Da
qualche giorno nella abitazione di Carlo Verdini non vola neppure una mosca per
evitare di dare fastidio. Lui è estremamente silenzioso, ma non sembra
arrabbiato verso qualcuno in particolare, piuttosto irritato da qualcosa che
non sa neppure spiegarsi, o che gli torna così assurdo da lasciarlo attonito,
inebetito, incapace di affrontare con le parole un argomento che sfugge del
tutto alle sue deboli capacità analitiche. Si mormora in giro con sempre
maggiore insistenza di un legame tra i fatti accaduti ai danni dell’apprendista
nell’officina di Aldo Ferretti e i propri datori di lavoro, i proprietari
terrieri della zona, i Conti Tornassi, che in questo periodo non si fanno
neppure vedere, né in giro e neppure in fattoria. La spiegazione sembra stia
semplicemente nella volontà di interrompere sul nascere quel probabile flusso
di migranti verso il paese di Pian dei Fossi che si potrebbe scatenare nel caso
in cui quel ragazzo Senegalese, assunto in via temporanea dal meccanico della
cittadina, richiamasse a sé altri individui della sua stessa nazionalità,
magari attirati dalla persino troppo buona accoglienza tributata al ragazzo,
costituendo così una comunità che potrebbe rapidamente scardinare i principi su
cui si è retta fino ad oggi tutta la sovranità indiscussa della famiglia dei
Conti. Naturalmente al Verdini appare quasi incredibile possa essere accaduto
qualcosa del genere, e in ogni caso il fatto di stare alle dipendenze da quasi vent’anni
di una famiglia capace di macchiarsi la reputazione con gesti del genere non lo
induce a sentirsi particolarmente sereno e felice.
Persino
all’ora di cena, quando si siedono al tavolo Antonio e sua sorella con il
marito di lei, sembra impossibile dire una sola parola che non appaia
semplicemente stonata e fuori luogo, di qualsiasi argomento si tratti. Teresa
si limita ogni sera a cucinare qualcosa e a portarlo in tavola, e le sue uniche
espressioni si riferiscono a quello e a nient’altro. Anche Toni ha sentito
parlare tra i pensionati che stazionano sulle panchine della piazza di qualcosa
del genere, e la sua idea è che Niocke dovrebbe ribellarsi al più presto
possibile da soprusi del genere, e dimostrarsi persona che sa perfettamente di
non essere accettata da qualcuno in paese, e quindi mostrarsi ferita in qualche
maniera da comportamenti del genere, ostentando però le proprie origini, ed
indicando a chiunque con orgoglio il proprio percorso di vita fino a questo
momento. Ma lui è una persona remissiva, incapace di provare sentimenti di
avversione nei confronti di tutti coloro che sembrano sempre voler giudicare
gli individui dai loro particolari più evidenti, e quindi se non ci sarà almeno
qualcuno che con viva voce sarà disposto a prendere le sue difese, lui non farà
mai un bel niente per cercare di superare questo momento così negativo.
<<Niocke è mio amico>>, dice all’improvviso Antonio mentre va
avanti la cena. Carlo non replica niente, ancora tratta suo cognato come un
povero pazzo privo delle capacità di intelligenza e di logica appannaggio delle
persone comuni, e quindi non ritiene di dare importanza a delle uscite
improvvise del genere, mentre Teresa, che sa perfettamente di che cosa si
parla, per una volta che accade nota con interesse la voglia di parlare di suo fratello;
perciò, gli chiede subito che cosa abbia mai fatto per giudicare un amico quel
ragazzo di colore.
Antonio
resta in silenzio per qualche momento, prosegue ad osservare il suo piatto
stuzzicando qualcosa con la propria forchetta, poi si decide: <<Gli ho
insegnato a leggere la lingua italiana quelle volte che ci siamo ritrovati
nella biblioteca. Me lo aveva chiesto lui, e io gli ho dato delle
lezioni>>. Ancora silenzio. Poi Teresa va avanti: <<Mi pare una
bella cosa, in fondo se questo ragazzo è intelligente e sensibile proprio come tu
stai dicendo, è giusto che inizi a leggere e a scrivere nella nostra lingua, in
modo da integrarsi in mezzo a tutti noi. E tu hai fatto un’azione veramente
meritevole; sono veramente contenta del tuo comportamento>>. A questo
punto avviene qualcosa: Carlo Verdini si alza dalla sedia, va nella stanza
adiacente sbattendo leggermente la porta, si nota senza nemmeno guardarlo la propria
alterazione, anche se evidentemente non ha alcun rimprovero da fare verso
qualcuno in particolare. Quando torna appare rosso in faccia e con lo sguardo nervoso:
probabilmente si sente messo alla gogna dagli stessi fatti che stanno accadendo,
proseguendo a lavorare come sempre per conto di quella famiglia dei Conti Tornassi,
anche se adesso non ci può fare niente, le cose stanno in questa maniera, e lui
si sente soltanto una pedina qualsiasi in una scacchiera piuttosto grande e
affollata di pezzi. Forse non vorrebbe trovarsi a pensare che è sempre stato
alle dipendenze di facoltosi proprietari terrieri assolutamente privi di
scrupoli, ma da lì a immaginare quei Conti come degli aguzzini razzisti il
passo gli pare ancora un po’ lungo. Per le idee che ha sempre manifestato gli sembra
un contrasto persino troppo evidente quello di dover abbassare la testa per
amore del proprio mestiere, e contemporaneamente rendersi conto che i gesti
migliori sono stati compiuti da un membro della propria famiglia, quel Toni Boi,
fratello di sua moglie, mai preso in considerazione. Anche se le cose adesso sembrano
stare proprio in questa maniera.
Bruno
Magnolfi
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