L’uomo
è fermo sulla piazza. Le braccia lungo i fianchi, la schiena dritta, osserva le
tante persone che attraversano il largo spiazzo pedonale e se ne vanno per i
fatti loro. Nessuno lo nota, o forse qualcuno si, considerato il suo aspetto
stravagante: la gran barba lunga ed incolta, il cappotto vecchio e fuori moda
di colore arancio scuro, l’espressione vagamente da pazzo. Lui non sembra
preoccuparsi di nulla, attende qualcosa, questo pare certo, per il resto niente
sembra distoglierlo da quel curioso guardare tutti e nessuno.
Infine
tira fuori dalla tasca alcuni fogli ripiegati e sgualciti, li distende tra le
mani, si avvicina ad una panchina accanto all’aiuola centrale, e dopo poco
inizia a leggere qualcosa con voce bassa ma robusta, rinvigorendo il timbro mentre prende confidenza con il suo declamare. Legge le cose che ha scritto
negli ultimi tempi, frasi che parlano di onestà, di rettitudine, dei valori ormai
persi da molti, di personaggi ordinari e allo stesso tempo particolari, ed
alcuni dei passanti alle sue parole si fermano, ascoltano in silenzio per un
attimo, ed altri invece cercano di ignorarlo, anzi sorridono di quel
comportamento, quasi come fosse qualcosa di assurdo.
Lui
va avanti per diversi minuti, ma poi si ferma, smette all’improvviso di
leggere, ha terminato, così inchina leggermente la testa, e lascia che in due o
tre davanti alla sua postazione gli lancino un piccolo applauso; uno dice addirittura
bravo a voce alta, un altro spiega al suo vicino che è questa forse la nuova
letteratura, ciò che non si trova scritto in nessun libro, ma ugualmente riesce
a percorrere la gente composta da questi uomini e altrettante donne come una
febbre, un fremito, quasi un’urgenza di novità. L’uomo poi si siede sopra la sua
panchina, tira fuori dalla tasca una vecchia matita, e appunta qualcosa sul
rovescio degli stessi fogli che ha ancora tra le mani. Alcuni continuano ad
osservarlo, uno gli chiede con timidezza come si chiami.
Ermete,
dice lui, lasciando intuire che forse quello è soltanto un suo nome d’arte, ma
l’altro gli batte una mano sopra la spalla e si complimenta per le sue parole e
sulla scelta di leggere in pubblico, dando vita ad un concetto antico e
meraviglioso. L’uomo in due parole bofonchiate gli spiega che sta lavorando ad
un nuovo soggetto un po’ difficile, ed adesso ha bisogno di silenzio e di
concentrazione, l’altro quindi lo lascia da solo, ma non prima di avergli
stretto la mano, di essersi congratulato di nuovo con lui.
Attorno
tutto ritorna in un attimo ad essere la piazza di sempre, la gente di qualsiasi
mattinata, ognuno prosegue con le proprie attività, l’uomo resta seduto sulla
panchina ed appunta le cose che vede, quelle che sente, quelle che immagina.
Una signora si siede vicina, osserva per un attimo quelle carte un po’
spiegazzate, la sua calligrafia quasi incomprensibile, gli dice che è bello
quello che fa, forse la cosa più importante di tutte, perché la realtà è sotto
gli occhi di chiunque, dice, ma solo in pochi riescono a tracciarne i contorni,
fino a darne un’interpretazione che può anche essere soltanto una grande
sciocchezza, ma è comunque qualcosa che sta sopra al piano delle espressioni
più alte che si possa mai avere tentato.
Bruno
Magnolfi
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