giovedì 3 luglio 2025

Rifugio apprezzato.


            Qualche volta, ripenso alle giornate trascorse in ospedale. Adesso, a distanza di anni, mi sembrano tutte uguali, scandite, oltre che dagli orari dei pasti, soltanto da quelli della sveglia e dell’oscuramento delle lampade. I tranquillanti alla sera mi lasciavano piombare in un improvviso sonno senza sogni, ma il fatto di ritrovarmi al mattino ancora in quei luoghi così spogli e privi di colore, era per me sempre una sorpresa poco gradita. Mi adattavo a quello che era stato diagnosticato nei miei confronti, ma sapevo che quella depressione, coltivata dopo la morte di mia madre, dipendeva soltanto dalla mia forza di volontà. La convinzione ferma nella mia mente che io potessi uscire in qualsiasi momento da quello stato in cui sembravo versare, mi portava a proseguire imperterrito con il mio silenzio e con l’indifferenza a tutto, insieme ad un’apparente incapacità ad essere minimamente socievole con chiunque. In quel momento mi sembrava una vera forza di carattere quella di potermi isolare dal resto, e soprattutto il fatto di tenere così nelle mani il mio destino, mi faceva sentire costantemente al di sopra di tutto e anche di tutti. Ero cedevole, apatico, inerte, ma soltanto perché desideravo con tutto me stesso apparire così. Quasi un gioco il mio, almeno durante alcune ore del giorno, fino a lasciare agli incontri con il medico, che avvenivano una volta o due ogni settimana nel suo bianco ambulatorio, un rituale pressoché insignificante.

            <<Antonio>>, mi chiamavano a voce alta gli infermieri, forse anche per cercare di scuotermi dal torpore che mostravo, ma io tenevo lo sguardo basso, le braccia lungo i fianchi, e spesso appoggiavo la spalla ad una qualsiasi delle pareti di quel luogo, come tentassi di diventare una parte costituente di quei muri stessi. Qualcuno mi incoraggiava anche a parlare, ma io mi mostravo sempre apatico, anche se qualche volta questa posa mi pesava. Gli altri degenti che incontravo a volte nei corridoi della clinica o nel giardinetto di fronte alla costruzione, per me erano a loro volta soltanto dei fantasmi che seguivano un filo personale di ricerca, come se tutti lì dentro avessero smarrito la propria anima, tentando di trovarne traccia sopra le mattonelle delle camerate, oppure tra i cespugli radi, o tra le parole incomprensibili che certe volte mormoravano direttamente ognuno a sé stesso. Il mio silenzio naturalmente ritenevo fosse superiore ai loro sforzi, anche se qualche volta provavo la necessità di mostrare d’improvviso la mia presenza nel luogo, emettendo qualche urlo soffocato che non aveva nessun altro scopo se non quello di muovere l’aria davanti alla mia bocca.

            Sapevo che normalmente avrei potuto in qualsiasi momento mettermi a parlare con chiunque tra quei muri, ma il fatto che per me non fosse di alcun interesse farlo, evidenziava il mio carattere deciso, la mia convinzione nell’indossare una maschera del tutto inamovibile. Poi veniva a trovarmi mia sorella con suo marito, ed io lasciavo che lei mi ponesse delle domande a cui non trovavo da dare mai alcuna risposta, però i libri di narrativa che ogni volta mi portava, davano un pronto refrigerio alla mia mente, e quando qualche titolo mi appariva più gradito anche di altri, non la deludevo con il mio silenzio, ma mostravo volentieri un certo apprezzamento, sorridendo e ringraziando. In quel periodo credo di essere stato l’unico là dentro a sprofondarmi in qualche lettura, tanto che tutto questo sicuramente veniva visto come un buon segnale per il mio ristabilimento. Certi giorni pensavo che non sarei mai uscito dalla clinica, tanto più che non ne provavo alcuna voglia, ma quando meno me lo sarei aspettato il solito dottore disse che sarei andato a casa la settimana seguente, perché non avevo più necessità delle loro cure. Così mi adeguai a quanto deciso, senza mostrare opposizioni.

            Quando cercai di radunare i miei pensieri e la mia esperienza maturata dentro l’ospedale, mi parve che non ci fosse niente di positivo da portare via con me, e gli ultimi giorni trascorsi tra quelle mura imbiancate mi riempirono persino di una nuova inedia, accompagnata dall’apprensione naturale per le mie nuove giornate che mi attendevano tra poco. Il fatto di andare ad abitare nella casa di mia sorella mi lasciava abbastanza indifferente, anche se convivere con quel suo marito restava per me qualcosa di poco apprezzabile. Per lui ero sicuramente un peso di cui avrebbe voluto volentieri liberarsi, ma la situazione era tale che la sua opinione in quella abitazione probabilmente era l’ultima cosa di cui tenere conto. Mi destinarono una stanzetta sgombra, e mi tennero d’occhio per diverse settimane, forse su consiglio del dottore, probabilmente per evitare che combinassi qualche guaio o che volontariamente o meno mi ferissi in qualche modo. In seguito però, lasciarono che uscissi di casa anche da solo, magari per fare qualche acquisto semplice per mia sorella, e per tornare a socializzare con gli abitanti del paese, anche se di questo non mostrai troppo interesse. Scoprii la biblioteca invece, che iniziò rapidamente ad essere il mio rifugio più apprezzato.

