Nel vasto
ingresso dell’albergo dove lavoro ormai da diversi anni come portiere di notte,
dopo aver svolto da sempre lo stesso mestiere ma in un’altra struttura molto
più grande, restando dietro al bancone del ricevimento durante tutte queste ore
silenziose che scorrono in monotonia come un vero sgocciolare del tempo,
lentamente e quasi senza interruzioni significative, se penso ai miei anni
lontani di quando ero bambino, mi sembra di guardare al passato quasi mettendo
l’occhio nello spioncino di una porta per osservare chi stia suonando al
campanello di casa. Non perché intenda curiosare, sia chiaro, quanto perché le
immagini che riesco a vedere davanti a me sono spesso sfocate, appannate, distorte,
quasi irriconoscibili, e soltanto le sensazioni di allora ogni tanto mi
giungono praticamente immutate. In via delle matite, come chiamavamo allora la
strada della scuola, le giornate non erano mai uguali l’una all’altra, e
succedevano delle piccole cose che a me lasciavano risaltare qualche dettaglio
apparentemente insignificante. Avevo ormai smesso di portare a scuola nel mio
zaino le figurine dei calciatori tenute insieme da un elastico: troppa invidia
da parte degli altri compagni, troppa curiosità insistente ed interessata, ed
una strisciante voglia da parte di qualcuno nel sorprendere il mio zaino non
custodito per sfilarne qualcuna lasciando che me ne accorgessi soltanto in
seguito. Mi rendo conto solo adesso che a quell’epoca non avevo dei veri amici
tra i bambini delle elementari, soltanto dei coetanei con i quali condividevo
le ore scolastiche della mattina.
Al
pomeriggio, certe volte, alcuni di noi si davano appuntamento ancora in quella
strada, quella maggiormente conosciuta da tutti e in quelle ore silenziosa e
tranquilla in tutta la sua lunghezza e larghezza, per dar vita a delle vocianti
e sentite partite a pallone, dividendo i giocatori delle due squadre in modo
piuttosto equilibrato. Naturalmente io non giocavo, e neppure mi proponevo per
far parte di uno schieramento, piuttosto restavo in disparte ad osservare gli
altri che correvano da un marciapiede all’altro come se da quel loro impegno
dipendesse chissà quale importante risultato. Facilmente scaturivano polemiche
e dissidi tra i giocatori per i comportamenti di qualcuno o di qualcun altro, e
non essendoci spesso un arbitro a gestire la partita, certi divari erano
affidati al buon senso o alla gran voce di chi riusciva a sovrastare tutti
quanti con le proprie ragioni. Per
nessun motivo avrei mai desiderato entrare dentro a quel caos continuo che
tutti insistevano a chiamare gioco, anche perché non sapevo destreggiarmi con
il pallone al loro livello, e meno che mai, anche se talvolta c’era qualcuno
che lo richiedeva, mi lasciavo catturare da chi mi desiderava in campo come
arbitro. Però ugualmente mi piaceva stare al margine dell’area dedicata al
calcio per osservare i comportamenti di quei ragazzi, e con naturalezza
prendevo le parti di un gruppo invece che l’altro.
Adesso riconosco che avrei potuto
svolgere un ruolo, magari quello del tecnico che indica ad una squadra come
schierarsi e quali comportamenti tenere nei confronti di un’azione o
dell’altra, forse perché riuscivo ogni volta ad osservare l’andamento di ogni
partita con occhio obiettivo e disincantato, anche se riconosco che nessuno dei
ragazzi che correvano su quella strada avrebbe mai accettato di concedere
proprio a me un ruolo così rilevante. Perciò seguivo le partite, ma senza
grande interesse, tanto che alla fine mi incantavo ad osservare sempre qualche
altra cosa piuttosto che quel pallone così instabile. In questo modo perdevo
volta per volta anche quel briciolo di autorità che poteva assumere uno come me
presumibilmente capace di comprendere la qualità di un tiro in porta, o quello
di un’azione combinata tra diversi giocatori, relegando la mia presenza ad uno
spettatore inerte, che non comprende niente del calcio, e quindi appare del
tutto inutile. Ma a me non importava: avevo già deciso nella vita di stare più
o meno ai margini di tutto, in modo da non dover per forza avere un’opinione
sulle cose e sui fatti, e così ho continuato fino ad oggi.
Svolgo il ruolo di portiere di
notte in questo piccolo albergo: non avrò mai da migliorare la mia condizione,
nessun passaggio di livello, nessun aumento significativo di stipendio, nessuna
mancia particolare da parte di qualche cliente, visto che, quando io sono
dietro al bancone, loro stanno già quasi tutti a dormire. Però mi va bene così:
non credo di avere mai provato delle vere aspirazioni, ed anche se questo
lavoro, tanti anni fa, mi è giunto praticamente per caso, forse anche perché
non lo voleva eseguire nessuno, io mi sono adattato benissimo, come non
aspettassi altro che questo tra le differenti possibilità. Forse da sempre ho
studiato, senza saperlo, per divenire quello che sono: uno che si tiene ai
margini, e se anche mastica tra sé una propria opinione, non la dice a nessuno,
mostrando di essere quasi indifferente a tutto ciò che succede. Sono fatto
così, e mi viene da pensare che in tutti questi anni ho comunque mostrato
sempre a chiunque una grande coerenza.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento