiosità e i propri desideri verso orizzonti più alti di quelli a cui vengono normalmente destinati i migranti. Dare ali ai propri pensieri, impegnarsi nel dimostrare di essere qualcosa di diverso da quello che tutti possono e vogliono sempre pensare di una persona di colore. Con queste premesse, credo che avrò prima o dopo degli scontri sicuri in famiglia e soprattutto con mio cugino, ma questo non ha per me alcuna importanza: adesso è come se fosse arrivato il momento di dire a tutti il mio sincero parere, e quello di confrontarmi con dei modi di essere e di ragionare forse un po’ diversi dai miei, ma anche proprio per questo assolutamente affascinanti>>.

 

            Bruno Magnolfi   

martedì 8 luglio 2025

Estranei attorno.


            <<Non so che dirti. Ho provato da solo a comprendere da dove potesse giungere questo rumore, ma non ci sono riuscito. E poi oltre al fatto che si fa sentire senza una minima logica, e soltanto certe volte, non sono proprio riuscito a capire altro>>. Aldo Ferretti, nella sua officina di riparazione dei veicoli, ogni giorno ne sente di tutti i tipi, ma da uno pratico come Carlo Verdini non si aspettava qualcosa del genere. Alza le spalle, dice di lasciargli la macchina per provarla, che tenterà di dare una spiegazione a quel suo problema, poi prosegue comunque ad occuparsi di altro. Dietro un’altra macchina polverosa con il cofano alzato sta lavorando Niocke, come sempre in silenzio e senza mostrare alcuna curiosità per chi è Appena arrivato. <<Perché ti sei preso in officina un ragazzo così?>>, chiede Carlo abbassando la voce. Aldo non vorrebbe neanche rispondere, ormai è abituato a quel tipo di domande, e sa che non riuscirà mai a convincere nessuno nel suo paese che quel ragazzo per i motori ha le mani d’oro, lavora senza creare problemi, e poi non si lamenta di niente, qualsiasi cosa ci sia da affrontare. Ma in questo caso si sente in dovere di dire qualcosa di più, e se non di giustificare le sue scelte, almeno di mostrare la sua indifferenza nei confronti del colore della pelle del suo aiutante apprendista. <<Nessuno dei ragazzi del nostro paese e dei dintorni vuole svolgere più questo mestiere>>, dice con calma. Tra gli immigrati invece ci sono anche persone in gamba, che certo non si spaventano per sporcarsi d’olio le loro mani>>.

            Carlo resta in silenzio, si discosta di qualche passo per osservare meglio il ragazzo che prosegue a lavorare con le mani e la testa sotto al cofano di una vecchia Peugeot, poi cambia discorso e dice con una battuta che tornerà domani a sentire se ci sono delle novità per la sua auto. Aldo annuisce, gli indica dove metterla affinché non dia troppa noia, poi lo saluta con una semplice occhiata. In officina i due meccanici proseguono poi a lavorare come sempre, in silenzio e concentrati su quello di cui si stanno occupando. <<Nessuno ti vorrebbe>>, dice Aldo quindi verso Niocke mentre lui si avvicina appoggiando una chiave del venti sopra al bancone. Niocke sorride leggermente, sa benissimo che ci sono persone in paese che vorrebbero persino mandarlo via, e che il suo capo invece sta sempre dalla sua parte, almeno fino a quando lui si mostrerà obbediente e capace. <<E come va, con la squadra di calcio?>>, gli fa poi tanto per dire. <<Bene>>, risponde Nico, come lo chiamano tutti; <<se non vado a rete è perché non sono bianco, e se vado a rete è perché ho avuto fortuna>>. Aldo ride, ma dentro di sé apprezza la maniera con cui il suo aiutante prende le cose. 

