Mi rannicchio nel vano del portone dove mi sono rifugiato. Sto fermo,
osservo la pioggia che continua a cadere, sto bene, in qualche modo, stringo il
mio giaccone impermeabile e cerco quasi di sparirvi all'interno, come se potesse
accogliermi tutto comodamente. In fondo non mi interessa nulla delle macchine
piene di gente che continuano a transitare lungo la strada, forse qualcuno là
dentro mi vede, mi osserva, esprime qualche giudizio, ma io sto qui, rifletto,
e sono sicuro che prima o dopo mi passerà nella mente qualche idea buona. Poi
mi siedo sopra al gradino: aspetto che succeda qualcosa, non c’è nient’altro da
fare, ma più concretamente vorrei soltanto trovarmi quasi per magia in un posto
caldo e ben asciutto, tanto da poter chiudere gli occhi e sonnecchiare, almeno
per qualche minuto.
Con le dita sento nella tasca destra le poche monete che mi sono ancora
rimaste, non ci posso fare molto, sono appena sufficienti per comprarmi un
panino o qualcosa da mangiare, e forse sarà proprio quello che cercherò di
fare, appena sarò in grado di muovermi da qui. Ma la pioggia prosegue, non mi
permette di avventurarmi verso nessun luogo, sono inchiodato in questa
posizione, e allora, tanto per smuovere qualcosa, suono un campanello del condominio
in cui mi sono rifugiato. Risponde un uomo all’apparecchio, gli chiedo aiuto,
dico che sono bloccato qui, non so che fare, piove a dirotto, non posso
muovermi. Lui dice che scende, viene a sincerarsi della situazione, io dico
grazie senza grande fiducia, ma poco dopo lui arriva davvero. Posso chiamarle
un taxi, mi dice; gli spiego che non ho i soldi per riuscire a pagarlo, ma lui
sostiene che non c'è questo problema. Dopo quasi un quarto d'ora arriva l'auto,
l’uomo mi mette in mano due biglietti di banca più che sufficienti per una
corsa urbana verso qualsiasi luogo, ed io salgo. L'autista, dopo aver osservato
il mio abbigliamento trasandato e l’uomo che mi finanzia, mi chiede verso dove
deve dirigersi, ed io rispondo la stazione centrale.
Arriviamo là persino troppo di fretta, il tassista alla fine mi fa uno
sconto, scendo con molta calma e subito rimango fermo sotto ad una pensilina
con in tasca gli spiccioli di prima e qualche altro soldo. Vago lentamente
nella stazione mentre rifletto: sono quasi due anni che ho perso il lavoro, ma
sono ancora confuso, non mi è ancora riuscito di pensare quali soluzioni ci
siano per la mia situazione; in ogni caso le poche persone che conoscevo in
precedenza le ho già contattate più di una volta, e nessuno di loro alla fine
si è offerto di darmi davvero una mano. Sono solo, di fatto, e questa è una
condizione fantastica per poter ripensare e rielaborare ogni cosa, ammesso che prima
o poi ci riesca.
Entro in un treno qualsiasi fermo al binario, naturalmente senza avere il
biglietto, mi sistemo nel caldo di uno scompartimento e lascio che il convoglio
riparta. Prima che arrivi il controllore ho un po’ di tempo per godermi questa
sensazione piacevole, penso. Infine mi alzo, giro con calma nel corridoio, vedo
da lontano una persona in divisa e istintivamente mi dirigo dalla parte
opposta. Il treno rallenta, fischiano i freni di questa carrozza, infine si
ferma, siamo chissà in quale altra stazione, ed io scendo, raggiungo la sala
d’attesa deserta di un paese che non so neppure quale sia, e mi piazzo seduto.
Posso continuare in questa maniera per chissà quanto tempo, rifletto, però non
so a cosa possa servire. Fuori continua a piovere, magari qualche fiume è
uscito dagli argini, penso; il mondo è pieno di problemi, mi dico: poco per
volta però le soluzioni verranno fuori, le cose si sistemeranno, occorre
soltanto avere pazienza, vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, attendere
magari che torni il bel tempo, poi tutto si asciugherà, ne sono sicuro, e forse
allora potremo tornare tutti a sorridere.
Bruno Magnolfi
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