Qualcuno
entrò in casa mia, mentre da solo desinavo. Mi volsi per i rumori, e riconobbi
sorpreso un ladro, rimasto quasi incredulo del trovarmi nell’appartamento
(chissà per quali informazioni avrei dovuto essere altrove), e per questo
immobilizzato sull’impiantito, anzi, praticamente ancora sulla soglia.
Mi
disinteressai quasi subito di questi dettagli, e rimasto indifferente agli
intenti dell’intruso, proseguii ad occuparmi di me e del mio immediato daffare,
mentre quell’uomo ormai scoraggiato in ogni suo gesto, si sedeva su una
poltroncina dell’ingresso (in fondo a pochi passi dal mio tavolo di cucina),
come ad attendere con pazienza e completa rassegnazione il suo naturale
castigo.
Quando
ebbi terminato di mangiare lo chiamai, meravigliandolo per la conoscenza certa
del suo nome. Lui intanto aveva già arraffato qualcosa da sopra uno scaffale,
con poca destrezza devo dire, forse però soltanto per non essere giudicato magari
troppo male, o per convincermi in qualche maniera che in fondo lui restava
abbastanza sicuro di sé e dei suoi compiti. Sembrava tentare in questa maniera
di ristabilire una certa categoria quasi naturale, come già ritrovasse, dopo
gli inizi, una buona sicurezza di sé, anche della sua fuga da intraprendere,
probabilmente, e quindi del nascondiglio dove rifugiarsi.
Quando
poi lo rividi era ormai trascorso quasi un anno, e tutto questo non aveva più
alcun significato: avremmo forse potuto parlare insieme dell’assurdità
contemporanea che proseguiva a metterci tutti continuamente a repentaglio, credo;
oppure del fatto come, in qualsiasi caso, ogni parte della recita rimanesse spesso
già descritta in tutti i suoi dettagli; ma alla fine evitammo persino di
riconoscerci, e alla stessa stregua di affrontare qualsiasi argomento ormai
superfluo.
Bruno
Magnolfi
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