Sono sicuro
che il dottore avrà preparato già le domande da porre, ben scritte in fila sul
suo taccuino e tutte molto comprensibili, ed al fianco di quella colonna di
quesiti il suo desiderio sarà certamente quello di inserire rapidamente tutte
le risposte che si aspetta dalle mie parole. Naturalmente azionerà anche il
proprio fedele registratore appena sarò entrato e mi sarò seduto nel suo
ambulatorio al primo piano della clinica psichiatrica, dove mi reco ad ogni
visita di controllo, ma io oggi sono ben fermo nel non rispondere niente, o
almeno nulla che non sia strettamente essenziale. Non perché non mi vada di
parlare con lui, quanto perché quei quesiti che pone di solito sono sempre parecchio
fastidiosi, e vanno a curiosare spesso nei miei ricordi d’infanzia, e poi sfiorano
il rapporto che avevo con la mamma, e se per caso in questo periodo io stia
cercando di individuare una persona con cui stabilire una relazione simile a
quella che avevo con lei, o che magari mi possa ricordare i sentimenti che
provavo quando lei era in vita, e tante altre cose del genere, che oramai
conosco già perfettamente. Se il dottore se ne stesse in silenzio e non mi
chiedesse nulla, forse inizierei di mia personale iniziativa a confidargli come
trascorro le mie giornate, a che cosa penso, quali sono le persone che
frequento o con cui vorrei stare di più, ed altre cose del genere; ma
l’interrogatorio mi resta qualcosa di insopportabile, e mi pare anche curioso
che una persona intelligente e studiosa della materia come lui non se ne sia
resa conto già da parecchio tempo.
Mia sorella
e suo marito come sempre mi aspettano fuori, nella sala d’attesa, ci vuole
quasi tre quarti d’ora di macchina per arrivare fino qui, e durante il viaggio,
mentre io sto seduto sul dietro della vettura, parlano tra loro di mille cose
che non dovrebbero interessarmi quasi per niente, e che in effetti generalmente
non tento neanche di ascoltare, anche se adesso hanno appena finito di dire
qualcosa su quel ragazzo senegalese, come dicono loro, argomento che ha
attirato subito la mia attenzione. Poi, quando hanno visto che mi ero spostato
in avanti per comprendere meglio le loro parole, hanno subito cambiato l’argomento.
Anche loro mi fanno innervosire talvolta, con quei piccoli segreti che pare si
ostinino ad avere sempre, quell’abbassare il tono della voce per non farmi
comprendere le parole che si scambiano, e poi quello sbuffare di Carlo che
sembra ogni volta debba affrontare chissà che cosa mentre semplicemente guida
la sua macchina e mi accompagna fino a questa clinica. Probabilmente è per far
pesare a mia sorella una volta di più il fatto che lui si sta prendendo il carico,
anche in questo caso, delle tante incombenze familiari, faccende che molto probabilmente
sarebbe pronto a mettere da parte, disinteressandosene del tutto, se non fosse
che in fondo tiene alla propria famiglia e non desidera scatenare troppe
discussioni.
Mia sorella
cerca di tenerlo buono: annuisce, dice le cose che lui desidera sentirsi dire,
e poi probabilmente gli ripete più di una volta che le dispiace dover
approfittare di lui e della sua macchina, ma non ci sarebbe un altro modo comodo
per raggiungere l’ospedale, e che in fondo è una piccola cosa quella che gli si
chiede di fare ogni tanto. Lui non la guarda, però sbuffa: a me piacerebbe che
il dottore mettesse anche Carlo qualche volta davanti alla sua scrivania, ed
iniziasse a fargli tutte quelle domande che invece pone a me, perché sono
sicuro ne uscirebbe un quadro non chiarissimo della sua persona, ed anche lui proverebbe
un forte disagio, molto più forte di quanto possa immaginare. Mia sorella
invece è brava: sopporta tutto quanto e cerca sempre di appianare le cose che
appaiono più spigolose, e cerca di non lamentarsi in nessun caso, anche se
certe volte si vede che mostra i propri limiti. Il dottore mi saluta con
serietà e cortesia, mi dice di mettermi seduto, apre la cartella intestata a
mio nome ed il suo taccuino, e poi riguarda tutti gli appunti che ha messo
insieme probabilmente fin dalla prima volta che mi ha visto, raffrontando anche
le date di ogni visita.
Tra una
domanda e l’altra, in una pausa in cui il dottore scorre qualche dato oppure
prende degli appunti, gli dico che sto impartendo delle lezioni ad un migrante
che comprende poco l’italiano, e lui sembra interessato, gli piace questa
attività che sto affrontando, e quindi lascia che gli spieghi nei dettagli come
riesco a portare avanti questo insegnamento. Gli dico che sto parlando anche molto
di più in queto periodo, e che ho smesso quasi del tutto di urlare quando le
cose non mi tornano. <<Mi sto comportando nel modo più normale
possibile>>, dico in fretta al medico, <<ma i miei compaesani
proseguono lo stesso a dire che sono mezzo matto, che quel dico e quel che
faccio è sempre un po’ sconclusionato, e che in me non si trova mai un minimo
di logica. Però a me interessa poco quel che dicono, e difatti certe volte
faccio il matto, ma soltanto per farli più contenti>>.
Bruno
Magnolfi
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