Dimmi la verità, fa
lei. Lui sfoglia un quotidiano: non avrebbe alcun senso, dice; quello che hai già
deciso frettolosamente di pensare del mio comportamento non cambierebbe
comunque di una virgola, risponde l’uomo senza guardarla. Lei esce dalla
stanza: pensa che probabilmente potrebbe perfino piangere, tanto si sente
umiliata, anche se non sa bene neanche da che cosa; però non vuole in nessun
modo farsi vedere così debole, perciò si chiude in bagno, anche se per pochi
momenti, mentre l’uomo appoggia il giornale e accende la televisione.
Poi la donna torna
nella stanza: tanto ho capito perfettamente, fa lei; non ha neppure importanza
che ne parliamo ancora. Una luce di tramonto entra obliquamente dalle finestre;
aggiornamenti dell’ultima ora, sia di cronaca che di politica nazionale,
rimbalzano dal televisore col volume al minimo. Sono convinta che soltanto tra pochi
giorni vedremo tutto questo in un modo completamente differente, fa lei. Non
c’è quasi più niente da dirsi, pensa lui; ormai siamo giunti alla farsa: dire
le cose maggiormente evidenti per coprire le verità più nascoste e antipatiche.
Lei si muove, gira alcuni canali della televisione: nell’ultimo che appare qualcuno
sta cantando con apparente trasporto dentro ad un microfono che tiene in mano
con sapienza: un pubblico finto sorride, pronto ad applaudire al termine
sfumato di una famosa canzone.
Lei lascia sul tavolo
il telecomando, si accende una sigaretta, osserva qualcosa di sfuggita sul
display del suo cellulare. Vorrei soltanto sapere cosa ti ho fatto di male, fa
lei senza spostare lo sguardo. Lui si alza, prende con la mano il telecomando,
sceglie un canale dove casualmente stanno passando la pubblicità di un’auto
elegante. Sei tu che hai messo in piedi tutta questa storia
dell’incomprensione, dice; per me sta tutto a posto, o almeno, abbastanza.
Lei osserva la
pubblicità, appoggia il suo telefono sul tavolo, si mette comoda sopra il
divano, aspira una boccata di fumo. Allora cosa decidiamo di fare questo fine
settimana, fa, con voce monotona e decisa, come chi ritiene già di conoscere perfettamente
la risposta. Lui gira ancora canale, ed un capo di stato sembra stia
presenziando un drappello di soldati in alta uniforme, mentre giungono le note
più stridule di un inno sconosciuto.
Ho voglia di filare
via da qui, fa lui; si potrebbe fare una corsa fino al mare, cosa ne dici? Lei
non risponde, forse avrebbe soltanto voglia di girare quel canale, trovare una
sintonia che le interessi, ma a quell’ora sembra che i programmi siano tutti
uguali, monotoni, risaputi, quasi le stesse cose di sempre. Fuori dalla
finestra qualcuno lungo la strada urla un nome a squarciagola: lei ride, in
fondo senza neppure averne motivo. Si, fa alla fine, portami al mare;
dimentichiamoci di tutto, mettiamo a punto un nuovo equilibrio…
Lui torna a premere i
pulsanti del telecomando, e appaiono le immagini di un vecchio film, una
pellicola addirittura in bianco e nero. Lui preme power e il monitor si spegne.
Quello che mi dispiace di più, fa lei premendo la sua sigaretta nel posacenere
di vetro, è che alla fine sappiamo bene come ritrovarci, eppure dobbiamo
continuamente compiere dei giri assurdi per arrivare fino a quel punto. Lui
annuisce, cerca dentro la sua mente un luogo di mare che meriti la loro piccola
gita, ma non gli viene a mente nulla. Potremmo anche rimanere qui, dice senza
crederci; girare in ciabatte per casa tutto il giorno, parlare di noi, leggere
qualche libro, scoprire quanto sia rilassante non far niente, evitare di
preoccuparsi di qualsiasi cosa. Va bene, fa lei: tanto riesci sempre a
convincermi di tutto quello che ti gira per la testa.
Bruno Magnolfi
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