Lo so che tutti quanti qua dentro mi giudicano una merda. Ma a me non
interessa, mi rannicchio nel mio solito angolo, in fondo al cortile, e
trascorro tutto il tempo con i miei pensieri e basta. La palazzina bianca mi fa
schifo, dentro c’è soltanto sporco a terra e gli uomini in camice che ti
prendono e ti strattonano da quella parte o da quell’altra. Anche gli altri
sono insopportabili: sono pazzi, lo so per certo, non hanno un briciolo di
possibilità per fare un ragionamento preciso come si deve.
Ho fatto un sogno, una volta: parlavo con qualcuno, un tipo che non
conoscevo, ma non riuscivo a spiegarmi troppo bene, così l’altro si voltava e se
ne andava. Lo chiamavo, allora, lo rincorrevo con tutte le mie forze ma avevo gambe
molli, cercavo di chiarirgli a voce alta il mio pensiero, ma era inutile, non
ero più capace di fare niente. Adesso continuo a rivedere davanti a me ogni
fase di quel sogno, mi vedo là in quella stessa situazione, provo quelle
precise emozioni, e le mie giornate scorrono così, quasi senza nient'altro. Chi
interrompe i miei pensieri sa benissimo che mi vedrà infuriato, riuscirò ad
urlare tutto il mio impeto contro di lui, per questo sono evitato, per le mie reazioni
spesso rabbiose.
La verità è che sono un tipo solitario, non mi piacciono le persone, vorrei
sempre che ognuno stesse per i fatti propri. Non annoio nessuno, me ne sto qui a
farmi gli affari miei e rivivo sempre il mio sogno, ogni volta identico, ed anche
se un po' ne soffro, però non riesco mai a cambiarne anche soltanto una piccola
parte. Qui mi scansano tutti, parlano male di me, lo so benissimo, ma non mi interessa
proprio niente: guardo nel vuoto e vedo il mio sogno.
Poi un giorno arriva un tizio nuovo, sta immobile e mi guarda, e anch’io me
ne sto immobile: è lui, penso, è esattamente l'uomo del mio sogno. Devo
parlarci, penso, devo per forza chiedergli come andranno a finire le cose, se
riuscirò prima o poi dentro la mia storia a dirgli ciò che devo. Cosi lo tengo
d'occhio per tutta la giornata, mi affatico anche un po' per questa attività: a
tratti sento anche montare una certa tensione dentro di me, sono sudato, mi
sento nervoso, ma ho bisogno di sapere cosa accade, ciò che conosce il tizio.
Passo male la notte, sono ancora agitato, ma la mattina seguente lo affronto quasi
subito. Lui piange, si dispera, si getta a terra anche; io lo colpisco immediatamente
con un pugno per la sua riottosità, gli urlo qualcosa che adesso non ricordo, poi
intervengono gli uomini in camice e mi sedano.
Non ha detto niente, penso mentre sto da solo, non mi ha rivelato neppure
una parte della verità, e questo non posso sopportarlo, è veramente troppo.
Penso ancora una volta al mio sogno, ma adesso non è più lo stesso, sono
subentrati dei quesiti ancora più inspiegabili, la storia non regge più come
prima, ed io non so proprio che cosa possa mai accadere in quella vicenda, ma non
posso neanche restare fermo senza conoscere il seguito. Certo, quel tizio lo
conosce, penso, lui fa parte della storia, per questo devo farmi dire tutto,
non ci può essere altra strada.
Sto buono per qualche giorno, e quando mi rilasciano vado dal tizio, senza
dirgli niente, senza fare niente, mi piazzo soltanto lì vicino e basta. Lui mi
guarda un attimo, sembra non abbia ancora niente da dire, però mi ha
riconosciuto, sa perfettamente chi io sia. Non devi andartene, fo io: devi
ascoltarmi. Lui fa cenno di si, che ha capito tutto. Gli chiedo di spiegarmi il
sogno, e lui dice soltanto che non lo sa, però è così come me lo sono
immaginato, non c’è un diverso epilogo. Torno al mio angolo; penso che dovrò
sognare qualcosa di diverso, uno di questi giorni: una storia in cui non ci sia
un tizio che non sa un bel niente, qualcosa che resti tutto dentro me, solo per
me, perché agli altri non deve interessare niente di questi miei pensieri.
Bruno Magnolfi
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