Pioveva
da giorni, ed io ero entrato nei magazzini dei formaggi all’ingrosso tanto per
dare un’occhiata. Sapevo che là dentro ultimamente, tanto per non farsi notare,
si ritrovavano spesso alcuni della banda per cui lavoravo, ed entrare là dentro
quel giorno, pur con il cappello sugli occhi, era per me un po’ come sfidare la
sorte, considerato che non mi ero più fatto vedere da loro nelle ultime due o
tre settimane. Ero entrato nella sala principale mentre la gente trattava le
partite di cacio di qualsiasi genere e tipo, e l’odore nell’aria era talmente
accentuato che si faceva quasi fatica persino a respirare.
Sul
tavolato dove si camminava alcuni passavano con i carrelli pieni di forme, e si
sentivano le suole delle scarpe scivolare sull’untuosità dei formaggi, così
tutto appariva precario e instabile, quasi che niente là dentro fosse stabilito
una volta per tutte. Avevo girellato osservando il personale che continuava a
trattare sui prezzi, poi avevo sentito qualcuno che diceva qualcosa da dietro
le mie spalle, come per invitarmi a voltare la faccia. Mi ero girato quanto
bastava, ed erano lì, tutti quanti, cinque o sei componenti della banda con cui
avevo lavorato per quasi due anni, e mi guardavano con calma e intanto
sorridevano, con il loro classico modo di prendere tutti per i fondelli.
La prima parola era la loro, io mi
potevo soltanto preparare per giustificarmi, tenermi pronto con parole adeguate
per dire che ero venuto lì apposta a cercarli, e per informarli che da domani
avrei ripreso il lavoro come sempre, che tutto era a posto, ma loro sembravano
parlare senza cercare di riferirsi proprio a me, come se volessero continuare
soltanto a sorridere e a dire a voce alta che non c’era proprio niente da fare,
prima o poi in quella città ci si imbatteva in chiunque, e altre cose del
genere. Davvero?, disse poi Sandro sempre ridendo e sempre con la sua solita
impossibile ironia, quando spiegai le mie buone ragioni e che sarei tornato al
lavoro, perché ero stato malato ma che adesso stavo meglio, ero venuto fin lì
proprio per dirglielo. Lui continuava a sorridere con la sua faccia da schiaffi,
con le mani sprofondate dentro alle tasche del suo bel vestito di seta, e
proseguendo a guardarmi, senza far altro.
Fai un salto in ufficio, più
tardi, magari nel tardo pomeriggio, disse con finta serietà, capace che hai giusto
bisogno di un paio di spiccioli per rimetterti in sesto: passi da lì tipo
stasera, poi ci vediamo domani al solito posto. Feci subito cenno di si, capivo
che erano tutti arrabbiati con me, così dissi grazie, ma sottovoce, e Sandro mi
sfiorò leggermente una spalla, poi si abbassò, visto che era molto più alto di
me, e in un orecchio mi disse di aspettare là dentro ancora un’oretta, di tener
d’occhio una certa persona che mi fu indicata, e poi tutti quanti se ne
andarono via.
In tutto quel tempo da quando non
mi ero più presentato da loro avevo cercato di entrare in un’altra banda
locale, perché i modi di Sandro e dei suoi non mi piacevano più: Sandro era
capace di tutto, mi facevano paura quei suoi modi, però ero sicuro che lui non
fosse informato di niente, se avesse saputo qualcosa per me sarebbe stato un
bel guaio, ma da quel che mi avevano fatto capire tutto pareva essere filato
via liscio. Al pomeriggio, come mi avevano detto, avevo preso la macchina per
andare da Sandro, ma dopo i primi cinquanta metri mi ero subito accorto che i
freni erano andati. Era stato qualcuno dei suoi ragazzi, non c’era alcun
dubbio, l’avvertimento era ben studiato, visto che la mia strada era
leggermente in discesa. Al semaforo rosso andai ad immettermi sul viale
chiudendo gli occhi e piegando repentinamente sulla mia destra, ed un’auto
riuscì per un soffio a schivarmi, strombazzando e sbandando sull’asfalto
bagnato.
Poco più avanti c’era un
meccanico, così alla meglio mi fermai lì davanti e gli chiesi di riparare la
macchina per il giorno seguente. All’ufficio, come lo chiamavano tutti, arrivai
con un autobus, continuava a piovere senza fermarsi, ed io oramai mi sentivo
tutto bagnato. Sandro fece chiudere la porta, io credevo che dopo lo scherzo
dei freni tutto fosse concluso, invece mi presero in due per le spalle, e lui,
con quel suo solito odioso sorriso venne verso di me con una siringa caricata
chissà con che cosa. Si fece sotto con calma, poi mi graffiò il viso con l’ago,
lasciandomi uscire qualche goccia di sangue, e poi mi infilzò la siringa sopra
la spalla, alla base del collo, mentre continuavo con tutte le forze a cercare
di divincolarmi.
Il giorno seguente mi svegliai in
un posto all’aperto, vicino ai binari, poco lontano dalla stazione dei treni,
così barcollando salii sul primo convoglio che passava da lì, e senza neppure
chiedermi niente andai via, fuori dai piedi.
Bruno Magnolfi
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