Esco dal piccolo
locale dove mi sono fatto servire il solito caffè, mentre scambiavo qualche
chiacchiera con il cameriere che conosco da tempo, subito prima di avviarmi ed
andare a prendere servizio nel solito albergo dove svolgo il ruolo di portiere
di notte. Incrocio un tizio che mi ferma e dice di conoscermi, ma io penso che
forse sia soltanto una scusa per farsi pagare una bevuta, visto che non sembra
neppure del tutto sobrio. Cerco di superarlo, spiegando che purtroppo devo
andare a lavorare, ma lui insiste a dire che abbiamo fatto le scuole elementari
insieme, anche se adesso è difficile, mi spiega, ricordarsi di una faccia come
la sua. Gli dico che mi pare strano sia così, io vengo dalla provincia,
precisamente da un paesino costituito da poche case, dove da piccoli ci
conoscevamo tutti, naturalmente. <<Via delle matite>>, mi fa lui;
poi continua: <<Effettivamente non eravamo molti di bambini a quell’epoca,
anche se la scuola era stata costruita con delle mire ben più alte, come se
tutti i centri abitati intorno avessero dovuto portare i loro figli in quelle
classi>>. Resto meravigliato, esattamente le cose stanno proprio come le
sta spiegando quest’uomo, rifletto, così chiedo subito il suo nome e l’anno di
nascita, ed alla fine riconosco, nella sua fisionomia, e nonostante la barba di
adesso, un bambino che era proprio nella mia classe. Gli stringo la mano,
<<purtroppo vado di fretta>>, gli dico, e lui fa un sorrisone, e
poi dice che magari è possibile che ci incontriamo un’altra volta, proprio da
queste parti. <<Va bene>>, fo io, e poi me ne vado. Adesso ricordo
meglio il tipo di bambino che era lui all’epoca, uno con cui, nel bene o nel
male, non ho avuto quasi mai da confrontarmi: pareva una persona distante da
me, ed anche uno di cui non ci si poteva mai fidare.
<<Manetti>>, gli dico adesso nei miei
ricordi mentre mi alzo dal mio banco, durante i dieci minuti di ricreazione.
<<Tu non ne sai niente delle mie figurine?>>, e lui fa una smorfia
mentre solleva le spalle. <<Assolutamente no>>, mi dice con una
faccia che meriterebbe qualche schiaffo; <<di quella roba non ne faccio
neppure la raccolta>>, mi spiega quasi con disprezzo. Lo lascio perdere,
ma non sono affatto sicuro che racconti tutta la verità, e in ogni caso credo
che a sfilarmi alcune figurine dall'astuccio dove le avevo sistemate, può
essere effettivamente stato chiunque tra tutti i miei compagni di classe. Non
mi importa molto delle figurine in sé, rifletto subito, quelle che porto a
scuola sono soltanto dei doppioni, però mi sento molto dispiaciuto che nessuno tra
tutti i ragazzi abbia un briciolo di rispetto verso di me, e forse mi
demoralizza che ognuno creda addirittura che io mi meriti di essere trattato in
questo modo. Ingoio l’affronto, e comunque tengo gli occhi ben aperti. Alla
fine, trovo proprio una delle mie figurine sul pavimento dell’aula, ben
calpestata più volte da qualcuno, e a quel punto capisco che ci sono dei miei
compagni che più di tutto amano fare degli spregi sia alle mie cose e sia nei
miei confronti. Potrei piangere di rabbia, ma alla fine mi controllo, raccolgo
i pezzi della figurina e vado a gettarli nel cestino dei rifiuti, come se desiderassi
registrare il fatto, ma che non mi importasse quasi nulla di quanto effettivamente
è accaduto.
Cerco di pensare in
modo razionale a quali compagni possono aver compiuto un atto di quel genere, e
soprattutto tento di comprendere quale sia il loro scopo finale. Mi muovo tra tutti
i bambini negli ultimi minuti di ricreazione, e mi rendo conto che ognuno cerca
di mostrare indifferenza verso di me, come se tutti rispondessero ad un piano
preciso per mettermi in difficoltà e lasciarmi solo. Quando riprendono le
lezioni, con molta calma alzo una mano per mostrare alla maestra la volontà di
dire qualcosa a voce alta. Lei mi guarda e mi fa un cenno, così mi alzo dalla
sedia, anche se sto tremando, e senza guardare nessuno, ma con lentezza e
determinazione, dico quello che è successo, spiegando che delle figurine non mi
importa niente, ma del fatto che ci sia qualcuno che desidera nell’ombra farmi
uno sgarbo, credo sia realmente qualcosa di poco opportuno. La maestra si
indigna, quindi si alza dalla cattedra, guarda tutti in faccia e dice nervosamente
che <<Paolo ha subito un vero affronto, e né io né lui possiamo tollerare
un comportamento di questo genere>>. Adesso nessuno fiata, tutti guardano
il piano del proprio banco, senza il coraggio di alzare gli occhi dalle loro
mani. Poi non accade niente, ma al momento del termine delle lezioni, diversi
tra i miei compagni si avvicinano per sostenere subito che non sanno nulla di
quello che è accaduto. Improvvisamente mi sento importante e considerato, e
forse già questo mi pare un ottimo e insperato risultato.
Avrei dovuto ricordarlo
subito al Manetti, penso adesso, una volta giunto in albergo e preso posizione;
forse lui dopo tanti anni avrebbe avuto voglia di scaricare un po’ la sua coscienza.
Bruno Magnolfi
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