 

            Bruno Magnolfi   

lunedì 30 giugno 2025

Motivazioni serie.


            Ormai tra gli abitanti del piccolo centro di provincia si è diffusa la notizia di un ragazzo di colore, migrante da un paese africano, che si è inserito a lavorare come meccanico dal vecchio Aldo Ferretti, e che oltretutto ha subito trovato da divertirsi nella locale squadra di calcio, incoraggiato e sostenuto dal Sindaco del paese che sembra vedere di buon occhio, per ragioni tutte politiche, l’integrazione di questo nuovo arrivo nel paese. Molti proseguono a ripetere come tutto ciò sia soltanto l’inizio, e che dopo una breve prova giungeranno sicuramente in massa altri migranti per togliere il lavoro ai ragazzi del posto e per portare in giro le loro usanze spesso insopportabili. Altri dicono pure, andando all’officina di Aldo per la manutenzione alla loro auto, che ogni volta sono pronti a raccomandarsi che sia proprio lui a mettere le mani sul loro veicolo, in modo da non trovarsi nei guai per qualcosa montato male oppure anche peggio. Altri invece, che trovano quel ragazzo con la faccia e le mani nere sempre serio e diligente, ad iniziare dall’autista della corriera che ogni mattina lo trasporta fino lì dal centro immigrati del paese vicino, e che continua a ripetere, quando fa la prevista pausa con il suo mezzo all’interno della piazza principale di quel borgo, che quella è una persona come si deve, sempre pronta verso gli altri, e brava anche a mettersi dalla parte giusta delle cose, fino a cedere il posto per sedersi alle donne ed agli anziani che salgono là sopra, sostengono che tutti sono contenti della sua presenza, anche se sono sempre in pochi.

            Aldo non si preoccupa: sapeva già fin dall’inizio che ci sarebbero state delle critiche, però sa anche bene che comincia ad avere personalmente una certa età, e che qualche operazione gli è diventata nel corso del tempo un vero sforzo fisico, visto che nessuno dei ragazzi del paese ha mai mostrato la voglia di lavorare ed aiutarlo nella sua officina. Niocke quando è arrivato sapeva già diverse cose dei motori, forse anche più di quelle che ha mostrato di conoscere, e in poco tempo comunque ha fatto vedere di essere capace di svolgere il suo ruolo senza alcun problema, tirandosi su le maniche ed affrontando qualsiasi cosa gli venisse sottoposta per essere messa a regime. <<Non parla quasi mai>>, dice Aldo a chi si incuriosisce di quel ragazzo serio e silenzioso; <<se non per chiedere dei chiarimenti o per farsi mostrare come si possono smontare e rimontare i pezzi di qualche ingranaggio che ancora non conosce. Però è rapido ad apprendere, ed una cosa detta per una volta è spesso sufficiente a fargli incamerare quella nuova competenza>>. I suoi clienti lo ascoltano e generalmente evitano di mostrare delle perplessità, proprio per non apparire delle persone retrograde e senza fiducia nei cambiamenti, pur conservando qualche scetticismo, anche se poco per volta si adattano alla nuova situazione, e si accorgono che le proprie automobili vengono trattate sempre bene in quell’officina, indipendentemente da chi sia alla fine a metterci le mani.

            Per quanto riguarda il calcio, qualcuno vorrebbe che l’allenatore avesse deciso di tenere Niocke soltanto come riserva della squadra, però si rendono conto, ogni domenica di più, anche solo osservando senza troppa curiosità i ragazzi che disputano la partita a pallone sul campetto del paese, che quel giocatore con la faccia nera e la camminata dinoccolata spesso riesce a fare proprio la differenza che occorre sul campo di gioco, e con la sua corsa irraggiungibile ed i suoi scatti improvvisi in avanti è capace anche di segnare l’agognata rete della vittoria. Insomma, in diversi sostengono a denti stretti che quello sia effettivamente un buon giocatore, ma il fatto che non sia proprio uno dei ragazzi del paese, ma soltanto un migrante che non si sa bene neppure da dove sia arrivato nella loro cittadina, non è cosa che si possa buttar giù come una sorsata d’acqua fresca. Si dice che presto fortunatamente così com’è arrivato sicuramente se ne andrà, e che lavora da Aldo soltanto per qualche tempo e con un piccolo contratto a tempo determinato, visto che anche il proprietario dell’officina non appare mai per nulla contento di ciò che gli ha inviato l’ufficio di collocamento con la richiesta che aveva fatto pubblicare. E quasi tutti sono pronti a sostenere che i malumori a bordo campo durante le partite di calcio della domenica sono andati ad aumentare ultimamente, e gli stessi giocatori, pur vincendo adesso qualche partita in più, non sono certo soddisfatti di quanto hanno visto giungere tra le loro file, considerato che la scena ormai è tutta presa ogni domenica da quel ragazzetto tutt’ossa con la pelle nera che sembra sia sempre dappertutto dentro al campo.

