Diversi
anni addietro, durante una domenica come tante, mia moglie Laura ed io
decidemmo di fare un giro in macchina fuori città, tanto per svagarsi, visto
che le cose, tra noi due, già non sembravano andare troppo bene. Avevamo
sentito parlare di un monastero sopra una collina verde neppure troppo
distante, così giungemmo fin lì per visitarlo. Il posto era bellissimo e
piuttosto affollato, ed il parcheggio accanto, quando arrivammo noi, era
addirittura già pieno di vetture. Si fece un giro all'interno insieme ad altri,
tutti accompagnati da una guida che spiegava ogni dettaglio, con pazienza e con
professionalità. di ciò che era possibile comprendere da quei luoghi disadorni.
Poi io fui distratto da qualcosa che mi incuriosiva, e in un attimo mi ritrovai
completamente solo in quel dedalo di celle e di corridoi frequentati nei secoli
passati soltanto dai frati di non ricordo più quale ordine preciso. Infine,
entrai dentro ad una stanza, dove, con la fioca luce che penetrava da una
finestrella, si intravedeva uno scrittoio ed una semplice sedia in legno,
accanto ad una vecchia libreria contenente alcuni libri. Mi sedetti, ed iniziai
a sfogliarne il primo che maggiormente mi attirava, rendendomi conto che per
vederne bene le pagine dovevo avvicinarmi il più possibile a quella grata
vetrata da cui si intravedeva all’esterno solo un cortile. Non si parlava, su
quella carta ingiallita, di religione o di innalzamento verso il Signore, come facilmente
si sarebbe potuto immaginare, ma di natura, e soprattutto di alberi, di boschi,
di foreste, e anche di piccole coltivazioni. Immaginai che fosse stato scritto
da uno dei frati del luogo, interessato allo studio della vegetazione
circostante, ma mentre ne osservavo qualche pagina mi ritrovai tra le mani un vecchio
foglietto scritto a mano che recitava: “Tutto si trasforma, e ciò che è vero
oggi, non lo sarà per sempre”.
Naturalmente
rimisi a posto con rapidità il libro ed il resto, proprio così come avevo
trovato quelle cose, e quando uscii dalla stanzetta presi lungo uno stretto
corridoio, ed alla fine, seguendo le voci che mi giungevano smorzate, mi
ritrovai comunque con gli altri. Laura si era preoccupata, è naturale, però
ebbe immediatamente verso di me un moto di rimprovero, soffocato soltanto per
il rispetto al luogo, e per la presenza di tante altre persone, anche se la
nostra guida non si era accorta affatto della mia breve mancanza. Le dissi
soltanto, per giustificazione, che avevo visitato una stanza un po’ appartata,
ed avevo trovato un vecchio libro che mi aveva incuriosito. Alcuni giorni più
tardi, ripensando a quella visita, mi resi conto che non riuscivo a ricordare
le parole esatte di quella frase che avevo trovato quel giorno dentro al libro,
anche se il senso mi era rimasto impresso nella mente. Mi innervosii, iniziai a
scrivere su dei foglietti quello che mi pareva maggiormente simile, ma dalla
mia mano venivano fuori soltanto frasi differenti, che non avevano la nettezza
che avevo letto quel giorno in quell’appunto. Probabilmente quel frate che
aveva voluto fermare sulla carta il suo pensiero, proprio osservando la natura
attorno a sé, era giunto rapidamente a quelle semplici parole, ma non aveva
voluto scriverle in un luogo accessibile, se non in mezzo alle pagine di un
libro dove soltanto un appassionato di botanica avrebbe potuto leggerle,
sicuramente condividendone il significato.
Mi
sentivo un privilegiato per essere riuscito forse ad arrivare al senso più
nascosto della vita di un semplice frate, e dopo altri sforzi riuscii
finalmente a rimettere insieme con esattezza le parole che avevo trovato dentro
al libro. Riconoscevo che quella frase era banale, e forse non voleva neppure
indicare niente di particolare, eppure ero attratto da quelle parole, tanto che
iniziai a scriverle anche io ogni tanto su qualche foglietto che chiudevo in un
cassetto, o che abbandonavo in qualche luogo. Quando infine mi prese la voglia
di tornare a visitare il monastero, inventai una scusa con Laura, e durante una
giornata festiva mi spinsi con la mia macchina fino a quella collina che
ricordavo piuttosto bene, tanto da mettermi in fila, insieme ad altri, per
visitare di nuovo quegli interni, anche stavolta accompagnato naturalmente dalla
guida. Ricordavo la stanza, tanto che al momento giusto del percorso rimasi
appositamente ultimo tra tutti, e quando vidi la vecchia porta di legno
socchiusa, la spinsi per entrare. Dentro c’era un uomo anziano, seduto allo
scrittoio, intento ad appuntare qualcosa alla luce di una debole lampadina che
schiariva solamente il piano e il foglio su cui si stava impegnando. Lui alzò
gli occhi per guardarmi, forse sorpreso, magari per dirmi che stavo sbagliando
itinerario, ma io lo precedetti, recitando quella stessa frase che oramai
conoscevo bene.
Lui
non replicò, soltanto annuì con la testa, come se conoscesse bene il senso di
quelle semplici parole; poi attese soltanto che uscissi dalla stanza, e lo
lasciassi nuovamente solo. Mi sentii subito leggero, sollevato: avevo
restituito le parole al loro luogo, ed era sufficiente.
Bruno
Magnolfi
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