Stasera
c’è Mauro, il titolare dell’esercizio, a servire dietro al bancone riscaldato
della rosticceria-tavola calda dove ormai vado quasi sempre. Con una certa
titubanza gli chiedo semplicemente di servirmi, in una vaschetta da asporto,
del pollo arrosto con delle patate, e lui, senza neppure che lo chiedessi, mentre
si comporta con la solita professionalità, dice a mezza voce che sua figlia
Luciana oggi è rimasta a casa, che purtroppo non sta bene, e forse per qualche
giorno non potrà venire nel locale a dargli una mano. <<Mi
dispiace>>, commento con una certa sorpresa; <<speriamo che
guarisca alla svelta>>, proseguo vergognandomi un po’ per l’affermazione
scontata. Poi prendo la busta che lui mi porge, e quindi pago quanto dovuto,
anche se appena esco dal ristorante sento prendermi la voglia di passare da
lei, da Luciana, e chiederle di persona con maggiore precisione come si sente.
Purtroppo, non ho il suo numero di telefono, non abbiamo mai avuto bisogno di
scambiarci i recapiti fino adesso, considerato che ero sicuro di trovarla ogni
sera nella rosticceria dove lavora, e che qualsiasi appuntamento in questo ultimo
periodo, da quando ci vediamo, lo abbiamo sempre preso così, di persona, senza provare
il desiderio di telefonarci. Però so dove abita, e a quest’ora in casa evidentemente
non c’è neanche suo padre, potrei quasi tentare di suonarle il campanello,
aspettandomi magari che possa affacciarsi alla finestra di quel suo primo
piano. Salgo rapidamente sulla mia utilitaria e percorro quelle poche strade
fino a casa sua, ma una volta lì mi prendono dei dubbi, e soprattutto mi sembra
di essere decisamente troppo invadente. Potrei tornare indietro e farmi dare il
numero dell’apparecchio da suo padre, così da poterla chiamare senza
disturbarla troppo, però è passato già un po’ troppo tempo, apparirei soltanto
un indeciso.
Resto
sotto le sue finestre a lungo, stazionando là nell’attesa di chissà che cosa,
ma alla fine rifletto che quella della malattia forse è soltanto una scusa inventata
da suo padre magari per coprire altre faccende di cui non devo venire a
conoscenza. Giro attorno a quei palazzi due o tre volte, ma alla fine parcheggio
ed arresto il motore della macchina. Scendo, mentre la vaschetta con il mio
pollo si raffredda, e mi avvicino ai campanelli a fianco del portone. Suono
brevemente, e poi attendo, ma sembra che niente si muova nell’appartamento di
Luciana. Non insisto, probabilmente non è in casa; oppure sta talmente male che
non può neppure arrivare a una finestra o chiedere al citofono chi possa essere
a quell’ora. Vado via, decido che domani tornerò alla rosticceria e mi farò
dare il numero di telefono da suo papà, chiedendogli naturalmente se posso
disturbarla. Mi dirigo verso casa mia, non ritengo di avere altro da fare che
stendere la tovaglia in cucina e mangiarmi il pollo freddo. Però non sono
tranquillo, mi pare quasi che la mia scampanellata abbia potuto lasciare degli
strascichi di cui in questo momento non so neppure giudicarne l’importanza. Ho
sbagliato, penso: avrei dovuto chiedere subito a Mauro se fosse possibile
telefonare a sua figlia, e così avrei potuto gestire meglio la faccenda, e
forse sentire finalmente all’apparecchio la voce di Luciana.
Mi
è passata completamente la voglia di mangiare, ed anche se ormai è tardi per
qualsiasi decisione, continuo a riflettere sulla motivazione che mi ha portato
a rimanermene completamente immobile, senza fare niente. Però è vero che suo
padre avrebbe anche potuto suggerirmi, nel caso avessi voluto parlare con
Luciana, che non ci sarebbe stato da far altro che comporre il numero che
intanto lui, appuntandolo su un qualsiasi pezzo di carta, mi avrebbe passato
sul bancone, anche per togliermi dall’inevitabile imbarazzo in cui mi ero trovato.
Probabilmente però lui non sa che non ci siamo mai scambiati i numeri, io e
lei, e quindi forse ha dato persino per scontato che appena uscito dalla rosticceria
avrei chiamato Luciana, anche per darle una parola di incoraggiamento, se lei ne
avesse mai avuto bisogno. In tutti i casi il risultato fa acqua da ogni parte,
e l’unica cosa a cui posso appellarmi, se lei venisse a sapere che non mi sono
interessato affatto del suo stato di salute, sarebbe che non volevo arrecarle
alcun disturbo. Infine, dopo aver dato un morso alla coscia di pollo che ormai
non è più neanche appetibile, torno ad indossare la giacca ed uscire da casa,
per scendere rapidamente le scale, salire in macchina, e poi tornare alla
rosticceria, dove suo padre sta per chiudere e mostra un’espressione di sorpresa
nel vedermi. <<Non trovo più nella rubrica il numero di Luciana>>,
gli dico col fiatone, e lui allora me lo detta, con tranquillità, leggermente
sorridendo, spiegandomi che se decido di chiamarla anche stasera, a lei
sicuramente non può far altro che piacere. <<Ciao, Luciana>>, le
dico dalla macchina, mentre dall’emozione mi pare che potrei mettermi a
piangere. <<Adesso sto meglio>>, fa lei. Ed io non so se è per la
mia telefonata, o per la sua salute.
Bruno
Magnolfi
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