mercoledì 30 luglio 2025

Farli contenti.


            Sono sicuro che il dottore avrà preparato già le domande da porre, ben scritte in fila sul suo taccuino e tutte molto comprensibili, ed al fianco di quella colonna di quesiti il suo desiderio sarà certamente quello di inserire rapidamente tutte le risposte che si aspetta dalle mie parole. Naturalmente azionerà anche il proprio fedele registratore appena sarò entrato e mi sarò seduto nel suo ambulatorio al primo piano della clinica psichiatrica, dove mi reco ad ogni visita di controllo, ma io oggi sono ben fermo nel non rispondere niente, o almeno nulla che non sia strettamente essenziale. Non perché non mi vada di parlare con lui, quanto perché quei quesiti che pone di solito sono sempre parecchio fastidiosi, e vanno a curiosare spesso nei miei ricordi d’infanzia, e poi sfiorano il rapporto che avevo con la mamma, e se per caso in questo periodo io stia cercando di individuare una persona con cui stabilire una relazione simile a quella che avevo con lei, o che magari mi possa ricordare i sentimenti che provavo quando lei era in vita, e tante altre cose del genere, che oramai conosco già perfettamente. Se il dottore se ne stesse in silenzio e non mi chiedesse nulla, forse inizierei di mia personale iniziativa a confidargli come trascorro le mie giornate, a che cosa penso, quali sono le persone che frequento o con cui vorrei stare di più, ed altre cose del genere; ma l’interrogatorio mi resta qualcosa di insopportabile, e mi pare anche curioso che una persona intelligente e studiosa della materia come lui non se ne sia resa conto già da parecchio tempo.

            Mia sorella e suo marito come sempre mi aspettano fuori, nella sala d’attesa, ci vuole quasi tre quarti d’ora di macchina per arrivare fino qui, e durante il viaggio, mentre io sto seduto sul dietro della vettura, parlano tra loro di mille cose che non dovrebbero interessarmi quasi per niente, e che in effetti generalmente non tento neanche di ascoltare, anche se adesso hanno appena finito di dire qualcosa su quel ragazzo senegalese, come dicono loro, argomento che ha attirato subito la mia attenzione. Poi, quando hanno visto che mi ero spostato in avanti per comprendere meglio le loro parole, hanno subito cambiato l’argomento. Anche loro mi fanno innervosire talvolta, con quei piccoli segreti che pare si ostinino ad avere sempre, quell’abbassare il tono della voce per non farmi comprendere le parole che si scambiano, e poi quello sbuffare di Carlo che sembra ogni volta debba affrontare chissà che cosa mentre semplicemente guida la sua macchina e mi accompagna fino a questa clinica. Probabilmente è per far pesare a mia sorella una volta di più il fatto che lui si sta prendendo il carico, anche in questo caso, delle tante incombenze familiari, faccende che molto probabilmente sarebbe pronto a mettere da parte, disinteressandosene del tutto, se non fosse che in fondo tiene alla propria famiglia e non desidera scatenare troppe discussioni.

            Mia sorella cerca di tenerlo buono: annuisce, dice le cose che lui desidera sentirsi dire, e poi probabilmente gli ripete più di una volta che le dispiace dover approfittare di lui e della sua macchina, ma non ci sarebbe un altro modo comodo per raggiungere l’ospedale, e che in fondo è una piccola cosa quella che gli si chiede di fare ogni tanto. Lui non la guarda, però sbuffa: a me piacerebbe che il dottore mettesse anche Carlo qualche volta davanti alla sua scrivania, ed iniziasse a fargli tutte quelle domande che invece pone a me, perché sono sicuro ne uscirebbe un quadro non chiarissimo della sua persona, ed anche lui proverebbe un forte disagio, molto più forte di quanto possa immaginare. Mia sorella invece è brava: sopporta tutto quanto e cerca sempre di appianare le cose che appaiono più spigolose, e cerca di non lamentarsi in nessun caso, anche se certe volte si vede che mostra i propri limiti. Il dottore mi saluta con serietà e cortesia, mi dice di mettermi seduto, apre la cartella intestata a mio nome ed il suo taccuino, e poi riguarda tutti gli appunti che ha messo insieme probabilmente fin dalla prima volta che mi ha visto, raffrontando anche le date di ogni visita.

            Tra una domanda e l’altra, in una pausa in cui il dottore scorre qualche dato oppure prende degli appunti, gli dico che sto impartendo delle lezioni ad un migrante che comprende poco l’italiano, e lui sembra interessato, gli piace questa attività che sto affrontando, e quindi lascia che gli spieghi nei dettagli come riesco a portare avanti questo insegnamento. Gli dico che sto parlando anche molto di più in queto periodo, e che ho smesso quasi del tutto di urlare quando le cose non mi tornano. <<Mi sto comportando nel modo più normale possibile>>, dico in fretta al medico, <<ma i miei compaesani proseguono lo stesso a dire che sono mezzo matto, che quel dico e quel che faccio è sempre un po’ sconclusionato, e che in me non si trova mai un minimo di logica. Però a me interessa poco quel che dicono, e difatti certe volte faccio il matto, ma soltanto per farli più contenti>>.

 

            Bruno Magnolfi  

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