Tornando a piedi verso casa, Carlo ha in mente di fermarsi nella solita bettola che sta nella piazza, tanto per scambiare due parole con qualcuno, ma accorgendosi già mentre si avvicina che proprio là davanti, accanto ad un gruppetto di persone che stanno parlando tra di loro, c’è anche Antonio, suo genero, sull’immediato e quasi per istinto vorrebbe svoltare per evitarlo, anche se alla fine decide di passare da lì e salutare debolmente i presenti, senza comunque fermarsi. <<Che hai fatto, Carlo>>, gli dice uno che conosce da sempre, costringendolo almeno a soffermarsi. Lui si volta per un attimo, la faccia seria, la voglia di rispondere in maniera sgarbata, ma poi dice soltanto: <<Ho portato la macchina in officina; mentre la guido sento certe volte un rumore che non mi piace>>. Tutti si voltano verso di lui, compreso Antonio, che naturalmente conosce la macchina, ma nessuno di loro dice niente, come se Carlo avesse rivelato un segreto o qualcosa di particolare. <<Ma non mi piace neppure quello che sta facendo Aldo>>, riprende subito lui per spiegare la propria opinione. <<Credo che dovrebbe riflettere meglio sull’aiutante che ultimamente si è andato a scegliere>>. Gli altri annuiscono, sorridono, mostrano d’essere d’accordo con lui, ma nello stesso momento Antonio emette uno dei suoi soliti urli, a mostrare il proprio dissenso su ciò che viene detto.

Il gruppo si muove verso la bettola allora, proprio per evitare quei modi da matto di Toni Boi, e Carlo bofonchia tra sé, mentre cammina in mezzo agli altri, che lui non lo sopporta, e meno lo vede meglio si sente. Antonio resta fermo per un attimo, tornando a farsi silenzioso, poi si muove lentamente scorrendo lungo la strada principale polverosa, e piegando in seguito per la viuzza che porta all’officina di Aldo Ferretti. Si ferma davanti ad una macchina ferma, sul piazzale davanti al posto di lavoro di Niocke, e senza dire niente aspetta che qualcuno lo noti. Si fa avanti proprio Niocke, a un certo punto, giusto per chiedergli che cosa stesse facendo lì in piedi, e Antonio gli spiega in fretta che forse potrebbero andare in biblioteca, quando ha terminato il suo orario di lavoro. <<Va bene>>, fa Niocke; <<ma adesso vai, che Aldo non vuole vedere degli estranei girellare attorno>>.

 

Bruno Magnolfi  

sabato 5 luglio 2025

Vivace fantasia.


            Lei è una ragazza di sedici anni, cugina di Marco, e quindi nipote del Sindaco del paese. Si chiama Sara, ed ogni mattina, insieme a diversi altri ragazzi, tra cui anche Marco, sale sulla corriera per recarsi al liceo che frequenta nella città più vicina. Suo cugino non ha un grande rapporto con lei, spesso anzi tende del tutto ad ignorarla, anche se ovviamente sarebbe sempre pronto a difenderla se per qualche motivo occorresse il proprio intervento. Ha i capelli nerissimi tagliati a caschetto, ed un’espressione spesso sorridente, ed anche se non ha molte amiche, soprattutto per una certa evidente timidezza, ugualmente è capace di intessere dei rapporti abbastanza profondi tra alcuni dei suoi coetanei, che poi si dimostrano sempre gli stessi. Ha un’amica del cuore con la quale è anche vicina di banco all’interno della stessa classe, per cui tra loro due c’è uno scambio continuo di informazioni su qualsiasi argomento, studiando assieme e prestandosi vicendevolmente gli appunti delle lezioni, in maniera da confrontare regolarmente i loro diversi modi di apprendere. I suoi risultati difatti sono piuttosto apprezzabili, e lei dimostra ogni giorno di studiare volentieri e di svolgere il proprio ruolo di studentessa con una certa passione e determinazione.

            Il viaggio in corriera non è troppo lungo, ma Sara, durante il tragitto, sprofondata nel posto a sedere vicino al finestrino, invece di scambiare le solite chiacchiere svogliate, certe volte appunta qualcosa sul suo diario, elencando le proprie impressioni su tutto ciò che le accade o che lei vorrebbe accadesse. La sua scrittura è talmente piccola e sgangherata che nessuno degli altri ragazzi, anche ritrovandosi seduti accanto a lei, riuscirebbe mai a comprendere una sola parola di quelle frasi che annota velocemente sopra la carta. Il suo non è un diario segreto, ma non sarebbe troppo contenta se qualcuno in qualche maniera fosse in grado di decifrare quei suoi pensieri, fatta eccezione della sua amica, naturalmente. In ogni caso prova spesso la necessità di condividere ciò che le passa in mezzo alla testa con qualcuno di cui ha piena fiducia, ed anche se la sua compagna certe volte non la segue su questo percorso mentale, a Sara non importa poi troppo: è consapevole che non è possibile essere sempre d’accordo con tutti, e poi, conservare una propria opinione personale, resta comunque secondo il suo parere qualcosa di estremamente importante. 