            Insomma, per una ragione o per l’altra, tutti sembrano scansarlo, ma tutto questo, invece che rendere Niocke un ragazzo triste e insoddisfatto, pare lasciarlo inorgoglire nella sua diversità, come se fosse un vanto starsene da soli in mezzo a tanta gente che lo guarda in modo strano e tira giù dei gratuiti giudizi su di lui, senza preoccuparsi neppure troppo che siano veritiere o meno quelle motivazioni che accampano tra loro, spesso con estrema e divertita facilità.

 

            Bruno Magnolfi

sabato 28 giugno 2025

Lungo la strada.


            Il figlio del Sindaco Rimonti si chiama Marco. Lui non va molto d’accordo con il suo papà, anche se non c’è un vero motivo che lo faccia essere così scostante. Probabilmente il problema è il naturale dissenso che si verifica in età adolescenziale, quando i ragazzi credono di aver compreso già tutto ciò che serve, e si contrappongono a chi vorrebbe ancora spiegare loro almeno qualcosa di più. Marco ogni mattina prende la corriera per andare al liceo, perché nel centro abitato dove è nato e vissuto fino ad oggi non ci sono degli istituti superiori, soltanto le medie, oltre l’asilo e naturalmente una scuola elementare. Con gli altri compagni difficilmente si fa grande per essere il figlio del primo cittadino della borgata, però la sua strafottenza in certi casi mostra di appoggiarsi sul fatto che la propria famiglia è una di quelle più in vista di tutto il territorio circostante. Anche i rendimenti scolastici non sono troppo eccellenti, e a volte Marco sembra frequentare il liceo soltanto perché, in caso contrario, non saprebbe assolutamente cos’altro fare. La politica ovviamente non gli interessa, e gli argomenti che quotidianamente porta avanti suo padre per il proprio ruolo sociale, sembrano solo annoiarlo. Perciò, quando è stato introdotto quel ragazzo di colore tra tutti quelli che si allenano sul campetto di calcio del rione la domenica mattina, lui si è sentito quasi disturbato, proprio per aver immediatamente compreso che dietro a quella improvvisa presenza c’era per certo suo padre a spingere e a cercare l’integrazione di un giovane migrante nel tessuto della cittadinanza.

            A dirla tutta, Niocke sul campo di gioco non lo ha neppure riconosciuto come figlio del Sindaco, solo perché nessuno ha voluto indicarlo come tale, e Marco peraltro non gli si è mai riferito direttamente, fino ad evitare con accuratezza di parlare del nuovo acquisto della squadra persino con gli altri ragazzi. Il Sindaco ha chiesto a suo figlio qualcosa mentre erano a casa, ma lui è stato evasivo, usando mezze parole, quasi sbuffando per essere trascinato in un argomento che oltre evidentemente ad annoiarlo, sembra oltretutto anche infastidirlo. Gli altri giocatori inizialmente si sono mostrati molto freddi nei confronti di Niocke, ma poco per volta hanno iniziato ad apprezzare alcuni elementi della sua presenza in squadra, fino a giudicarlo, almeno in certe azioni sportive, un apporto prezioso per far diventare il loro un vero gruppo vincente. Qualcuno, forse, in considerazione dei giocatori di colore che affollano normalmente le squadre di calcio delle serie più alte, si è persino sentito orgoglioso di avere tra gli elementi a disposizione un calciatore come lui, e qualche volta, a più di uno, è sfuggito anche un apprezzamento in questo senso, cosa che Marco Rimonti naturalmente ha sempre notato con un crescente disturbo. Ha pensato persino qualche volta di abbandonare la squadra e smettere di giocare al calcio, proprio per mostrare la sua riluttanza all’integrazione, ma poi non ha ritenuto del tutto accettabile ritirarsi così, senza una colpa, soltanto per una ripicca quasi da bambini.

