Oggi
all'ora di pranzo mi sono fermato in birreria per mangiare velocemente un
panino e buttar giù una rossa piccola alla spina. Nel locale, in quel momento,
c’erano soltanto dei ragazzi a scherzare tra loro attorno a un tavolo, così
Lorenzo si è subito fermato da me per fare due parole e chiedermi come mi andassero
le cose. <<È il mio ultimo giorno di lavoro>>, gli ho detto secco
ma sottovoce, scuotendo leggermente il capo in avanti, come a confermare quello
che dicevo; <<Non perché cambio mestiere; vado soltanto in un’altra
agenzia immobiliare a prestare servizio>>. Lui mi ha guardato perfettamente
in silenzio, forse con una certa meraviglia, e d’altra parte non gli avevo mai
detto niente fino ad oggi di tutti i miei propositi; così ha meditato qualcosa tra
sé, poi mi ha chiesto soltanto: <<ed Elisabetta come l’ha presa?>>.
Ho sorriso timidamente. Non mi aspettavo neppure una domanda di quel genere,
però mi è parso subito un ottimo argomento. <<Bene, mi sembra; ha già
trovato una persona abbastanza esperta che mi sostituirà, ad iniziare già da
domani, e quindi pare proprio che non avvenga un eccessivo terremoto nella sua
azienda>>. Lui allora ha messo via con calma qualche bicchiere pulito, ha
sistemato ancora qualcosa sotto al suo bancone, poi però mi ha chiesto:
<<e cosa vai a fare nella nuova immobiliare; le stesse cose di adesso, mi
immagino>>. A questo punto, anche per prendere tempo, ho affondato un
morso nel mio panino tiepido, ho guardato per un attimo il piano del banco
davanti a me; poi gli ho detto: <<Non proprio; dovrò assumere il compito
di direttore di tutta la baracca>>. Lui si è fatto una breve risata, non
perché non credesse a quello che dicevo, o mettesse in dubbio le mie capacità
nel ricoprire un ruolo del genere, quanto perché desiderava riconoscere in
questa maniera la grossa svolta che stavo dando al mio lavoro. Mi ha stretto la
mano, sempre ridendo, e ha detto che si sentiva felice del passo che stavo per compiere,
e poi anche che questo salto di qualità uno come me lo meritava proprio.
Non ha neppure
voluto, in nessuna maniera, che pagassi la mia consumazione, ed alla fine è
uscito veloce da dietro la sua solita postazione dietro al banco, e mi ha
abbracciato, come soltanto un vero amico probabilmente può fare. Quando poi
l'ho salutato, e sono uscito dalla sua birreria, mi sono sentito felice fino
quasi alle lacrime: non soltanto Lorenzo aveva apprezzato completamente le mie
decisioni, ma le approvava assolutamente, come mai forse ero stato apprezzato
fino ad oggi. Ed era esattamente ciò che, senza saperlo fino ad ora, desideravo
proprio sentirmi dire da uno come lui, considerato che in tutto questo grande cambiamento
del mio percorso lavorativo, quello che fino adesso non avevo mai cercato da
nessuno, sbagliando ovviamente, era esattamente un sostegno sincero. Quando poi
sono rientrato in ufficio per finire di preparare le mie cose da portare via,
ho trovato Elisabetta che si stava asciugando gli occhi, e Carla che nel
momento in cui mi ha visto ha preso la sua borsa ed è uscita dall’agenzia,
senza dirmi assolutamente niente mentre mi passava accanto, ma dandomi
un’occhiata a dir poco molto esauriente. Mi sono seduto, ho aperto uno alla
volta tutti i cassetti, ed ho iniziato a sistemare le poche cose che desideravo
prendere, mettendole dentro una busta che mi ero portato dietro. <<Scusa>>,
ha detto allora Elisabetta; <<è che non riesco a sopportare le
separazioni; è più forte di me>>. Così mi sono interrotto per un momento
senza trovare purtroppo nessuna parola da dirle che avesse un vero senso,
almeno in quel momento.
Però, in un lampo,
mi sono passati per la mente alla rinfusa tutti quei periodi difficili
trascorsi fin dall’inizio, sempre caratterizzati da un grande malumore, grazie
al suo carattere scorbutico ed al suo perenne bisogno di non dare mai alcuna importanza
agli altri, durante i quali ho dovuto quasi giungere, in certi casi, ad impormi
di sopportare quella situazione e a tirare avanti con il mio lavoro senza farmi
mai distogliere dai miei veri scopi. <<Anche a me dispiace>>, ho
detto poi senza aggiungere nient’altro, tanto che, finito di svuotare quei
cassetti e di riporre le altre cose personali che avevo accumulato nella mia
scrivania in tutti questi anni, mi è parso inevitabile alzarmi dalla mia
poltroncina con braccioli, andare per un attimo accanto a Elisabetta,
stringerle la mano da sopra al piano della sua scrivania, ed infine silenziosamente
andarmene, lasciando alle mie spalle quei singhiozzi al momento sinceramente anche
poco comprensibili. Per strada mi è sembrato di sentirmi decisamente meglio,
sollevato da qualcosa che col tempo era sicuramente diventato un carico sempre
più pesante da portare avanti, anche se mi risultava adesso ancora poco chiaro il
comportamento di chi lasciavo alle mie spalle. Infine, sono salito sulla mia
utilitaria, ho chiuso lo sportello, e dopo un attimo ne ho avviato il motore,
senza però sapere esattamente verso dove dirigermi.
Bruno Magnolfi
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