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<<Me ne sono innamorato immediatamente, appena l’ho vista. I suoi modi, la sua espressione, quella luce negli occhi così particolare; non mi sono fatto accorgere di nulla, naturalmente, ma essendosi seduta di fronte a me ad un tavolo non troppo distante, mi era risultato impossibile non volgere lo sguardo almeno ogni tanto verso di lei, anche se solamente in modo sfuggente. Anche lei credo mi abbia guardato in più di una occasione: sono sicuro che era la prima volta che ci incontravamo, ed immediatamente ho pensato a quando mai sarebbe stato possibile per me rivederla di nuovo. Mentre cercavo di concentrarmi su ciò che stavo facendo, contemporaneamente tentavo di immaginare un posto in paese che quella ragazza potesse frequentare, ma alla fine non sono stato per niente capace di mettere a fuoco un luogo del genere. L’altra, insieme con lei, sembrava conoscerla bene: parlavano sottovoce tra loro, non riuscivo a comprendere niente di ciò che dicevano, ma i loro modi erano senz’altro quelli di chi si conosce e si frequenta senz’altro da molto tempo.

            Ho addirittura pensato che avrei potuto andarle vicino e chiederle qualcosa, una sciocchezza qualsiasi, ma non trovavo al momento assolutamente niente in grado di offrirmi questa possibilità, e in più non mi sentivo nelle condizioni di sciupare tutto quanto con uno stupido gesto. Perciò mi sono accontentato di fantasticare soltanto un po’ su di lei, e immaginare di accarezzare i suoi capelli, di dirle qualcosa magari a distanza ravvicinata come vedevo fare alla sua amica, e per un attimo mi è quasi parso di conoscere questa ragazza da molto tempo, come se ci avvicinasse qualcosa di sedimentato da chissà quanto dentro di me. Studiavano, le due amiche, o elaboravano qualcosa che forse era la preparazione ad un esame o qualcosa del genere, e a me sembrava che i miei pensieri fossero dolci parole che per magia potessero giungere fino alle orecchie di questa ragazza per me sicuramente bellissima. Poi mi sono scosso, ho cercato di muovere qualcosa sul piano del tavolo dove mi trovavo, in modo da mostrare che c’ero, che ero qui, di fronte a lei, e che mi stavo consumando dalla voglia di scambiare almeno una parola con lei.

            Alla fine, loro si sono alzate dalle sedie, hanno messo via i quaderni e le altre cose, e poi sono uscite da lì, lasciandomi in un estremo disordine mentale. Ho cercato di voltarmi più di una volta per capire da quale parte potessero prendere una volta fuori dall’edificio, ma non mi è stato possibile comprendere neppure questo. Quando anche io, dopo un certo tempo, ho potuto finalmente aprire la porta per andarmene, le due ragazze naturalmente non c’erano più sulla strada, svanite, come se tutto quanto fosse stato soltanto un sogno, o una semplice invenzione della mia fantasia>>.

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 3 luglio 2025

Rifugio apprezzato.


            Qualche volta, ripenso alle giornate trascorse in ospedale. Adesso, a distanza di anni, mi sembrano tutte uguali, scandite, oltre che dagli orari dei pasti, soltanto da quelli della sveglia e dell’oscuramento delle lampade. I tranquillanti alla sera mi lasciavano piombare in un improvviso sonno senza sogni, ma il fatto di ritrovarmi al mattino ancora in quei luoghi così spogli e privi di colore, era per me sempre una sorpresa poco gradita. Mi adattavo a quello che era stato diagnosticato nei miei confronti, ma sapevo che quella depressione, coltivata dopo la morte di mia madre, dipendeva soltanto dalla mia forza di volontà. La convinzione ferma nella mia mente che io potessi uscire in qualsiasi momento da quello stato in cui sembravo versare, mi portava a proseguire imperterrito con il mio silenzio e con l’indifferenza a tutto, insieme ad un’apparente incapacità ad essere minimamente socievole con chiunque. In quel momento mi sembrava una vera forza di carattere quella di potermi isolare dal resto, e soprattutto il fatto di tenere così nelle mani il mio destino, mi faceva sentire costantemente al di sopra di tutto e anche di tutti. Ero cedevole, apatico, inerte, ma soltanto perché desideravo con tutto me stesso apparire così. Quasi un gioco il mio, almeno durante alcune ore del giorno, fino a lasciare agli incontri con il medico, che avvenivano una volta o due ogni settimana nel suo bianco ambulatorio, un rituale pressoché insignificante.