            Poi, uscendo dagli spogliatoi decisamente spartani, il portiere della squadra, con cui è amico da anni, gli dice senza mezze misure che secondo lui Nockie sta migliorando sul campo da gioco a vista d’occhio, e con la sua presenza in squadra sta forzando tutti gli altri a mostrare il meglio di sé stessi. <<È il giocatore che in un attimo scappa velocissimo in avanti nella zona dove ci sono meno avversari, e se qualcuno dei mediani riesce a passargli il pallone proprio in quel momento, le possibilità per segnare sono sempre molto alte>>. Marco lo guarda senza trovare niente da ridire, anche se vorrebbe subito insinuare che quel nero non è capace di guadagnarsi una palla da solo sulle retrovie, e l’unica cosa in grado di gestire è quello starsene lì davanti ad aspettare quel benedetto passaggio giusto, però non dice niente, anche se alza le spalle e ride, come se non avesse niente a che fare con quegli argomenti. L’allenatore nota certe difficoltà, e quando parla a tutta la squadra per stabilire la tattica che serve, è sempre un po’ a disagio cercando di non disturbare oltremodo la sensibilità dei ragazzi. In ogni caso nemmeno uno dei giocatori ha fatto un po’ di amicizia con Niocke, e quando terminano gli allenamenti nessuno si intrattiene un attimo con lui, magari offrendogli un passaggio sul proprio motorino almeno fino alla fermata della corriera.

<<Ti ha mandato qui mio padre>>, gli dice invece oggi Marco mentre escono dalla recinzione. Niocke annuisce, aveva già sospettato che fosse lui il figlio del Sindaco, ma non trova niente da dire, sapendo subito di trovarsi su un terreno un po’ scivoloso. <<So che vorrebbe invitarti a pranzo a casa nostra una domenica, così mi ha chiesto di parlartene>>. Niocke si ferma, lo osserva, poi dice soltanto: <<Non credo sia una buona idea; però ringrazialo, digli che mi sento onorato di questo, anche se non sono nella condizione di accettare>>. Così si ferma per guardare bene Marco negli occhi, e dopo un momento si avvia come sempre lungo la proprio strada.  

 

Bruno Magnolfi

 

giovedì 26 giugno 2025

Compleanno.


            <<Anche stamani vai in biblioteca, immagino>>, dice Teresa a suo fratello mentre è tutta presa nell’imbastire un orlo ad una gonna che le ha portato ieri una vicina di casa. Antonio non risponde, dando per scontato il fatto che, come ogni giorno, farà sicuramente un salto in mezzo a tutti quei libri e quegli scaffali che gli danno immediatamente la serenità, ed anche in considerazione di quanto le parole che ha sentito non sembrano formare propriamente una domanda. <<Farò un passaggio al cimitero, a portare qualche fiore fresco sulla tomba di mamma>>, prosegue lei. <<Magari potresti venire con me>>. Lui sistema alcuni libri da restituire al prestito sopra al tavolo, poi li infila in una borsa di stoffa, e tiene lo sguardo basso, come di chi sta riflettendo, infine dice: <<Andrò da solo, quando ne ho voglia>>, senza aggiungere altro. Sua sorella sa bene che certe volte Antonio passa da là, glielo ha riferito il guardiano del campo santo che lo nota, e poi più di una volta lei ha trovato un fiore semplice dentro al piccolo vaso accanto alla fotografia della loro madre. <<Va bene>>, dice Teresa sempre accondiscendente verso suo fratello; <<in ogni caso proprio oggi sarebbe stato il suo compleanno>>. Antonio si sofferma un momento, torna indietro per prendere il suo solito quaderno deve scrive i propri appunti; quindi, apre la porta di casa ed infine esce.

            Fuori il cielo sembra promettere una giornata piena di nuvole, anche se forse non verrà a piovere, e lungo la strada principale del centro abitato si incontrano le solite persone di ogni giorno. <<Ciao Toni>>, gli dice qualche sfaccendato quando lo nota, ma Antonio tira diritto senza fermarsi, come se non gli interessasse scambiare saluti con chi si dimostra subito pronto a ridere alle sue spalle. Il suo desiderio sarebbe quello di passare dall’officina di Aldo Ferretti dove Niocke ha detto di lavorare come garzone, ma non vuole apparire troppo zelante nel suo progetto di insegnargli a leggere e a scrivere in lingua italiana, così evita quel passaggio, e prosegue verso la piccola biblioteca sempre poco frequentata. <<Ciao Antonio>>, gli dice l’impiegata dietro al tavolo, <<devi restituire questi libri, immagino>>. Lui accenna appena un gesto di assenzo con la testa, poi le mostra un titolo annotato sopra al suo quaderno, spiegando a modo suo che vorrebbe visionare quel testo, se possibile. La bibliotecaria cerca a lungo in mezzo al suo schedario, ed alla fine dice che quel libro non è presente nella loro collezione, e che non ne è neppure prevista l’acquisizione in tempi celeri. <<Non importa>>, dice lui con indifferenza, e poi va a mettersi seduto ad un tavolo riservato ai frequentatori di quei locali. Quindi appoggia sul piano il suo quaderno ed inizia a scrivere qualche appunto.   

