mercoledì 5 febbraio 2014

Sensibilità quasi eversiva.

            

Sono soltanto una donna in questa commedia, dice lei vestita di una semplice tunica di cotone grezzo, restando immobile e in piedi sopra le assi del palco, davanti ad un pubblico scarso ma attento. Anche io sono soltanto uno qualsiasi, gli fa eco uno dei personaggi della commedia, vestito sostanzialmente nella stessa maniera, mentre la luce spiovente dall'alto ne illumina alterandole le espressioni del viso.
Non avremo mai alcuna possibilità per emergere, fa lei, forse dovremo accontentarci di quello che siamo senza neppure chiedere altro. Siamo nati così, è inutile cercare di rinnegare le nostre radici. In fondo non si può neanche dire che ci manchi qualcosa, tutto va avanti ugualmente in qualche maniera, sia con noi che senza di noi, non credo sia neanche il caso di amareggiarsi per questo.
Qualche volta faccio una passeggiata fino in fondo al paese, dice lui; resto lì a lungo, guardo la campagna che si apre dopo le ultime case, e mi sembra tutto perfetto, come se in quell’insieme non ci fosse bisogno di altro. Mi piace accontentarmi, pensare che tutto ciò che posso riuscire ad essere, in qualche maniera, sia più che sufficiente. Poi però saluto qualcuno, guardo le facce degli altri mentre torno verso la mia abitazione modesta, e mi pare che nessuno di noi riesca ad essere davvero felice. C'è qualcosa che manca, lo avverto nelle espressioni di tutti, ed infine torno a pensare a quella grande saggezza che porta con sé colui a cui questo aspetto neppure interessa.
Anche a me capita di andare in giro di sera con qualche amica, dice lei: ridiamo, ci guardiamo attorno, spesso mi pare che anche a noi non manchi niente; eppure quando poi torno a casa e rimango da sola, mi prende immancabilmente una tristezza che non so neppure spiegarmi, ma è come se soffrissi per una malattia che non dipende esclusivamente da me; come qualcosa che sta nelle cose, forse nell'aria, addirittura in mezzo alle parole che proseguiamo ad usare tutti quanti, quasi un aspetto di cui non saprei neppure come fare per lamentarmi davvero.
Capisco bene questo sentire, fa lui spostandosi, però facciamo male ad abbandonarci nelle mani di qualcosa che non sappiamo o non comprendiamo: sarebbe forse meglio affrontare l'argomento, trovarne la fonte, sapere da che cosa è realmente costituito.
Non potrei, fa la donna; in fondo io sono soltanto una donna, ricordi?
D'accordo, fa l'uomo, ciò non toglie che si possa cercare di avere maggiore chiarezza su ciò che prosegue immancabilmente a circondarci.
Non so, fa lei, forse personalmente ne ho solo paura.
È probabile, fa lui, la realtà spesso spaventa, in fondo è molto meglio e più facile ignorare del tutto certe cose, che addolorarsi profondamente della loro conoscenza.
Comunque dobbiamo tutti qualcosa agli altri, dice la donna; è nostro preciso dovere rendercene conto, non possiamo affogare in un assurdo e inconsapecole isolarsi.
Sono d'accordo, fa lui: forse soltanto ascoltando la voce di tutti riusciremo a cambiare davvero noi stessi, magari di poco, forse soltanto per un periodo di tempo; in ogni caso sempre di più appare necessario provarci.


Bruno Magnolfi

Nessun commento:

Posta un commento