mercoledì 31 ottobre 2012

Navigazione serena.


            

            In questo reparto adesso c’è silenzio. Non è tardi, ma hanno già smorzato le luci, e si riesce soltanto ad avvertire ogni tanto qualche lontano colpo di tosse, ed un ronzio sottile, proveniente chissà da dove. Mi rivolto nelle lenzuola bianche del mio letto, cerco soltanto una posizione comoda e rannicchiata, immaginando questo alto edificio, visto da fuori le vetrate, come una grande nave che manovra lentamente, dentro alla notte insidiosa della città, in mezzo ai problemi e alle preoccupazioni di sempre, che tengono sicuramente svegli molti dei suoi abitanti.
            Scorre il fiume, laggiù, da qualche parte, con la sua costante portata d’acqua, proprio come questa flebo accanto a me, che prosegue a stillare una goccia dopo l’altra, lentamente. Se penso al giorno che deve ancora sorgere, mi sembra così lontano da riuscire a definirlo già un punto d’arrivo, quasi un traguardo, non perché le mie condizioni siano così compromesse da farmelo pensare, quanto perché tutto stasera pare scivolare in un tempo surreale e rallentato, quasi immobile.
            Cerco di pensare qualche cosa che mi porti lontano da questo luogo, ma riesco solo a immaginarmi le molte espressioni di tutta questa gente che viene custodita qui, insieme a me, proprio dentro questo edificio tecnico, che si muove quasi impercettibilmente insieme a tutto l’enorme palazzo di vetro e di cemento che costituisce la nostra provvisoria residenza. Tutti qui avrebbero probabilmente bisogno di sentirsi fuori dagli schemi, capaci di qualcosa che non osano neppure sognare, ma magari sono solo io che mi sbaglio: forse quegli stessi intorno a me stanno pensando la medesima cosa di cui anche io provo una voglia irresistibile.
            Insieme probabilmente potremo girare per tutta la città, poi magari fare rotta persino verso il quartiere dove abito, quel groviglio di strade che frequento da così tanti anni da riconoscerne ogni angolo persino ad occhi chiusi. Probabilmente sono soltanto troppo ottimista, ma potremo magari transitare proprio lungo la via dove sta il mio condominio, con il piccolo appartamento al terzo piano dove sono racchiuse praticamente tutte le mie cose. Ci penso meglio, con maggiore pacatezza, e ad un tratto mi sembra che quello che ho riflettuto appena adesso non sia del tutto vero: sono qui le mie cose, penso, insieme a me; non ho bisogno di nient’altro che di quello che ho qui, in mezzo a queste semplici lenzuola.
            Forse sarebbe addirittura possibile, se rimango sveglio e attento in questa notte così particolare, affacciarmi a questa larga finestra nel momento giusto, salutare con la mano i miei vicini di casa, tutte le persone che mi conoscono e che forse si sono accalcate sopra al marciapiede per assistere a questo evento così particolare. Il transatlantico su cui stiamo viaggiando potrebbe addirittura lasciarmi sbirciare molti dei luoghi a cui sono legato: il giardinetto dove spesso mi reco, il negozio dove vado per gli acquisti, l’albero sulla cui corteccia tanti anni fa incisi con leggerezza il nome di lei. Se faccio attenzione, potrei addirittura vederli passare proprio qui davanti, non come una visione nostalgica, o peggio per provocare in me quella commozione che sicuramente potrebbero scatenare, ma soltanto per una sorta di omaggio a ciò che conosco e che fa parte di me, quasi un elenco delle cose a cui tengo, niente di particolarmente diverso.
            Poi potremmo partire, allontanarci davvero da tutto questo, viaggiare durante ore buie ed inutili per andare ad avvicinarci poco per volta a mete sconosciute, a luoghi mai visti, pur rimanendo immersi in questo silenzio crepuscolare dei corridoi così terribilmente asettici. La nave procede, i motori girano al minimo, e noi tutti insieme solchiamo le acque più inesplorate, immersi quasi in un dormiveglia febbricitante che ci farà sentire sicuramente diversi al ritorno, quasi delle altre persone nei primi momenti, fino a quando però dovremo accorgerci per forza che siamo soltanto rimasti per tutta la notte in un qualsiasi letto di ospedale.

            Bruno Magnolfi         

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