Non
ha alcuna importanza questo sapore leggermente amaro, questa pioggia sottile,
questo tempo sostanzialmente troppo frettoloso. Starò fermo, saprò aiutare gli
altri fino a convincermi di essere nel giusto, e di come resta probabilmente una
distanza purtroppo incolmabile tra tutto, anche se si può sempre tentare
qualcosa che ci faccia sognare uno spazio diverso. Procedo dentro questo
autobus urbano nel portare avanti come sempre le mie affannose giornate, anche
con intransigenza, con convinzione, muovendomi coerentemente tra le tante
piccole cose di cui è cosparsa tutta la strada che proseguo a percorrere. Una
signora accanto a me si sta chiedendo in questo momento cosa mai io continui a
leggere sopra il quaderno, visto che lei solo a momenti riesce a sprofondare
gli occhi tra le pagine di un piccolo libro di racconti, e va avanti con
sforzo, tanto da sembrare quasi bisognosa di solidarietà per criticare una
scrittura che probabilmente non le piace affatto.
Poi
sorride tra sé, forse ha capito che sto soltanto rileggendo qualcosa che ho
scritto stamani, un appunto frettoloso di cui adesso peraltro non ritrovo neppure
il senso. Allora mi volto verso di lei, le dico per orgoglio che sono io che ho
scritto il suo libro, ma lei resta incredula, piena di dubbi, ed io penso questo
mentre lei continua a guardarmi; probabilmente mi prende per uno spostato, ma
poi dice che in ogni caso s’immaginava l’autore più alto, forse, o meno
anziano, o chissà: insomma una persona diversa da come appaio io, mi dice; una
persona meno qualsiasi, ecco. Vorrei sorriderle; invece, scendo alla prossima,
le dico, e con questo mi alzo, anche se ho la certezza che non devo scendere
affatto.
C’è
il nulla dentro molte delle mie parole, penso; e c’è una dose di inquietudine
che alla fine tiene lontani tutti da me.
Figurarsi che ho sempre cercato di descrivere l’individuo contemporaneo,
il suo continuo perdersi, quel suo semplice stare sempre a cavallo tra un
passato ingombrante e un futuro sempre più incerto. La signora di prima
continua a guardarmi ancora, anche se adesso le sono lontano: probabilmente cerca
di immaginarmi mentre sto curvo sul tavolo a scrivere qualcosa, poi tenta
ancora di capire dal mio aspetto e dai miei modi quale persona io sia, non
comprendendo che tutto ciò che le serve sta sopra il suo libro.
Infine
si alza anche lei, mi viene vicino, ride ancora prima di dire qualcosa: mi
potrebbe scrivere una dedica, dice, e mi porge il suo libro. Farò di più, le
rispondo. Scriverò un racconto dove lei ed io siamo i soli protagonisti.
Bruno
Magnolfi
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