Iniziai
a volare in un giorno qualsiasi, proprio quando meno me lo sarei aspettato. Mi
ero seduto in campagna sopra un muretto, ed ero rimasto lì, ad osservarmi
attorno e a meditare sui miei guai. Poi mi ero sollevato in piedi per osservare
qualcosa giù per la collina, in fondo alla strada sterrata che si andava a
congiungere con quella principale che portava al mio paese, due chilometri più
avanti. Mi ero sollevato lentamente quasi senza accorgermene, fino a posizionarmi
a tre o quattro metri dal suolo. Muovevo le braccia come se nuotassi immerso in
un’acqua trasparente, e avanzavo con calma, con naturalezza, come se una forza
incomprensibile mi tenesse in quella posizione, e mi permettesse di librarmi.
Più
tardi rimisi i piedi sulla terra e tornai a casa. Sorridevo tra me di quel
segreto, custodendolo come una cosa rara, e mi permettevo di osservare tutti
quanti con un sottile senso di superiorità che precedentemente non avevo mai
provato. Nei giorni seguenti proseguii sempre da solo con i miei esercizi, scoprendo
che soltanto da quel muretto riuscivo a spiccare il volo, ma ad ogni prova,
senza alcuno sforzo, riuscivo ad ottenere sempre buoni risultati. Ogni volta,
tornando a casa, mi sentivo sempre più distante e superiore nei confronti dei
vicini di casa e di tutti i miei tanti conoscenti, ed avevo iniziato a provare
quasi un senso di pena per coloro che continuavano a salutarmi con semplicità, come
sempre avevano fatto, ignari delle differenze intervenute nel frattempo.
In
seguito, come capita spesso per tante cose, tutto quanto, e persino in troppo
poco tempo, divenne una semplice abitudine: non mi sentivo più neanche
particolarmente superiore agli altri, ed anzi, avevo iniziato in breve a
provare un certo nervosismo, pensando soprattutto che quel che avevo messo a
punto con la mia tecnica, non potesse servirmi nel futuro praticamente a
niente. Così avevo iniziato a riflettere su una buona scusa per richiamare
tutti quanti fino lì, di fronte a quel muretto che mi permetteva di lievitare
in aria, senza dire niente delle mie capacità, ma le cose si dimostrarono più
difficili di quel che avrei pensato, e anche quando cominciai a dire che per me
era una cosa di importanza decisiva, molti di quelli del paese con cui avevo
parlato, giusto per convincerli delle mie buone ragioni, mi rispondevano che
avevano altro da portare avanti, e che non avevano tempo per seguirmi e
dedicarsi a me.
Alla
fine riuscii a reclutare solamente tre persone, ma a me parvero decisamente
sufficienti, considerando che quando si sarebbe diffusa la notizia del
prodigio, tutti gli altri sarebbero corsi per assistere al miracolo coi loro
stessi occhi. Fu al momento che quei tre erano lì a guardarmi, proprio nel
momento in cui ero già salito in piedi sopra a quel muretto, che sentii
qualcosa dentro di me che non mi parve del tutto convincente. Rimasi lì,
difatti, ed i miei piedi non ne vollero sapere di staccarsi dalle pietre. Gli
altri non riuscivano neanche a capire a che cosa gli era stato chiesto di
assistere, così io iniziai a scongiurarli di credermi sulla parola, che
riuscivo veramente a spiccare il volo, e che era già accaduto tante volte,
addirittura ogni giorno per dei mesi, addirittura fino al pomeriggio precedente
a quel giorno per me infausto.
Se
ne andarono senza neppure dire niente, scuotendo la testa e lasciandomi ai miei
guai, e a me prese quasi una crisi isterica pensando a quello che mi stava
succedendo. Non passò molto tempo, provavo avversione persino nel tornarmene a
casa, e quando poi le autorità del paese mi dovettero rinchiudere, io non
riuscii neppure ad obiettare qualche cosa: in fondo era giusto così, pensavo;
meglio finire segregato piuttosto che cercare di convincere quei paesani delle
mie buone ragioni, tanto più che probabilmente nessuno di loro mi avrebbe mai
creduto, neppure se davanti ai loro occhi fossi entrato tutto intero dentro a
una nuvola, lasciandoli per terra come sciocchi. Sapevo solo io che cosa avevo
fatto e quali erano state fino a poco prima le mie capacità, e in fondo per me questo
era già decisamente sufficiente.
Bruno
Magnolfi
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