La strada di casa mia è stretta, come sono strette le strade di tutto
questo quartiere. Quando cammino sul marciapiede piccolissimo devo sempre
scendere ogni volta che incrocio qualcuno, perché due persone non riescono a
starci. Quando piove poi, tutto si complica per via delle pietre scivolose e
degli ombrelli ingombranti. Spesso ho
paura di inciampare, di rimanere con un piede malfermo sopra uno spigolo, di
affondare una scarpa in una di quelle scheggiature della pavimentazione che ti
fanno perdere ogni equilibrio. Così, quando cammino per tornarmene a casa,
cerco sempre di stare bene attento a dove vado a mettere i piedi, anche se talvolta
me ne dimentico, e come un ragazzino senza cervello attraverso la via con la
testa vuota di tutto e le gambe che quasi si muovono per conto proprio.
Poi qualcuno mi sfiora, cerco di scansarmi, appoggio male la suola della
scarpa su un punto dove il lastricato è un po' instabile. Perdo l'equilibrio in
un attimo, come già mi aspettavo, ma fortunatamente riesco a riprendermi e a non
cadere, anche se subito avverto un sottile e antipatico dolore alla caviglia.
Mi fermo, mi accosto al muro per controllare la situazione, cerco di riprendere
le forze che paiono mancarmi. Non ricordo neanche più se dovevo passare dal
negozio di generi alimentari prima di rientrare, ma penso che non faccia
niente, per prima cosa sono certo che devo assolutamente tornarmene a casa.
Provo a camminare, ma non riesco neppure ad andare diritto, zoppico, ed è
come se ondeggiassi mentre procedo, tanto che torno a scendere dal gradino del
marciapiede più di una volta. Penso dovrò fermarmi al caffè poco distante, giusto
per sedermi un momento ad un tavolino, ma intanto torno a sostare per un attimo
proprio nel mezzo ad un gruppo di persone. Qualcuno di quelli che stanno
passando mi spinge, tutti vogliono strada per sé, allora mi volto, non so neanche
più cosa debba fare, se proseguire imperterrito per i fatti miei, oppure mescolarmi
con gli altri, fingere di essere uno tra tutti.
La mia caviglia è sempre più dolorante, e adesso ho paura di mettere male
il piede di nuovo e finire col cadere disteso lungo la strada. Chiedo qualcosa
ad un passante, uno qualsiasi, ma quello fa un brutto gesto come se non avesse
tempo per me. Mi rifugio in un ortofrutta lì accanto, la signora del negozio mi
guarda, io non so cosa dirle e riesco soltanto a darle uno sguardo di supplica.
Quella commerciante però mi conosce, sono stato là dentro altre volte a
comperare l’insalata, la frutta, le patate, così mi faccio coraggio, le chiedo
se ricorda per caso dove io abiti, perché in questo momento mi sento confuso, ho
un piede ormai malandato, devo per forza raggiungere casa. La donna mi guarda,
mi spinge verso la porta vetrata, mi indica qualcosa in fondo alla via.
Zoppico vistosamente mentre procedo lungo quegli ultimi metri, sempre più
forte provo la paura di cadere, ma poi riconosco alla fine il portone del mio
condominio, lo apro, provo l'euforia di
avere quasi raggiunto il mio appartamento, di essere in salvo, tirare un
sospiro di sollievo, anche se ci sono quattro rampe di scale da fare; e mentre il
portone si chiude automaticamente alle mie spalle, mi ritrovo da solo in
quell'ingresso impersonale ed anonimo, ed ecco che d'improvviso le forze mi vengono
a mancare del tutto, e cado come uno sciocco sul pavimento, senza più alcuna
energia, privo della più elementare capacità per riuscire ad essere ancora
integro, lo stesso di sempre.
Bruno Magnolfi
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