            L’impiegata lo lascia fare come sempre, però cerca tra le collezioni un libro che sia affine a quello che le è stato richiesto, magari dello stesso autore, addirittura scritto nel medesimo periodo. Quindi va a sfilare da uno scaffale un testo che sembra mostrare quelle caratteristiche e lo porta da Antonio, per farlo visionare a lui. <<Grazie>>, dice Toni senza mostrarsi neppure troppo contento di quella scelta, ma accettando in ogni caso quanto gli si sottopone. <<Che cosa stai scrivendo?>>, gli chiede allora Barbara, la bibliotecaria del paese, che conosce Antonio e la sua famiglia da molti anni, cercando di non apparire troppo curiosa o persino ficcanaso, ma dando alle sue parole semplicemente il senso di chi desidera solamente fare due chiacchiere. <<Devo insegnare la scrittura ad una persona che non è capace di leggere>>, dice lui quasi sottovoce, come fosse qualcosa di banale. Barbara sorride, gli pare subito un proposito estremamente nobile, soprattutto per essere uscito fuori da una persona che già deve far fronte a parecchi problemi propri, ma un attimo dopo sembra colta da una intuizione, e così va a prendere un altro libro, forse proprio adatto per quel fine.

            <<Ecco>>, dice porgendolo ad Antonio; <<questo libro spiega in parole elementari come si può imparare a leggere e anche a scrivere>>. Lui sembra proprio meravigliato dal fatto che esiste un testo specifico per il suo scopo, così prende il testo nelle sue mani ed inizia subito a sfogliarlo. <<Grazie>>, dice dopo un attimo. <<Sembra sia proprio ciò che mi serve>>. Barbara così torna a sorridergli, e mentre riprende posto dietro alla sua scrivania gli dice che può benissimo usare la biblioteca per svolgere le sue piccole lezioni. Quindi, arriva una donna di una certa età per prendere in prestito un romanzo molto famoso; perciò, Antonio si sprofonda nella lettura e nello studio del saggio che le ha trovato la bibliotecaria. Va avanti così per circa un’ora, poi si fa assegnare il prestito di quel volume così prezioso, lo ripone nella sua borsa di stoffa che porta sempre con sé, ed alla fine esce sulla strada, dirigendosi con calma verso il cimitero, dove oggi desidera andare anche lui a rendere omaggio a quella tomba, in occasione del compleanno della propria mamma.

 

            Bruno Magnolfi

martedì 24 giugno 2025

Umilmente Sindaco.


            Difficile trattenere dentro sé stessi delle opinioni sempre coerenti in ogni periodo della propria esistenza. Da ragazzo intrapresi lo studio della filosofia come base per comprendere e spiegare ogni pensiero sociale, e quindi anche i fondamenti delle discipline politiche. Le cose si annacquarono presto, e le ideologie dell’epoca lasciarono presto il passo ad opinioni divergenti basate maggiormente su dei pilastri economici individuali del tutto indifferenti alle opinioni di massa. I miei studi, da ordinaria persona di provincia, e portati avanti nel capoluogo più vicino dove pareva dovessero avvenire i fatti davvero importanti dell’epoca, mi spinsero presto a tornare indietro e riaccaparrarmi del mio bagaglio culturale formato nel piccolo borgo composto da poche migliaia di abitanti. L’unico sbocco per la mia laurea fu l’insegnamento di materie letterarie all’interno di una scuola media, professione che abbracciai inizialmente con entusiasmo, ma che mostrò presto i propri limiti. Soltanto tardi, all’epoca di un’età già piuttosto matura, quando mi fu offerto dal partito di maggioranza di presentarmi come candidato Sindaco del mio paese, mi resi conto che potevo tirare le fila di tutto ciò che avevo elaborato negli anni dentro la mia testa, e così mi feci forza, portai avanti una campagna elettorale piuttosto intensa anche grazie alla mia posizione lavorativa stimata e molto conosciuta tra i cittadini, ed alla fine venni eletto, tra gli applausi di quasi tutti i partecipanti al voto.