            <<Antonio>>, mi chiamavano a voce alta gli infermieri, forse anche per cercare di scuotermi dal torpore che mostravo, ma io tenevo lo sguardo basso, le braccia lungo i fianchi, e spesso appoggiavo la spalla ad una qualsiasi delle pareti di quel luogo, come tentassi di diventare una parte costituente di quei muri stessi. Qualcuno mi incoraggiava anche a parlare, ma io mi mostravo sempre apatico, anche se qualche volta questa posa mi pesava. Gli altri degenti che incontravo a volte nei corridoi della clinica o nel giardinetto di fronte alla costruzione, per me erano a loro volta soltanto dei fantasmi che seguivano un filo personale di ricerca, come se tutti lì dentro avessero smarrito la propria anima, tentando di trovarne traccia sopra le mattonelle delle camerate, oppure tra i cespugli radi, o tra le parole incomprensibili che certe volte mormoravano direttamente ognuno a sé stesso. Il mio silenzio naturalmente ritenevo fosse superiore ai loro sforzi, anche se qualche volta provavo la necessità di mostrare d’improvviso la mia presenza nel luogo, emettendo qualche urlo soffocato che non aveva nessun altro scopo se non quello di muovere l’aria davanti alla mia bocca.

            Sapevo che normalmente avrei potuto in qualsiasi momento mettermi a parlare con chiunque tra quei muri, ma il fatto che per me non fosse di alcun interesse farlo, evidenziava il mio carattere deciso, la mia convinzione nell’indossare una maschera del tutto inamovibile. Poi veniva a trovarmi mia sorella con suo marito, ed io lasciavo che lei mi ponesse delle domande a cui non trovavo da dare mai alcuna risposta, però i libri di narrativa che ogni volta mi portava, davano un pronto refrigerio alla mia mente, e quando qualche titolo mi appariva più gradito anche di altri, non la deludevo con il mio silenzio, ma mostravo volentieri un certo apprezzamento, sorridendo e ringraziando. In quel periodo credo di essere stato l’unico là dentro a sprofondarmi in qualche lettura, tanto che tutto questo sicuramente veniva visto come un buon segnale per il mio ristabilimento. Certi giorni pensavo che non sarei mai uscito dalla clinica, tanto più che non ne provavo alcuna voglia, ma quando meno me lo sarei aspettato il solito dottore disse che sarei andato a casa la settimana seguente, perché non avevo più necessità delle loro cure. Così mi adeguai a quanto deciso, senza mostrare opposizioni.

            Quando cercai di radunare i miei pensieri e la mia esperienza maturata dentro l’ospedale, mi parve che non ci fosse niente di positivo da portare via con me, e gli ultimi giorni trascorsi tra quelle mura imbiancate mi riempirono persino di una nuova inedia, accompagnata dall’apprensione naturale per le mie nuove giornate che mi attendevano tra poco. Il fatto di andare ad abitare nella casa di mia sorella mi lasciava abbastanza indifferente, anche se convivere con quel suo marito restava per me qualcosa di poco apprezzabile. Per lui ero sicuramente un peso di cui avrebbe voluto volentieri liberarsi, ma la situazione era tale che la sua opinione in quella abitazione probabilmente era l’ultima cosa di cui tenere conto. Mi destinarono una stanzetta sgombra, e mi tennero d’occhio per diverse settimane, forse su consiglio del dottore, probabilmente per evitare che combinassi qualche guaio o che volontariamente o meno mi ferissi in qualche modo. In seguito però, lasciarono che uscissi di casa anche da solo, magari per fare qualche acquisto semplice per mia sorella, e per tornare a socializzare con gli abitanti del paese, anche se di questo non mostrai troppo interesse. Scoprii la biblioteca invece, che iniziò rapidamente ad essere il mio rifugio più apprezzato.

 

            Bruno Magnolfi