giovedì 25 ottobre 2012

Il mio manichino (ritratto n. 11).


            
            Cammino per strada, nella tarda serata. Ad un tratto vedo un uomo fermo a pochi metri da me. Mi osserva come stesse in attesa, quasi pronto a scattare. Non posso lasciargli credere che ho paura di lui, però siamo soli lungo quel tratto di strada, ed i lampioni illuminano a malapena la scena. Penso come sempre che non ho niente da perdere, ma non è facile procedere come se tutto fosse normale, come se il naturale andamento delle cose non prevedesse un inciampo di fronte a sé.
            Mi fermo, accendo una sigaretta e prendo tempo. Nell’atto di frugarmi dentro alla tasca, avverto qualcosa che non avevo considerato: un piccolo temperino che porto sempre con me. Vado avanti, ma torno a fermarmi di nuovo. Mi volto all’indietro, non c’è nessuno; potrei tornare verso casa, penso, oppure attraversare la strada, andarmene per i fatti miei. Sento sotto la giacca la tensione che sale, non so se ho paura, forse vorrei soltanto aver già affrontato quell’uomo ed essermi tolto quel peso.
            Dico qualcosa tra me, due o tre parole senza alcun significato, poi lascio nell’aria un silenzio di due o tre secondi, e infine mi lascio andare in una sonora risata. Intanto con la mano dentro la tasca apro il mio temperino: mi sento pronto, posso ancora ridere, penso, non ho paura di nulla. Mi fermo, osservo le dita che sostengono la mia sigaretta, poi aspiro una profonda boccata di fumo. Mi viene da tossire, ma resisto. Faccio ancora un passo in avanti, scruto qualcosa oltre la figura maschile di fronte a me, ma è soltanto uno scuro cespuglio che sembra assorbire luce e rumore.
            Penso che tutto abbia uno scopo; rifletto che ci saranno altre serate simili a questa, potrò ancora camminare lungo la strada, non c’è niente di male nel farsi una passeggiata. Cerco di oggettivare la situazione, e tutto mi appare ridicolo, come se quanto sta per succedere fosse al di sopra di me, oltre questa pochezza di cose da mandare avanti ogni giorno. Ho ancora voglia di ridere, ma mi trattengo. Mi avvicino ancora di poco, l’aria sembra più densa, così immagino che gli eventi ormai siano al culmine del loro verificarsi.
            Torno a fermarmi, mi volto, sento di avere paura. Chi mi attende nasconde qualcosa, qualcosa di me, ha già dentro le mani un elemento che forse mi appartiene, anche se non so cosa sia. Devo fuggire, penso, allontanarmi in fretta da tutto, ritrovare ciò che ero prima di questo momento, azzerare tutte le cose, convincermi che nulla è mai accaduto. Mi cade la sigaretta sul marciapiede, mi fermo di nuovo, ho l’affanno. L’oscura figura che staglia il suo profilo nel buio è immobile, non tradisce alcun sentimento.
            Scappare, penso, non posso far altro, anche se è tardi, il mio temperino è inservibile, la mia razionalità forse non aiuta nessuno, tantomeno il mio corpo che avanza come un automa. Mi fermo a tre o quattro metri, apro la bocca per una risata nervosa, guardo quell’uomo e mi lascio guardare, ormai non c’è più niente da poter portare al sicuro, tutto è di fronte allo specchio, tutto è coinvolto in una mimica sospesa nel tempo. Osservo meglio la faccia dell’uomo: è un manichino di polistirolo sul suo piedistallo, abbandonato lì forse solo per fare uno scherzo.

            Bruno Magnolfi

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