lunedì 15 ottobre 2012

(Profilo n. 22). Qualcosa di superfluo.


            
            Per lungo tempo quel braccio aveva proseguito col fargli male: un dolore sottile, costante, sopportabile, ma sempre presente. Poi aveva smesso, all’improvviso, ma lui sapeva, per qualche motivo inspiegabile, che era soltanto una tregua momentanea, e che tutto sarebbe ripreso, esattamente come durante il periodo precedente. Il medico gli aveva detto che era tutto sotto controllo, dopo pochi giorni avrebbe potuto aver chiari e completi i risultati delle sue analisi, e quando lui aveva chiesto quando sarebbe terminata del tutto quella specie di tortura, in considerazione anche della debole terapia a cui si era sottoposto, il dottore aveva risposto sorridendo: nella vita ci vuole sempre una certa dose di buona pazienza.
            Così, in quel preciso momento, lui aveva deciso sia di non tornare mai più a farsi visitare dal medico, che di interrompere tutte le cure che quello gli aveva prescritto: ormai gli pareva una cosa assolutamente inutile, e visto che avrebbe dovuto contare, come diceva peraltro il dottore, soltanto su se stesso e sulla sua tolleranza, sarebbe stato del tutto superfluo cercare l’appoggio e il sostegno di altri. Osservò a lungo il suo braccio, cercò in quei pochi giorni di tenerlo a riposo, e di affidarlo ad una fascia appesa al suo collo, solo massaggiandolo ogni sera delicatamente con l’altra mano.
            Il ritorno improvviso del dolore, però, avvenne durante la notte, come uno scoppio improvviso, quasi come se qualcuno, con una calma da sadico, si fosse predisposto a tagliargli le ossa del braccio all’altezza del gomito, usando peraltro una sega poco affilata. Prese un semplice antidolorifico, poi un altro, e alla fine il dolore si acquietò parzialmente, tornando ad essere, più o meno, quel male sottile e costante che andava avanti imperterrito da quasi due mesi.
            Lui cercò di manifestare, sia nei propri confronti, che rispetto alla vita ordinaria, un’indifferenza ostinata e continua nei confronti di quel dolore. Tanto da convincersi, con uno sforzo neppure troppo intenso, che quel braccio non gli stava procurando più alcuna noia, e che probabilmente non lo avrebbe infastidito neppure in futuro. Lasciava la mano riposta dentro la tasca, come avesse un arto di legno, incapace persino di muoversi, e si recava nei luoghi osteggiando una grande naturalezza, parlando con le persone come sempre aveva fatto, ed evitando in assoluto di usare quel braccio, comportandosi cioè in modo da eludere qualsiasi spiegazione sui suoi modi di fare e sui motivi che aveva per agire così.
            Provava continuamente quella leggera fitta nel braccio che sembrava non volerlo mai abbandonare, ma lui si stava così bene abituando a quei modi di fare, che alla fine non ci faceva più neppure un gran caso. Infine arrivarono i risultati delle analisi che gli aveva fatto fare il suo medico: questi gli telefonò con urgenza, e la sera stessa lo fece ricoverare dentro una clinica dove quell’arto venne immediatamente amputato.
            Non fu un grande trauma: lui in qualche modo si era forse già abituato all’idea, ed in fondo aveva ben fatto una certa pratica di comportamento. Così, dopo pochi giorni di degenza, tornato a casa, tutto gli parve riprendere un andamento che già conosceva. C’era soltanto una differenza, della quale assolutamente sentiva adesso tutta l’enorme importanza: non provava più alcun dolore, era libero da quel male sottile, e questo adesso non era certo un elemento di cui non tener conto.

            Bruno Magnolfi



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