            Poi le cose si spinsero avanti tra una burocrazia insopportabile e la continua necessità di presenziare anche a qualsiasi evento minore, costringendomi a mostrare sempre a tutti grande fiducia nel prossimo futuro ed un notevole ottimismo. Adesso mi chiama il Presidente della mia Provincia e mi convoca per un incontro nel suo ufficio, senza neppure spiegarmi il motivo di questo colloquio. Così vado di nuovo in officina a far controllare la mia auto, visto il viaggio che devo affrontare, e là trovo, insieme ad Aldo che conosco da sempre, il ragazzo di colore che ho instradato al gioco del calcio nella squadra dove gioca anche mio figlio. <<Buongiorno signor Rimonti>>, dice Niocke a bassa voce, tenendo lo sguardo basso, forse per una forma di rispetto che non so neppure riconoscere, e poi attende che intervenga anche il suo capo officina a salutare il Sindaco del proprio paese. <<Vorrei controllare l’olio, e anche la pressione delle gomme>>, dico io dal finestrino aperto della macchina, e subito Niocke alza il cofano ed inizia prontamente a svolgere il proprio lavoro. <<Come vanno le cose con la squadra?>>, gli chiedo anche per farlo parlare, visto che so bene quanto sia sempre chiuso in un suo particolare silenzio. <<Bene, signore>>, fa lui, <<e la ringrazio tanto per tutto>>, spiega in maniera timida mentre tira su l’asta dell’olio. Allora lo guardo, forse vorrei tanto riuscire ad abbattere il muro che purtroppo avverto tra me ed il ragazzo, ma so che qualsiasi gesto di solidarietà verrebbe facilmente frainteso, così mi metto a parlare con Aldo di cose senza troppa importanza, nel mio quasi ridicolo completo grigio, accessoriato da una bella cravatta.

            Dieci minuti, poco di più, e tutto sembra già a posto, ma al momento di andarmene torno un momento da Niocke, e gli dico con voce bassa: <<Non farti mettere in un angolo da dei ragazzi che tra loro si conoscono da sempre, e si sentono superiori solo perché sono in tanti. Non sono migliori di te. Non essere mai arrogante e non mostrarti distante con loro, ma trattali sempre al tuo pari, perché non devono sussistere differenze tra di voi. Siete tutti soltanto ragazzi>>. Niocke fa un cenno di assenzo, lo ringrazia di nuovo, poi si pulisce le mani con uno straccio già molto sporco, mentre osserva andar via quest’uomo probabilmente così diverso da tutti. Chissà quale potrebbe essere la maniera migliore per aiutarlo, penso io, in un mondo attuale quasi sempre proteso verso una gratuita cattiveria. Mi piacerebbe parlare con lui, spiegargli come possa essere difficile mettersi di traverso quando vedi attorno a te delle cose che non sono affatto accettabili. E poi accelerare la sua integrazione, dargli il modo di tirare fuori il meglio di sé, fino ad essere finalmente accettato, anche se il suo comportarsi con gli altri non si mostrasse quello di una richiesta di sottomissione ad un ruolo.

            Torno ad avviare il motore, prendo la strada per il Capoluogo della Provincia, anche se riconosco che se fosse possibile confrontare l’incontro di stamani con Niocke e quello che avverrà tra non molto con il Presidente della Provincia, credo che, come primo cittadino di questa borgata, dovrei dare più importanza al primo piuttosto che al secondo. Dovrò parlare con un avversario politico oggi, che mi dirà cose sgradevoli a cui devo far fronte, e forse mi chiederà conto di qualcosa che per lui non è di troppa soddisfazione, e quindi mi imporrà delle scelte, oppure di tornare indietro su qualcosa già favorito dalla mia piccola amministrazione. Ed io, se ne avrò il tempo e la possibilità, gli parlerò invece di un ragazzo che con dispiacere non sto ancora aiutando come vorrei nel diventare un cittadino come gli altri, proprio come tutti quei cittadini di cui sono umilmente solo il Sindaco.

 

            Bruno Magnolfi        

sabato 21 giugno 2025

Gesto di fratellanza.


            Quando sono in mezzo a questo campo di calcio sto bene. In certi momenti mi sento libero, anche se come sempre mi sento ancora solo; invece, in altri momenti, so che è soltanto con questi ragazzi che stanno giocando insieme a me che posso fare qualcosa di importante per la nostra squadra, in sintonia con loro. Mi chiamano Nicco, quasi tutti, almeno quando devono attirare la mia attenzione per passarmi una palla importante, ma quando poi torniamo negli spogliatoi allora non mi chiamano affatto. Soltanto l’allenatore si rivolge a me quando ci alleniamo o stiamo seduti a riflettere sul gioco, ed io mi lascio dire tutto quello che serve, senza ribattere nulla, cercando sempre di accontentarlo. In officina è diverso: quello che faccio deriva soltanto dalle mie mani, non devo svolgere un ruolo di squadra, compio ogni operazione sempre da solo, anche se mi sento spalleggiato da Aldo Ferretti, il mio capo. Forse è per questo che il Sindaco di questo borgo ha compreso che io avevo bisogno di fare qualcosa insieme agli altri della mia stessa età: per smettere di sentirmi in solitudine, per aprirmi con i ragazzi, per svolgere qualcosa per cui bisogna sentirsi necessari, però tutti assieme, perché si vince o si perde una partita, oppure un torneo, o un girone, con tutto il gruppo, ed ognuno è chiamato a svolgere il suo ruolo sempre in funzione degli altri, quasi come le dita di una nostra mano. Sto imparando poco per volta tutto questo, e mi pare una cosa estremamente importante.

