Resto in
piedi, da solo, dietro al banco del ricevimento, osservando la nottata che
trascorre lenta proprio come ogni altra, e penso intanto a come sia possibile
che in questo albergo non succeda mai un bel niente. Rientrano tre o quattro
clienti attorno a mezzanotte, e poi più nulla, lasciandomi qui a rigirare i
miei pensieri nella mente senza alcun proposito per il prossimo futuro. Allora
invito il mio alter ego del passato a farmi compagnia, e in un attimo lui è
qui, con i suoi dieci anni e le sue speranze di ragazzo nato e cresciuto in un
paesetto del tutto privo di caratteristiche, a cui gli è stato impossibile
affezionarsi veramente, e l’unica cosa buona che ha fatto è stata quella di
lasciare che lui se ne andasse da lì quando per fortuna era giunto il momento più
giusto, senza fare troppe storie e non recriminando per sé alcuna nostalgia di
quelle quattro strade e di quelle due manciate di abitazioni tirate su
praticamente a caso. <<Paolo>>, gli chiedo adesso nel silenzio
della notte, accompagnato dal leggerissimo brusio di un motore elettrico, forse
l’impianto di riscaldamento, oppure l’acqua che scorre nei tubi, o magari la
ventola di raffreddamento del terminale che ho di fronte. <<Ma ti saresti
mai immaginato che sarebbe andata in questo modo?>>, gli chiedo sorridendo
mentre appoggio i gomiti sul piano che ho di fronte. Lui scuote la testa, mi
pare quasi un bambino dalla comprensione un po' troppo lenta nei confronti di
quello che certe volte gli si dice, ma poi apre la bocca, e spiega in due
parole che forse i presupposti c’erano già. Annuisco, anche se non dice altro,
ma intanto vorrei che mi spiegasse qualcosa in più, che si lasciasse andare a
tirar fuori le speranze più segrete che c’erano allora dentro di lui, e quindi dentro
di me.
<<Volevo lasciare dietro le
spalle molte cose>>, dice allora mentre sento scorrere anche dentro di me
quella sua stessa sensibilità. <<Non mi sono mai integrato veramente tra
gli altri ragazzi in mezzo ai quali sono cresciuto. Li incontravo ogni giorno
davanti alla nostra scuola, in via delle matite, ma per me sono sempre stati
degli estranei, come se io fossi lì quasi per caso, per una combinazione di
cose di cui non ho mai neanche compreso la necessità. Certo, ho provato ad
integrarmi, ad assomigliare ai miei compagni, a ridere o intristirmi a tempo
insieme a loro, ma non mi è mai riuscito veramente, restando alla fine come un embrione
semplice di quello che sarei facilmente diventato in seguito>>. Sorrido,
mentre osservo la notte fuori della vetrata prospicente la solita piazzetta
storica. Io e lui siamo costituiti della medesima pasta, rifletto, anche se
sembra del tutto normale e scontata una cosa di questo genere; il fatto è che
trovo una coerenza tra di noi che dimostra quasi un principio di testardaggine
nell’evitare qualsiasi variazione di opinioni nell’arco di tutti questi lunghi
quarant’anni. <<Tu sapevi già che non ci sarebbe stato un futuro troppo
brillante per te e per i tuoi desideri>>, gli dico tanto per stuzzicarlo.
<<Questo non è vero>>, risponde il ragazzino. <<Tante
soluzioni potevano trovare sbocco per uno come me. Che le cose potessero andare
come si sono verificate era soltanto una possibilità tra tante>>.
Certo, penso io adesso; non posso
incolpare un bambino di tanti anni addietro per non aver creduto troppo alle
proprie possibilità, e di non essersi impegnato affatto nel fare in maniera che
qualche prospettiva positiva trovasse il giusto slancio. Poi c’è anche il
destino, o le combinazioni sfortunate, penso ancora. <<La scuola non mi
attraeva>>, riprende lui. <<Non trovavo in quelle ore che
trascorrevo in mezzo ai banchi, con dei compagni che neppure mi piacevano,
qualcosa che risultasse adatto per impegnarmi nel dimostrare la mia vera
volontà e i miei più forti desideri. Mi trovavo ogni giorno lì con loro per
semplice per abitudine, forse per dovere, o per fare contenti i miei stessi
genitori, ma alla fine le cose importanti per davvero ritenevo stessero in
qualche luogo diverso, dove pensavo fosse mio dovere recarmi prima o
dopo>>. Se soltanto mi fossi affezionato di più al paese, oppure mi fossi
fatto dei veri amici tra quei miei coetanei, penso adesso, credo che qualche
aiuto lo avrei trovato, piuttosto che restare solo e partire praticamente da
zero. <<Ma io volevo partire da zero>>, dice lui; <<il mio
principio fondante era esattamente questo: non dover ringraziare mai nessuno,
ed arrangiarmi da me nel costruire il mio percorso>>.
Alla fine, non è neppure andata
troppo male, dico io con una smorfia: un mestiere l'ho trovato, tiro avanti, ed
anche se non mi muovo mai da dove mi trovo, però parlo spesso con gente
straniera nella loro lingua, tanto che mi pare di viaggiare, e in qualche modo così
la mia vita procede. Ho avuto diverse difficoltà in passato, ma adesso è tutto già
alle spalle, come non si fosse mai verificato. <<Non credo sia una
giustificazione valida>>, fa lui; <<altrimenti tutto questo
varrebbe per ciascuno, anche coloro che hanno sbagliato tutto e che hanno avuto
prima o dopo una diversa opportunità>>. Quindi non mi assolvi, dico io
quasi per ridere, e lui: <<non so, devo pensarci>>.
Bruno Magnolfi
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