<<Certe
volte sembra difficile>>, dice Alberto al tizio del locale dove va ogni
tanto a sorbire un caffè con tutta calma, prendendosi una meritata pausa dal
lavoro. <<Però ci si fa l’abitudine>>. L’altro sorride, sa che
Alberto non è certo un tipo loquace, ed oltre la classica domanda su come gli
vadano le cose dentro all’ufficio postale, con un cliente così non ci si può certo
permettere di fare troppo i curiosi. Sa pure che la direttrice è un tipo
scorbutico, e che il clima là dentro quell'agenzia, per ciò che ci si può
immaginare dal di fuori conoscendo un po' le persone che ci lavorano, non può
essere certo meraviglioso. Alberto viene dalla cittadina di Bientina, non
conosce ancora troppo bene le dinamiche di un paesino come Calci, anche se rimane
poco distante, e per certi versi fa quasi un po' di pena, come fosse un pesce
fuori dall'acqua. Poi lui si alza, paga la consumazione, esce dal locale.
Probabilmente non desidera neppure farsi degli amici lì in quel centro abitato;
i cittadini gli appaiono probabilmente tutti ostili nei propri confronti;
perciò, in queste condizioni, non varrebbe neppure la pena di sforzarsi per
fare un minimo di conversazione con qualcuno di loro. Non è sicuramente facile
adattarsi ed accettare del tutto una realtà così, anche se alla fine si tratta
soltanto di fare il tentativo di comprendere il più possibile quella
situazione.
Il fatto è
che lui spesse volte si sente come preso in una gabbia, incapace di esprimere
una propria personalità, visto che quella attività che si ritrova a svolgere appare
oltremodo ripetitiva e priva di qualsiasi stimolo, e poi che le persone da cui si
trova circondato sul posto di lavoro gli sono poco più che estranee. In ogni
caso tira avanti, sa che non può permettersi di fallire questa prova, suo padre
non gli concederebbe mai di perdere anche questa occupazione, e se giungesse a
quel punto avrebbe contro di sé anche tutto il resto della sua famiglia. Vero è
che Alberto non è mai stato capace di trovarsi da solo un’attività che gli
desse un futuro, e per tutti questi anni fino adesso ha sempre vissuto praticamente
alle spalle dei suoi genitori, cosa che almeno in parte continua a fare
abitando ancora in casa dei suoi. Forse soltanto da poco ha iniziato seriamente
a pensare un po’ a sé stesso, ormai quasi alla soglia dell’età di quarant’anni;
però per lungo tempo si è crogiolato in quella situazione privilegiata senza darsi
mai delle preoccupazioni, dove l’unico problema che in qualche modo si doveva
porre era quello di vedersi con gli amici. Ora abbassa la testa, questo è vero,
ma lo fa provando dentro di sé il senso di un grande sacrificio.
Persino
quando termina il suo orario di lavoro, e torna a Bientina con l’utilitaria regalata
tempo addietro da suo padre, non si sente già più lo stesso di prima, come se per
lui ormai si fosse per sempre chiusa una certa porta. Preferisce starsene da
solo, per la maggior parte del tempo libero che ha, e dedicarsi a leggere
qualcosa, e poi a pensare, attività che non aveva mai praticato così a fondo,
mandando avanti tutte le sue cose nell’arco di anni quasi per istinto, distinguendo
soltanto ciò di cui aveva davvero voglia, nei confronti di ciò da cui non era
attratto per niente. Per certi versi adesso si sente un incompreso, anche se capisce
benissimo che molto di ciò che ora sta provando è solo colpa propria, e che non
può addossarne qualche responsabilità proprio a nessun altro.
Torna in
ufficio passando dalla porta sul retro: Gino con la sua bicicletta è appena
tornato dal suo giro di portalettere, e gli rivolge un cenno di saluto, senza
dirgli niente. Alberto sa che la prossima volta che ci sarà da sostituirlo non
manderanno ancora qualcuno da Pisa come hanno fatto già recentemente, e con
ogni probabilità toccherà proprio a lui prendere quella stessa bicicletta e
fare il giro degli indirizzi di consegna. Non importa, ha già studiato un po’ l’itinerario,
forse potrà addirittura piacergli quella piccola gita fuori dall’ufficio
postale. Davanti, allo sportello al pubblico, stanno parlando di qualcosa, i
soliti argomenti di ogni giorno, ed il lavoro comunque procede regolare, come
una macchina ben funzionante. Potrebbe chiedersi ancora cosa ci fa uno come lui
in un posto di quel genere, ma sarebbe soltanto un modo per masticare amaro e
rendersi il lavoro ancora più insopportabile, così si guarda per un attimo
specchiandosi nel vetro di una porta, e cerca di assumere un’espressione
sorridente, o almeno meno corrucciata. Poi osserva l’orologio, ma anche quello,
visto che per lui è un gesto automatico, resta qualcosa da evitare il più
possibile. “Dovranno passare molti mesi, addirittura forse degli anni, prima
che io possa essere considerato uno della squadra”, pensa Alberto; “e forse ci
vorrà addirittura di più, proprio a me stesso, per riuscire a sentirmi a proprio
agio in questi uffici. Ma non importa, la strada è segnata, posso soltanto
andare avanti”.
Bruno
Magnolfi
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