            Poi arriva questo tizio. Gli altri lo prendono in giro, dicono di lui che è tutto matto. A me non sembra, ma non sono certo nella condizione di preoccuparmi per uno così, penso. Ma lui mi viene vicino, mi guarda, non dice nulla, però si vede che ha delle opinioni che gli girano dentro la testa, così non dico niente, abbasso lo sguardo, aspetto che qualcosa succeda. Gli altri ragazzi dopo l’allenamento hanno voglia di divertirsi, così iniziano a dire a voce alta che lui è Toni Boi, e a ridere forte, come se ci fosse qualcosa da ridere in questa situazione. Lui non guarda nessuno, poi urla qualcosa di incomprensibile, resta fermo con un libro dentro una mano, e poi urla ancora, senza alcuna spiegazione, come se rifiutasse tutto ciò che ha attorno. Poi mi viene ancora più vicino, apre il libro, mi fa vedere alcune righe della scrittura del libro, ed io seguo il suo dito che indica con precisione alcune parole, però io non le capisco, non so leggere quelle frasi, nessuno mi ha mai insegnato, così gli dico che non so leggere, non so leggere nella sua lingua. Toni Boi adesso è perplesso, si capisce che stia riflettendo sulla situazione che si è trovato di fronte, e forse ne è dispiaciuto, forse gli sembra la lacuna più grande che ci possa essere per qualcuno che è giunto in questo paese.

            Alla fine, ce ne andiamo tutti, ma lui mi segue, e quando rimaniamo da soli lungo la via, con voce stentata mi chiede verso dove io stia andando. <<Vado al centro immigrazione>>, gli dico, <<devo farmi a piedi diversi chilometri, però è lì che abito, almeno per il momento>>. Allora Toni Boi si ferma, mi porge la mano, ed io la stringo, come si usa fare tra persone rispettose. Poi dice che lui potrebbe insegnarmi a leggere, se ne ho voglia, che in fondo non ci vuole neppure molto, così almeno potrebbe prestarmi dei libri e farmi comprendere l’importanza di quello che ci sta scritto. Annuisco, ma comprendo sempre meno il motivo per cui gli altri ragazzi insistono a prenderlo in giro e a dire che è un pazzo: a me sembra una persona socievole, colta, una che sa perfino cosa serva per uno come me, quasi come il Sindaco di questo centro abitato. Gli dico che lavoro nell’officina di Aldo Ferretti, e lui annuisce a sua volta, ma adesso non dice niente, si ferma, e con un semplice gesto della mano all’improvviso mi saluta, come se fosse già terminato il tempo della conoscenza.

            Devo capire in fretta quali siano le cose che mi servono per essere accolto dagli altri ragazzi della squadra di calcio. E naturalmente devo anche comprendere quali siano quelle che devo rifiutare per non essere additato per sempre come uno diverso da tutti. Saper leggere è importante, rifletto; adesso che ci penso non ho più letto nulla dal tempo in cui stavo in Senegal, ed anche se ogni tanto Aldo Ferretti mi fa vedere qualche libretto istruzioni di una macchina, io mi limito ad annuire, seguendo le piccole immagini che fortunatamente non mancano mai. Forse questa opportunità che sembra volermi concedere di sua iniziativa Toni Boi, cioè quella di imparare a leggere e a comprendere la scrittura europea, e forse anche a scrivere, è una delle cose più importanti che mi possono accadere, penso. Non so, credo che se mi capiterà di incontrarlo ancora gli chiederò di portare avanti il suo progetto: ne sarei contento, potrei dirgli, sarebbe quasi per me un gesto di fratellanza.

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 19 giugno 2025

Semplificazione.


