Fuori è tutto uguale. Luisa sta in casa, guarda in piedi qualcosa fuori
dalla finestra, oppure alla televisione perennemente accesa col volume al
minimo, e scandisce il tempo con i gesti rituali di sempre, muovendosi
generalmente avanti e indietro dentro la cucina. Sua madre è di là, allettata
da tempo. Lei guarda il calendario e immagina che tra un anno esatto molto probabilmente
sua mamma non ci sarà più. Pensa spesso qualcosa del genere, quasi ogni giorno,
anche se forse non vorrebbe. Adesso si sente ormai quasi indifferente al dolore
che ha provato inizialmente, si è abituata alla svelta a tutto quanto poco per
volta è capitato in seguito, probabilmente le sarà ancora più facile, pensa,
affrontare quanto dovrà inevitabilmente accadere un giorno prossimo.
Il medico tornerà nel pomeriggio per un’altra visita di consuetudine, Luisa
gli preparerà il solito caffè, e lui dirà ancora le medesime cose di ogni
volta. Anche questa giornata scorrerà identica a chissà quante altre, lei si
siederà nell'attesa del minuto che segue quello presente, e che appare già così
insignificante; poi si metterà con la stessa pazienza ad aspettare quello
successivo. Infine sarà sera, senza che neppure se ne sia neanche accorta,
proprio come ogni giorno, e lei si sentirà di nuovo inutile, incapace di
qualsiasi altra cosa che non sia quel cercare di lenire dentro di sé in maniera
stupida il dolore, anche perché non sa più neppure indicare o mettere bene a
fuoco quale sia il dolore che sente veramente, o che vorrebbe addirittura provare,
certe volte, pur di togliere spazio a quell’indifferenza che non desidererebbe mai
avvertire.
Si muove ancora dentro quella stanza, infine si affaccia alla camera, osserva
l'ammalata attaccata a quella macchina che la tiene in vita, si chiede a voce
alta se ci sia bisogno di qualcosa a cui non ha ancora pensato. Poi torna in
cucina, da mesi nessuno le risponde quando lei dice qualcosa, e allora Luisa si
siede e apre una rivista settimanale che certe volte sfoglia, tanto per passare
un po’ di tempo. Forse dovrebbe prepararsi a tutto ciò che dovrà prima o poi
accadere, però in qualsiasi momento le sfugge il motivo per cui si sente cosi
stanca, anzi esausta, e non sa immaginare niente di diverso da quella realtà
così condizionata.
C'è questo senso di continuo e
progressivo guastarsi, sgretolarsi, ridursi a niente: nel silenzio del suo
appartamento Luisa sente i tubi dentro ai muri che stanno ormai ossidandosi,
perdono quella tenuta che dovrebbero, e immagina quel cemento che per ragioni
naturali inumidisce, si corrompe, perde consistenza. Tutto inizia con una
piccola goccia da qualche parte, chissà dove, quasi un nulla, pensa, ininfluente:
poi invece il lento prodursi della rovina continua inarrestabile. Il carburante
immaginario del continuo presente prosegue a conservare il motore generale al
minimo, come un lieve ronzio da qualche parte, quasi un sentore leggerissimo di
qualche assurda possibilità di prosecuzione forse infinita.
Luisa torna alla finestra, ma pur sforzandosi non riesce a vedere niente, perché
non c'è niente che si muova laggiù, ne è quasi sicura; forse vorrebbe scendere,
andare a controllare di persona: aspetterà l’infermiera che più tardi tornerà a
darle una mano, poi forse farà da sola il giro del quartiere. Si, sul
marciapiede osserverà qualche faccia che neanche conosce, di quelle che neppure
immaginano quale sia il suo dramma: poi, forse, Luisa sentirà dentro di sé almeno
la forza per riuscire a rincasare.
Bruno Magnolfi
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