Certe
volte, specialmente qualche anno fa, mi sono sentito isolato. Non perché non
avessi le giuste conoscenze o non potessi contare sull’appoggio di molti per le
mie pur limitate cariche politiche, quanto perché difficilmente sentivo una grande
sincerità nelle espressioni anche di chi mi sosteneva. Mio padre, prima della
guerra, era un convinto fascista, uno che per tutta la vita, perfino poco prima
di morire, non si era mai pentito delle proprie idee, neppure quando era
diventato davvero difficile ostentarle, ed io con coerenza ho sempre seguito i
suoi insegnamenti, iscrivendomi ai partiti di destra fin da ragazzo. Eravamo
due fratelli ed una sorella più piccola in famiglia, e se lei non ha mai
contato niente, limitandosi a servirci tra le mura di casa, noi due invece
cercavamo sempre di sgomitare per farci strada, tanto da prendere interminabili
discussioni con tutti in paese, anche per strada o davanti al caffè della
piazza principale, fino a sorridere quando qualcuno giungeva persino a
minacciare la nostra incolumità. Ci sentivamo forti da ragazzi, il mondo per
noi era fatto per chi aveva il coraggio di prenderlo, e gli altri, secondo il
nostro parere, potevano soltanto abbassare la testa e starci a guardare. Le
nostre idee erano quelle di chi affronta la vita a testa alta, e non prova minimamente
paura di fronte a nulla. Mio fratello poi conobbe una ragazza, e poco dopo la
sposò, come si faceva a quell’epoca. Fui contento per lui, anche se mi sentii
vagamente tradito.
Io invece sono
sempre rimasto da solo, forse per poter dimostrare che si poteva vivere
tranquillamente anche così, ma quando infine nacque mio nipote Alberto mi
commossi profondamente, e forse vacillai nelle mie convinzioni. Fui eletto poco
più tardi come vicesindaco e assessore al bilancio ed alle attività produttive del
mio piccolo paese dove ho sempre vissuto, naturalmente in una coalizione di
destra, e lì cercai di dare seguito alle mie idee, soprattutto nella
convinzione di incarnare il pensiero dei molti cittadini che mi avevano votato
alle elezioni. In molti immediatamente si fecero avanti a chiedermi un aiuto, o
a strapparmi una promessa, oppure spavaldamente a domandarmi di far loro dei favori
in un campo o nell’altro, ed io con quasi tutti cercai di essere prodigo nelle
mie possibilità, spesso dando la spinta che mancava a coloro che avevano il
coraggio di venirmela a chiedere. Il sindaco, di un partito più moderato del
mio, qualche volta mi consigliò schiettamente di mantenere una maggiore integrità,
e di non cedere alle lusinghe di chi accarezzava il potere solo per servirsene.
Ed in quel periodo, parlando con mio nipote Alberto, in cui avevo confidato
molto per la prosecuzione del buon nome della nostra famiglia, e osservando certe
volte come si fosse dimostrato privo di interessi e di spina dorsale - prima nei
falliti studi scolastici, poi nella ricerca di un posto di lavoro - mi convinsi
che a malincuore avrei dovuto aiutarlo, anche per dimostrare che ancora riuscivo
ad avere molto credito, almeno in certi ambienti.
Mio
fratello si mostrò felice del mio interessamento, mentre lo stesso Alberto, che
fino a quell’attimo aveva trascorso il suo tempo insieme a certi amici ugualmente
smidollati, e senza combinare mai niente di buono, accettò senza alcun
entusiasmo il posto di impiegato degli Uffici Postali nella sede più vicina
possibile alla sua abitazione. Da quel momento, com’è naturale per uno come me,
presi a disinteressarmi quasi completamente della sua condotta, spiegando a mio
fratello che restavo comunque deluso da quel comportamento ingrato di suo
figlio, e che non avrei fatto nient’altro per lui, lasciando che se la
sbrigasse da solo con quel mestiere che avevo messo a sua disposizione. Ricordo
che uscendo dalla loro casa quel giorno, dopo aver spiegato bene le mie
ragioni, provai per la prima volta un forte senso di distanza dalla mia
famiglia, come se quegli accadimenti avessero iniziato a separare perfino le idee
che io e mio fratello avevamo sempre avuto in comune. Mia sorella invece,
segnata nel fisico da una malattia purtroppo seria, aveva dovuto accettare di venire
ad abitare nel mio appartamento, considerato che come me non si era sposata, ed
aveva alloggiato con i nostri genitori fino a quando loro erano venuti a
mancare. Con lei, per tutto questo tempo, praticamente non ho mai parlato, neppure
adesso, limitandomi semplicemente a chiederle di stirarmi una certa camicia, o
di preparare qualcosa di preciso per pranzo. Però ho scoperto da poco che ha
tenuto nascostamente dei diari molto ben dettagliati di tutti i suoi pensieri e
delle piccole attività casalinghe che ha svolto, ed io adesso mi sento curioso
di leggerli, anche se non trovo il coraggio di chiederle una cosa del genere.
Forse lei mi odia, ho pensato qualche volta, ma in un modo talmente soffuso da
essere sempre stata capace di non far trapelare mai nulla dei propri sentimenti.
E questo, comunque sia, lo trovo apprezzabile.
Bruno
Magnolfi
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