            In fondo anche oggi sembra proprio una giornata identica a tutte le altre. Antonio esce da casa per andare nella sua amata biblioteca del paese, un paio di libri da restituire sotto al braccio, la consapevolezza che l’evolversi delle cose descritta in tutte quelle pagine che lui continua a divorare, non stia avvenendo affatto, e intorno alla sua persona, lungo la strada che percorre a piedi e senza alcuna fretta, niente appare differente da ciò che è stato ieri, o magari il giorno addietro. Eppure, sembra avvertire, anche se solo dentro di sé, una consapevolezza nuova, come se qualcosa avesse iniziato finalmente a muoversi, a cambiare, pur in modo nascosto, senza mostrarne una prova evidente. Antonio non saprebbe spiegare il motivo per cui ha iniziato da tanti anni a questa parte a rinchiudersi dentro sé stesso, a non parlare più con nessuno, a mostrarsi diverso da tutti, un matto, come dicono alcuni. Forse gesticola mentre cammina per strada, forse alla sua maniera si esprime con qualcuno, forse porta ancora accanto a sé proprio una figura immaginaria alla quale certe volte sembra riferirsi, e magari gli è sufficiente sapere che c’è questa persona di fiducia al suo fianco, per ritenere superfluo, oppure addirittura inutile, o addirittura dannoso, qualsiasi riferimento ad altri.

            L’incomprensione di tutti nei suoi confronti, denota la sua certezza di avere delle opinioni molto più avanti per i tempi che corrono, ed il fatto che sia del tutto inutile per lui parlarne agli altri, è semplice dimostrazione che tanto il suo punto di vista non verrebbe mai del tutto capito. Sui libri che consulta diverse volte ha trovato descritte le esperienze di individui che per un motivo o per l’altro si sono chiusi al mondo, e Antonio desidera essere uno di loro, una persona che medita e riflette su tutto, come preparandosi a delle rivelazioni improvvise, rivelazioni che sembrano però sempre destinate ad essere procrastinate ad altri periodi futuri. In biblioteca l’impiegata come sempre lo saluta, accoglie i libri in prestito che lui restituisce, si lascia citare i volumi che vorrebbe consultare in questo momento, come se non li avesse già spulciati in altri momenti e in altri periodi, come se quelle fossero ai suoi occhi delle pagine del tutto nuove. E forse è così: in mezzo alle righe della scrittura è sempre possibile trovare nuovi spunti, frasi sibilline colte in maniera un po’ superficiale, oppure non comprese affatto, quasi che gli occhi e la mente bramassero di continuo il risultato finale di una frase, di una pagina, di un intero libro, senza soffermarsi per il tempo opportuno su ogni piccolo elemento magari un po’ sfuggente ad una interpretazione ben corretta.

            Antonio, con una vecchia matita, prende costantemente degli appunti su dei fogli singoli che ripiega su sé stessi e ripone in una tasca. Prima o dopo riordinerà tutto il materiale che sta mettendo insieme, darà un senso a tutto il suo leggere e consultare, e poi lo mostrerà a qualcuno, farà vedere il risultato dei suoi studi, e la teoria finale che sarà in grado di dimostrare sarà la prova che il suo tempo non è mai stato sprecato, anzi, ha avuto tutta l’importanza che meritava, fin dagli inizi. Si guarda attorno e si sente bene, a posto, sa che il suo compito non può essere che quello, ed anche se chi lo incontra lungo la strada spesso pensa di lui che è soltanto un povero svitato, prima o dopo dovrà ricredersi sulle sue capacità, davanti alla dimostrazione chiara del suo preciso percorso mentale. Tra tutti i cittadini di questa frazione di provincia, probabilmente Antonio si sente quello che più di ogni altro lavora per ottenere una definizione vera e accettabile di futuro, qualcosa che sia la soluzione chiara a quanto proprio non sta andando per il verso giusto.

            <<Suo fratello non è pazzo>>, aveva detto la dottoressa Lari della clinica psichiatrica a sua sorella Teresa, mentre Antonio riusciva ad origliare la loro conversazione grazie ad una porta rimasta socchiusa. <<Indubbiamente è stato preda di una forte e lunga depressione, e così per sopravvivere si è inventato una scatola quasi chiusa agli altri, dove impasta continuamente delle idee e tanti pensieri>>. A lui era quasi piaciuta quella definizione detta in parole povere, anche se Teresa aveva compreso che sarebbe stato difficile farlo tornare ad una accettabile normalità. Normalità, una parola del tutto insensata al giorno d’oggi, ma che significava nella testa di sua sorella che non avrebbe avuto bisogno degli altri per tirare avanti. <<Non si può fare molto affidamento su di lui: appare sfuggente, lunatico, certe volte irresponsabile, però con il tempo ci sono delle possibilità di miglioramento>>. Così Teresa aveva preso gli incartamenti che la dottoressa Lari le aveva preparato, ed era uscita da quell’ambulatorio, trovando suo fratello ancora seduto, con gli occhi bassi, nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato. Eccolo l’errore principale, avrebbe voluto gridarle lui in quel momento: credere che niente sia destinato a cambiare, e che tutto sia definitivamente in questa maniera. Ma era rimasto in silenzio, forse per una scelta che semplificasse le cose per tutti, magari anche per lei.

 

            Bruno Magnolfi